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Dolore storico, dolore esistenziale

Nel documento IL ROMANZO STORICO ITALIANO DEL XXI SECOLO (pagine 181-186)

IL ROMANZO STORICO-ESISTENZIALE

5.4 Dolore storico, dolore esistenziale

Il giudizio sulla scelta di dare rappresentazione ad un’epoca rispetto ad un’altra non può naturalmente essere formulato a prescindere da un’analisi testuale che si proponga di portare alla luce il significato e le ragioni particolari di ogni singolo romanzo rispetto a quelli con cui pur condivide aspetti di natura strutturale; rimane però il fatto che rappresentare più eventi storici successivi con le modalità e dall’angolatura visuale che qui si è tentato di delineare non fa che rafforzare il messaggio di fondo di questo filone romanzesco, generalizzandolo e attribuendo ad esso un valore universale. Viene evitato così il rischio di indurre il lettore nell’errore di credere che il giudizio espresso sia limitato all’ambito di precise e determinate circostanze storiche, e non invece un giudizio sul rapporto fra individuo e Storia.

In Stirpe292, ad esempio, tutti i grandi rivolgimenti storici, pur distanti nel tempo e frutto di motivazioni diverse – quando non opposte –, finiscono per avere le medesime ricadute sulla vita dei personaggi e ad assumere di conseguenza lo stesso significato ultimo. È come se, sotto l’articolata fenomenologia dell’apparenza, la storia rivelasse alla lunga distanza il suo volto immutabile, la sua natura vera e profonda, sempre radicalmente ostile all’umanità. L’anziano Michele Angelo, che quasi suo malgrado sopravvive a tutte le bufere del suo tempo ed è costretto ad assistere allo sgretolamento di tutto ciò che aveva un valore nella sua vita, può ben concludere che è sempre tragico il momento in cui la storia viene a bussare alla porta, perché al di là delle ragioni, delle aspettative, delle opportunità in gioco, di certo il prezzo da pagare alla storia sarà così alto da investire il significato stesso della vita.

Nel più volte citato romanzo di Riccarelli293 il motivo conduttore delle vicende narrate è annunciato sin dal titolo: è appunto il «dolore perfetto», a cavallo tra sofferenza storica e malessere esistenziale, un dolore che riemerge ad ogni catastrofe sempre uguale a se stesso, a dispetto delle circostanze ogni volta diverse e del passaggio di testimone tra generazioni. È un dolore inscritto nel destino dell’umana natura, che tutti prima o poi finiscono per provare. La molteplicità delle sciagure storiche che è dato di vivere alla stirpe nata dalla fusione della famiglia del Maestro con quella di Ulisse Bertorelli cela una unità profonda, un significato unico, che è appunto il «dolore perfetto».

Ne L’angelo della storia294 il giudizio formulato sulla storia è implicitamente rivelato dal titolo del romanzo, che contiene un’allusione al dipinto di Paul Klee Angelus Novus (1920); è lo stesso protagonista Benjamin ad avanzarne un’interpretazione in chiave storica che non necessita di commenti: «Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanrsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove a noi appare una catena di eventi, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa […] senza tregua macerie su macerie e le rovescia ai suoi piedi»295.

L’esito consapevolmente perseguito dal romanzo storico-esistenziale è infatti quello di stimolare nel pubblico una dolente meditazione sull’infelicità e la miseria della condizione umana. La riflessione sulla storia viene riassorbita nel più vasto ambito della riflessione esistenziale, che si interroga su una condizione permanente dell’umanità: la natura effimera dell’esistenza, legata al destino di sofferenza, incompiutezza, morte a cui l’umanità è soggetta. La tempesta della storia, in perenne antagonismo con il bisogno di felicità e appagamento dell’individuo, infligge le proprie lezioni a quanti rimangono anche solo sfiorati dal suo vortice: il dolore provocato dalla storia si somma

293

U. Riccarelli, op. cit.

294 B. Arpaia, op. cit.

al dolore dell’esistenza, rendendola più amara e tragica. I drammi provocati dalla storia si mescolano ai lutti che derivano da malattie, carestie, sventure, disgrazie, ecc.

