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L’ottica del sospetto

Nel documento IL ROMANZO STORICO ITALIANO DEL XXI SECOLO (pagine 167-172)

IL ROMANZO STORICO-ESISTENZIALE

5.2 L’ottica del sospetto

Questa scelta ha come necessaria conseguenza l’assunzione di un punto di vista deliberatamente collocato ai margini della storia: la narrazione infatti deve essere condotta da una prospettiva dalla quale la storia sia osservata con un senso di estraneità, di diffidenza e sospetto. Con rare deroghe, infatti, il narratore rifiuta l’onere di supportare la comprensione del passato facendosi intermediario tra il mondo evocato nella finzione e il lettore, sicché rari sono gli esempi di commenti diretti, di interventi didascalici o di digressioni erudite; pressoché sistematico è invece il processo di adozione del punto di vista e del criterio di giudizio di uno o più personaggi coinvolti nell’intreccio260

, o – in casi meno frequenti – di un’indistinta prospettiva riconducibile al sistema di valori della comunità. Da ciò discende la preferenza accordata a raccontare le vicende di individui radicati in comunità che sembrano vivere fuori della storia, immobili e come bloccate in un eterno presente rispetto al quale gli accadimenti storici risultano collocati a distanze siderali prive di conseguenze sulla vita concreta delle persone, fatti che esulano totalmente dalla sfera dei pensieri e delle preoccupazioni della gente. Rivolgimenti storici epocali vengono seguiti con la curiosità distaccata con cui si contempla il debole chiarore di una cometa, e vengono subito dimenticati. L’esistenza prosegue nella tenace convinzione che essi non avranno alcuna ricaduta sulla vita della comunità, e che quel mondo piccolo ed isolato non ne verrà modificato261.

La delicata e struggente vicenda umana di Michele Angelo Chironi e di Mercede Lai, protagonisti del romanzo di Marcello Fois intitolato

260 A titolo esemplificativo cfr. M. Venezia, op. cit., pag. 15: «Don Francesco non aveva ritenuto opportuno stipulare un contratto per appropriarsi di ciò che già gli apparteneva, cioè il corpo di Concetta…», o pag. 23 «…uno dei tanti figli delle tante femmine che quella disgraziata di Concetta faceva mangiare a sbafo in casa sua».

261

L’adozione di un simile punto di vista per raccontare il passato è possibile soltanto nel momento in cui sia pacificamente accettato quel concetto di fine della storia che Gianni Vattimo ha così sintetizzato: «La modernità finisce quando non appare più possibile parlare della storia come qualcosa di unitario. (…) Non c’è una storia unica, ci sono immagini del passato proposte da punti di vista diversi, ed è illusorio pensare che ci sia un punto di vista supremo, capace di unificare tutti gli altri», in Id, La società trasparente, cit., pag.8-10

Stirpe262, è ad esempio ambientata in una Sardegna che nell’ultimo decennio del diciannovesimo secolo si sente ancora profondamente estranea all’Italia unita della quale pur fa parte, e guarda alla penisola con indifferenza e ostilità ben espressa dall’appellativo ‘continente’ con il quale i suoi abitanti segnalano l’esistenza di una frontiera che separa la cultura arcaica e rurale della propria terra da quella di una Italia ancora lontana e sconosciuta. Nuoro, città che vede prosperare e decadere la stirpe familiare fondata da Michele Angelo e Mercede, vive a sua volta una fase di transizione molto delicata e contraddittoria: da un lato mostra il proprio volto originario, quello di modesto borgo di pastori e contadini, cresciuto in modo caotico e senza programmazione, isolato e ancora sprofondato, mentre l’Europa vive l’età della Belle époque, in una economia fondata sul baratto e in una oralità che quasi disconosce la scrittura; dall’altro ostenta i primi segnali di apertura alla modernità, l’affermarsi di mode e atteggiamenti mutuati dal continente, il trionfo del provincialismo, che è espressione di una malcelata ambizione di promozione al rango di cittadina263.

