LA LINEA FEMMINILE
4.4 Il cambiamento possibile: il punto di vista maschile
Nel caso in cui la narrazione sia condotta attraverso il punto di vista di un personaggio maschile, la scelta appare funzionale alla messa a fuoco dei cortocircuiti e delle contraddizioni che si generano all’interno della società nel momento in cui avviene lo slittamento da una cultura fondata su gerarchie e valori tradizionali, verso una cultura modernamente intesa. Alla contrapposizione titanica tra visioni concorrenti, si sostituisce l’indagine perplessa e sofferta della crisi; alla confutazione perentoria dei principi su cui si fonda una visione del mondo subentra un sentimento di struggente
nostalgia che si fonde con la confusa percezione di una trasformazione inesorabilmente in atto.
Per la sua peculiare posizione di appartenenza al genere maschile e di vicinanza alla figura femminile (per via di un legame familiare, per rapporti di carattere sentimentale, per una vicinanza di sensibilità o per una consonanza di temperamento), questo particolare tipo di personaggio da un lato garantisce la rappresentazione della resistenza che la cultura tradizionale esercita nei confronti dell’avanzata del nuovo, dall’altro rende ragione della possibilità di accettare tale cambiamento e di costruire un modello di convivenza fra i sessi fondato su equilibri inediti. La minaccia portata dalla protagonista alla centralità e al potere rappresentati dalla figura maschile è in parte temperata dalla dimensione affettiva, in parte controbilanciata dall’eccezionalità del carattere femminile, che desta nella controparte sentimenti di sincera ammirazione, rispetto, stima: due soluzioni che in egual misura tendono ancora una volta ad eludere il problema di un confronto serrato con i nodi irrisolti generati dall’emergere della questione femminile, e dunque a rafforzare la componente populista di questo genere di narrazioni.
Ne L’amante del doge227 l’adozione della focalizzazione interna variabile consente a Russo di rendere conto delle reazioni, delle contraddizioni, delle perplessità suscitate all’interno del mondo maschile dal comportamento di una donna che ha interiorizzato i principi moderni della parità dei sessi e della libera gestione del corpo, senza per questo turbare l’adesione del lettore alla visione del mondo della protagonista, che rimane prevalente. È il nobile veneziano Andrea Tron a farsi portavoce di queste istanze. Egli parte da posizioni tradizionali, ma dimostra di saper evolvere e rimettere in discussione le proprie convinzioni. All’inizio del romanzo sottovaluta lo spessore di Caterina: pur rimanendo colpito dalla sua determinazione e spregiudicatezza, la considera una fanciulla come tante, un trofeo di cui presto finirà per stancarsi e che abbandonerà al suo destino. Nel corso della relazione, tuttavia, si accorge gradualmente di
quanto sia dipendente dall’amante e del potere che la sua personalità esercita su di lui. Ciò provoca in Tron una crisi interiore, che si aggrava per le maldicenze di cui Caterina è fatta oggetto da parte dei benpensanti. Questa situazione sfocia in una rottura temporanea della relazione, il cui interesse risiede nell’efficacia con cui sono resi i sentimenti contraddittori che si accavallano nell’animo di Tron, specchio di una società che fa i conti con l’avanzata del nuovo. Paura, disprezzo, ansia si mescolano a sentimenti di ammirazione, rispetto, alta considerazione delle doti intellettuali di Caterina e della libertà del suo pensiero: accettazione e rifiuto, appoggio e ripulsa costituiscono dunque due reazioni contrapposte di fronte alla proposta di una nuova immagine di donna, che genera inquietudine e turbamento. Nell’interiorità di Tron si combatte una battaglia, nella quale si rispecchiano le moderne resistenze alla piena attuazione di tale modello; nel romanzo, l’esito di tale conflitto è la piena accettazione del nuovo, la cui carica eversiva viene tuttavia depotenziata e riassorbita in una visione tradizionale, nel momento stesso in cui sembra trionfare. La condotta scandalosa di Caterina – figlia disobbediente, coniuge fedifraga, mantenuta, donna di liberi costumi – è accettabile solo in quanto destinata a lasciare il posto nel finale del romanzo ad un’altra immagine di lei, assai più tradizionale ed innocua: quella di moglie fedele e devota, che acconsente ad autolimitare il proprio potere di seduzione nell’ambito degli affetti domestici ed esercita la propria influenza nell’ombra, solo attraverso l’intermediazione del marito. Il trapasso da una concezione tradizionale della donna ad una più moderna è dunque indagato – tramite il filtro del personaggio Tron – in modo superficiale, senza che siano condotte ad estreme conseguenze le istanze poste dalla comparsa di Caterina, cioè di un’eroina portatrice di una notevole carica eversiva, che esige una trasformazione radicale della società e dei ruoli assegnati ai generi.