Ne è testimonianza esemplare la vicenda narrata in Stirpe296 di Fois, nel quale le morti direttamente riconducibili alla storia (quelle di Luigi Ippolito e di Gavino) e quelle ad essa riconducibili solo indirettamente (quelle del marito e della figlia di Marianna) sono vissute dai protagonisti alla stessa maniera e da loro collocate sullo stesso piano di significato di quelle che nulla hanno a che fare con la storia: ad esempio la morte dei gemelli Pietro e Paolo, che sono uccisi dalla furia omicida di uno sbandato; o quella del piccolo Giovanni Maria, nato morto. Anche l’improvvisa pazzia di Mercede, che un giorno sparisce di casa per non tornare più, è certo collegata al dolore che la storia le ha inflitto giorno dopo giorno, fino a offuscare la sua mente, ma rimane pur sempre una sorta di demenza, cioè prima di tutto una malattia incurabile legata alla senilità.

Anche in Mille anni che sto qui297 è sviluppata una riflessione analoga che ha per oggetto la precarietà e la natura effimera di tutto ciò che è umano. Procedimento tipico di questo romanzo è infatti la rappresentazione, grazie ad una funambolica prolessi, di un fatto attraverso il punto di vista di un personaggio del remoto futuro che di quel fatto ritrova le tracce nel suo presente298. Gli oggetti, capaci di attraversare i decenni, costituiscono la muta testimonianza di un passato che rimane sconosciuto a tutti. Eventi privati, che hanno agitato passioni e cambiato il corso di intere vite, appaiono dalla prospettiva del presente del lettore fatti

296 M. Fois, op. cit.

297 M. Venezia, op. cit.

298 Se ne annoverano diversi esempi: «Per le figlie Concetta trovò una pezza di velluto azzurrino, di metratura così ampia che fu possibile confezionare un vestito per ognuna di loro, e ne rimase ancora un bel pezzo, che andò a finire sull’arcuofolo in mezzo a tutte le altre cose che non si sapeva dove mettere, e fu ritrovato da Gioia molto tempo dopo, diventando a seconda dell’umore un mantello da regina, un sudario, o il mare», ivi, pag. 34 «Un pomeriggio di noia, fra oggetti e documenti abbandonati in un cassetto della scrivania, Gioia ritrovò le foto di Rocco a Reggio Emilia in un involucro di carta velina. Restò a lungo ad osservare quel giovanotto paffuto, in bianco e nero, chiedendosi cosa stesse guardando, con quello sguardo che lei non gli aveva mai visto».

«Quel vestito, allargato in vita, se lo mise poi sua figlia alla festa di compleanno per i sedici anni, quella dove si ubriacò di Fundador e diede il suo primo bacio a un ragazzo che non aveva mai visto prima.»

privi di valore: il passato, riportato alla vita dalla narrazione romanzesca, è definitivamente estinto e riuslta incomprensibile per chi nel presente si imbatte nei suoi relitti. Nella prospettiva del tempo presente, nulla di ciò che era importante conta più, le passioni si sono estinte, tutto si è ridotto a cenere, a polvere.

Ne Il dolore perfetto299 di Riccarelli ai lutti e alla miseria provocati dalla prima guerra mondiale si sommano quelli prodotti dalla pandemia dell’influenza spagnola, che miete vittime su vittime, falcidiando interi clan familiari, come quello dei Bertorelli, i quali assistono impotenti alla morte di quasi tutti i membri appartenenti all’ultima generazione. In questa circostanza la malattia, intesa in modo pre-scientifico come cieco flagello che si riversa sull’umanità ad angustiarne il destino, apporta le medesime sofferenze inflitte dalla guerra, le cui ragioni appaiono altrettanto oscure ed imperscrutabili. L’atteggiamento che gli abitanti di Colle Alto hanno nei confronti di eventi tanto diversi è in realtà lo stesso: una dolente passività, l’accettazione sofferente di un destino contro cui non è possibile ribellarsi. Come già in Stirpe, torna in questo romanzo anche il motivo della follia, congiunto a quello del suicidio: questa volta ne è investito Ulisse Bertorelli, che, a dispetto di una condizione economica florida, soffre nella sfera degli affetti e finisce per perdere il contatto con la realtà. È significativo per il ragionamento che si sta qui conducendo il fatto che la sua morte coincida nel romanzo con la fine della prima guerra mondiale, quasi che l’autore volesse sovrapporre piano storico e piano esistenziale: il male è dispensato in egual misura dalla storia e dalla condizione umana, esposta ad ogni genere di sofferenza.