In Mille anni che sto qui264 guidano il processo di decodifica del passato soprattutto i personaggi femminili: fra essi particolarmente Concetta, Candida e Gioia. Attraverso gli occhi di Concetta contempliamo l’immagine di una terra arcaica e superstiziosa, isolata e immobile, un mondo regolato dai ritmi lenti del tempo ciclico, dominato dalla accettazione rassegnata, ma serena, di una realtà ingiusta e feroce data per immutabile265. Ciò che catalizza l’interesse di Mariolina Venezia è chiaramente la ricostruzione del passato di lunga durata, non soggetto ai

262 M. Fois, op. cit.

263 Cfr. Ivi, pag. 15: «Al momento, dalla direzione Ugolio, Nuoro sembrerebbe un avamposto di confine, brullo, con la cattedrale monumento che lo fa assomigliare a un paese andino».

264 M. Venezia, op. cit.

265

Rivelatore in questo senso il seguente passo, che descrive il momento in cui Don Francesco Falcone, padrone delle terre su cui lavora Concetta, le si avvicina per farla sua ad ogni costo: «Appena Concetta lo vide seppe che stava per succederle ciò che era successo già a sua madre, a sua nonna e a molte cugin, e faceva l’oggetto di certi furtivi ragionamenti con le compagne mentre andavano a prendere l’acqua. Non le passò nemmeno per la testa di sottrarsi. Lasciò il fratello in fasce sotto la quercia e gli andò incontro.», ivi, pag. 19

repentini cambiamenti imposti dagli eventi della grande storia: da un lato i molteplici aspetti della vita materiale, il lavoro dei campi, il modo di vestire e di acconciarsi, le pietanze cucinate nelle festività; dall’altro il folclore, la mentalità, l’immaginario di una piccola comunità rurale del meridione. Particolare attenzione – soprattutto nelle epoche più remote – è prestata alla rappresentazione dei riti arcaici ancora venati di paganesimo, delle processioni religiose, delle fiere paesane. I passi puramente descrittivi sono comunque ridotti all’essenziale: non si ravvisano cedimenti al gusto del colore, né abbondano le scene in costume. La mimesi del passato si avvale di altri strumenti: in primo luogo l’impiego generoso di similitudini che mobilitano termini di paragone sempre in qualche modo coerenti e rappresentativi del periodo storico considerato266. L’introduzione di dialettalismi e di veri e propri inserti dialettali267 riveste a sua volta una notevole importanza per l’efficace resa del colore storico: i primi sono disinvoltamente adottati dal narratore nell’adempimento della sua funzione di tessitore di storie (e talvolta si associano all’impiego di anacoluti con finalità espressive e mimetiche), i secondi sono frequenti nei discorsi diretti e nella rappresentazione dell’interiorità dei personaggi. C’è poi il gusto per la citazione del soprannome o del toponimo fortemente connotati (per questo aspetto il modello è senz’altro Verga), quali «zì Uel u Furnaciar», «Peppino Paglialunga», «Cugno del Ricco», «Serra Purtusa», «Arsizz’» e «Mazzam’pet». Non mancano versi di filastrocche e di canzoni popolari, che contribuiscono non solo a creare un’atmosfera, ma a rievocare l’ombra di una cultura scomparsa. In apertura ad alcuni capitoli chiave compaiono

266 Se ne fornisce qui di seguito una modesta campionatura a scopo esemplificativo: «Le due cognate si misero le mani alla gola col gesto che si usa per tirare il collo alle galline» ivi, pag. 13; «Don Francesco si fermò come un diavolo davanti all’ostia. Arretrò di qualche passo e si impuntò come un ronzino», ivi, pag. 25; «Si voltava e si rivoltava nel letto come se fosse cosparso di spine della corona di nostro Signore», ivi, pag. 31; «Così inaspettatamente venne concepita Angelica, sicuramente la più bella delle figlie di Concetta e don Francesco, come dall’uva avvizzita esce il vino più dolce», ivi pag. 43. Sulla norma implicita che regola nel romanzo storico l’uso del linguaggio figurato, in modo da renderlo coerente con l’epoca storica rappresentata, cfr. C. Barbanente, Appunti

sugli effetti di anacronismo nel romanzo storico contemporaneo, cit., in particolare pag.

211-214.

267

Si veda a titolo esemplificativo: «Ca t vò spdazzà. Ca t voln accid. Ca t vol cazzà na saiett. Ca non t vuò rtrà viv staser. Ca cur crist non t fasc scttà u sagn e u vlen quanta fum men na cimner», ivi, pag. 97

alcuni proverbi e modi di dire, ora in dialetto lucano ora in italiano. Tutte queste schegge di folklore contribuiscono da un lato a ricostruire le fisionomie di una civiltà, dall’altro a potenziare un senso di attonita immobilità, di fissità astorica.