Queste considerazioni possono essere in buona misura estese anche ad un romanzo come La lunga attesa dell’angelo228. In quest’opera la narrazione è condotta da una voce interna al mondo finzionale, quella di
Jacomo Robusti, l’anziano Tintoretto che, in agonia, ripercorre la vita della figlia Marietta, intrecciata inestricabilmente alla sua. Ciò dà luogo ad una struttura nella quale si produce una proliferazione di piani temporali e prospettici, che tendono a sovrapporsi in un gioco di rifrazioni dall’effetto disorientante: il presente della cornice è continuamente infranto dalle incursioni nel passato della narrazione vera e propria; questa, a sua volta, riguarda segmenti temporali differenti e non ordinati secondo una precisa cronologia, ma evocati secondo la logica imprevedibile dell’associazione memoriale. Il pendolo della diegesi oscilla tra due poli opposti, in un andirivieni incessante tra passato e presente; i giudizi espressi dall’anziano maestro, che ripensa alla sua storia con la mente alterata dalla sofferenza dell’agonia, si sovrappongono ai giudizi del giovane e dell’uomo maturo che vive direttamente le proprie esperienze; i ripensamenti e i rimorsi di chi ha visto in faccia la conclusione del proprio e dell’altrui destino si stemperano in una struggente malinconia e in un caldo desiderio di pace nel momento in cui il protagonista si trova sul limitare dell’eternità. Questo gioco di specchi alimenta l’ambiguità del giudizio che Tintoretto esprime sull’inafferrabile figura di Marietta: fascinazione e vertigine, adorazione e sgomento, stima e disprezzo si alternano nel suo animo inquieto, che rimane incapace di comporsi in un atteggiamento di accettazione serena e pacificata nei confronti dell’irregolarità e dell’eccezionalità del tipo femminile rappresentato dalla figlia. Il ruolo giocato dalla Tintoretta nella società veneziana cinquecentesca rispecchia quello attivo, libero ed emancipato della donna nella società occidentale di oggi: una donna indipendente che si mantiene con il proprio lavoro, una donna disinibita che vive la sessualità come il naturale impulso al soddisfacimento del desiderio, una donna che rivaleggia con il mondo degli uomini imponendo con la forza del carattere la propria superiore competenza e la propria autorevolezza. Di fronte alla portata destabilizzante di questo modello di donna, Tintoretto manifesta il suo disagio con un atteggiamento contraddittorio, instabile, illividito da improvvisi scoppi d’ira, da inspiegabili malumori, da inconfessabili grovigli interiori intessuti di
rancore, gelosia, desiderio di possesso, ammirazione sconfinata e volontà di annientamento. La libertà che Marietta si conquista sul campo, combattendo una guerra ostinata e silenziosa contro il tradizionalismo e il maschilismo, rappresenta una fonte inesauribile di turbamento e seduzione: sentimenti opposti che – a differenza di quanto accadeva ne L’amante del doge – non trovano qui composizione, ma producono uno stato emotivo perplesso, contraddittorio e irrisolto.
Quando la superiorità culturale e la natura ribelle della protagonista la collocano in rotta di collisione con la società e con il potere, non è infrequente che singoli esponenti dell’élite dirigente maschile riconoscano alla donna un certo margine di autonomia e di influenza, cedendole quote di quel potere. Ciò accade, tuttavia, sempre come risultato della fascinazione esercitata su di loro dalle singolari doti carismatiche dell’eroina, che tende così a porsi ancora una volta sul piano dell’eccezionalità, finendo con l’alimentare un’impostazione populistica.
Di questa natura è il rapporto che si instaura tra Hildegard e Bernardo di Chiaravalle, o lo stesso papa Eugenio III. Entrambi la appoggiano apertamente, le tributano lodi e onori, mostrando di ritenere che le sue parole siano ispirate direttamente da Dio. Con il loro atteggiamento essi forniscono alla monaca un appoggio concreto nella sua lotta contro il conformismo e il conservatorismo sociale, consentendole di avere la meglio su quanti pretendono di disinnescare il rischio di destabilizzazione da lei rappresentato attraverso campagne denigratorie e ridicolizzanti che mirano a screditarla.