Ne L’angelo della storia300 di Arpaia il destino tragico cui va incontro il protagonista, Walter Benjamin, è certamente il frutto delle circostanze storiche: la persecuzione degli ebrei, il dilagare del nazismo. Il suo suicidio è infatti motivato, nell’ultima lettera vergata dalla sua mano, come l’esito obbligato di «una situazione senza uscita»301

. Eppure in lui la

299

U. Riccarelli, op. cit.

300 B. Arpaia, op. cit.

vocazione al suicidio, un desiderio di autoannullamento radicato in un malessere profondo, di natura schiettamente esistenziale, era già emerso in precedenza, alcuni mesi prima che si scatenasse la bufera della storia, con il suo corteo di persecuzioni razziali, di occupazioni militari, di campi di prigionia. Le prime pagine del romanzo sono infatti dedicate a rievocare con quanta insistenza Benjamin nel 1932, quando la sua carriera era in piena ascesa ed egli, al culmine della notorietà, veniva accolto nei circoli culturali più esclusivi, corteggiasse l’idea del suicidio, un «progetto»302

di cui subiva il fascino ambiguo pur senza averne concreti motivi. Al tempo del suo viaggio a Nizza, il suo stato emotivo, dominato da un senso di estenuazione e di malinconia, lo aveva spinto sino al punto di organizzare le circostanze materiali del suicidio e scrivere una serie di lettere di addio, salvo poi arrestarsi nel momento decisivo. Ancora una volta, dunque, il dolore esistenziale e la sofferenza provocata dalla storia sembrano operare sullo stesso piano e confondersi trascolorando l’uno nell’altra.

Ne La masseria delle allodole303 la rappresentazione della immane tragedia del genocidio armeno è condotta in modo da provocare una riflessione attonita e commossa sul senso del male, male che si manifesta ciclicamente nella storia rivendicando il suo tributo di vittime innocenti; una riflessione che si allarga poi a considerare la contraddittorietà della natura umana, capace di dar libero sfogo agli istinti più brutali e rapaci, così come di sublimarsi nelle forme più elevate del sacrificio di sé. Lo sterminio degli armeni, come tutti gli eventi storici ricostruiti dai romanzi storico-esistenziali, è infatti rappresentato come una crudeltà inutile e insensata, addirittura controproducente per coloro che l’hanno concepito e lucidamente messo in atto. Alla radice della violenza dei soldati turchi e dei mercenari sembra esserci uno stato di paralisi delle facoltà razionali, sulle quali prendono il sopravvento pulsioni animalesche impossibili da controllare. Ciò è ben visibile, ad esempio, nell’episodio dell’attacco alla masseria delle allodole, durante il quale vengono uccisi Sempad e buona

302 Ivi, pag. 20

parte degli esponenti maschili del clan familiare degli Avakian. Ma accanto a questi personaggi che si abbandonano alla violenza per il puro piacere di assaporare il gusto del sangue304, c’è tutta una rosa di altri personaggi che operano in favore delle vittime, mettendo a repentaglio la propria stessa vita: in loro brilla una luce di bontà che si oppone agli impulsi egoistici e agli istinti violenti. Ne sono esempio personaggi come Azniv e Nazim. La prima, poco più che una adolescente, è tutta immersa nel suo mondo di romantiche fantasticherie, ma risponde alla tragedia da cui viene investita con responsabilità e spirito di sacrificio, giungendo a prostituirsi con i propri aguzzini per procacciare il pane ai membri più giovani della famiglia. Il secondo è un mendicante opportunista, spia al soldo dei turchi, ma in seguito ai primi episodi di violenza ai quali assiste, matura in lui un senso di colpa che lo spinge a solidarizzare con gli armeni perseguitati, e a profondere tutte le proprie energie e risorse per salvarne il maggior numero possibile. Il senso del bene e del male, intrinsecamente connaturati all’animo umano, sono così al centro della riflessione del romanzo.

Nel documento IL ROMANZO STORICO ITALIANO DEL XXI SECOLO (pagine 181-186)