Ne Il dolore perfetto268 la Storia è osservata dal punto di vista periferico e marginale della piccola comunità di Colle Alto, un indeterminato paesino toscano che esce dalla propria antica immobilità all’indomani della costruzione della linea ferroviaria, entrando improvvisamente in contatto con il mondo circostante. I ritmi, i costumi, i rituali che ne caratterizzano la fisionomia resistono intatti per molti decenni al traffico di uomini e merci che sempre più vorticosamente percorre il villaggio, travolgendolo con l’afflusso di nuove mode, di nuovi valori e mentalità diverse. L’opera segue le vicissitudini di due famiglie, l’una – la famiglia del Maestro – idealistica, aperta al mondo e fiduciosa nella possibilità di orientare il flusso della storia, direzionandolo verso il progresso civile e umano; l’altra – la famiglia Bertorelli – concreta, pragmatica, solidamente radicata nella cultura del paese ed incapace di concepire alcunché al di fuori del circoscritto orizzonte di ciò che materialmente accade all’interno del borgo. Per quest’ultima la storia non ha alcun significato, è qualcosa che non viene neppure preso in considerazione, che accade altrove, in un’altra dimensione spazio-temporale: la realtà è la perpetua riproposizione di un modello, familiare, sociale, economico, religioso, che proviene dal passato e che circolarmente ritorna su se stesso.

Ne L’angelo della storia269 di Bruno Arpaia la marginalità del punto di vista rispetto al cuore pulsante della storia non è prodotta dalla scelta di concentrare la rappresentazione su un luogo fisico periferico, adottando la prospettiva visuale di piccole comunità sprofondate in una dimensione atemporale. In effetti gran parte del romanzo è ambientata a Parigi, una grande capitale europea moderna. Il senso di estraneità, diffidenza, sospetto

268 U. Riccarelli, op. cit.

nei confronti della storia è prodotto dalla sistematica adozione del punto di vista di Walter Benjamin, il protagonista: il suo carattere è costruito in modo da metterne in risalto tanto la genialità in ambito filosofico-letterario, quanto la mancanza di concretezza e pragmatismo. È come se Walter Benjamin vivesse in un mondo separato da quello concreto, e da esso si sporgesse di tanto in tanto per contemplare una storia che non riesce a credere possa riguardarlo davvero270. In questo romanzo la maginalità si è dunque trasferita dal piano fisico a quello psicologico, ma non è scomparsa.

La masseria delle allodole271 è ambientato in una piccola e indeterminata cittadina dell’entroterra anatolico, dove la vita scorre lenta, sprofondata in una serenità fatta di piccoli gesti che hanno il sapore di rituali quotidiani: i bambini giocano, le donne si occupano della casa, gli uomini sono impegnati nel lavoro, oppure si dedicano nel tempo libero alla caccia e al gioco del tric-trac. È una terra che ama la musica, il lavoro artigianale, le feste religiose, la pace della campagna. Il clima minaccioso e irrespirabile che ammorba l’Europa non viene percepito all’interno di questa piccola comunità che si sente protetta dalla propria stessa imperturbabile immobilità: qualche premonizione dei più anziani, che hanno già vissuto l’esperienza delle persecuzioni etniche, rimane proiettata sullo sfondo, incapace di scalfire la serenità di una vita che continua a scorrere lieta e senza timori. La narrazione è condotta dal punto di vista della famiglia degli Avakian, in particolare – nella prima parte del romanzo – dei fratelli Sempad e Yerwant, l’uno rimasto nel paese natale, l’altro emigrato a Venezia in giovane età. È un punto di vista dichiaratamente marginale rispetto alla storia: mentre in Europa ribollono nazionalismi ed odi etnici, i due uomini appaiono completamente assorbiti dal progetto di riunire le rispettive famiglie nel luogo della loro comune infanzia, progetto che non si realizzerà proprio a causa delle contingenze storiche. La storia rovina così su entrambe le famiglie non solo improvvisamente, ma anche infrangendo l’atmosfera di dolce attesa che prelude l’avverarsi di un sogno.

270 Su questo personaggio si ritorna a pag. 33 e segg.

Nel documento IL ROMANZO STORICO ITALIANO DEL XXI SECOLO (pagine 167-172)