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La controstoria di Wu Ming

LA STORIA COME INTRIGO DI POTERE

3.4 La controstoria di Wu Ming

Altai162 del collettivo di scrittori noti sotto lo pseudonimo di Wu Ming è un ottimo esempio per illustrare le caratteristiche di questa famiglia testuale. Come prevede lo schema sin qui descritto, all’inizio del romanzo il personaggio di invenzione è costretto ad abbandonare il suo mestiere, il suo ambiente e la sua posizione nella società, compiendo quasi suo malgrado una scalata che lo introduce nei palazzi in cui si amministra il potere e si decide la storia. Per questa via, viene a contatto con note personalità storiche e si lega in particolare ad una di esse, non senza intrattenere relazioni con tutte le altre: ciò gli consente di descrivere le ipocrisie, i

162 Wu Ming, Altai, Einaudi, Torino, 2009. Con questo romanzo il collettivo di scrittori noto con il nome di Wu Ming ritorna all’ambientazione storica già sperimentata nel romanzo di esordio, Q, alimentando l’attesa di un vero e proprio sequel: il periodo rappresentato è infatti il tardo Cinquecento, con perfetta soluzione di continuità con l’epilogo di Q, e il tema conduttore è ancora una volta quello dei conflitti interconfessionali; c’è poi un personaggio dell’opera prima, Ismail, che riemerge anche qui, anche se in un ruolo del tutto secondario. Malgrado le apparenze, tuttavia Altai non è il secondo capitolo di una medesima storia: dalle guerre di religione che insanguinano l’Europa continentale di Martin Lutero lo sguardo si amplia all’intero bacino del Mediterraneo, focalizzandosi sui rapporti di forza tra potenze egemoni sul mare, Venezia, l’impero ottomano, la Spagna, l’Inghilterra. Conseguentemente il tema religioso è declinato più come rapporto conflittuale fra confessioni diverse (ebraismo, cristianesimo, islamismo) che come sanguinoso confronto fra ortodossia ed eresia, tutto giocato all’interno di una stessa fede. Il vero nucleo tematico dell’opera ha poi a che fare con quello che si potrebbe definire un movimento protosionistico: il tentativo fallito, ma storicamente accertato, da parte di alcune personalità che entrano a far parte della narrazione di fondare una colonia dove riunire i giudei dispersi e perseguitati in tutta Europa. I grandi eventi storici che trovano spazio di rappresentazione sono capitoli molto noti della storia dei rapporti tra Occidente ed Oriente: in particolare l’assedio e la conquista dell’isola di Cipro, possedimento veneziano da circa un secolo, da parte dell’impero ottomano e la conseguente, famosissima battaglia navale delle Echinadi, altrimenti conosciuta come battaglia di Lepanto. L’arco temporale abbracciato dal romanzo è piuttosto breve e va dal 1569 al 1571.

maneggi, i doppi giochi che caratterizzano i rapporti fra i personaggi che si contendono il potere, i quali catalizzano l’interesse del lettore, occupando il centro della scena narrativa. Nella loro azione essi appaiono inesorabilmente mossi dall’ambizione, o da motivazioni che si radicano nel vissuto personale, senza farsi interpreti di esigenze o bisogni di settori specifici della società. Tutto ciò che accade è frutto di un complesso gioco di relazioni improntate all’ipocrisia, all’ambiguità, dove gli atteggiamenti machiavellici, le ragioni della brama di potere costituiscono i fattori che scatenano gli accadimenti storici. In assenza di una vera e propria analisi dei processi, l’immagine della storia che scaturisce dal romanzo è quella di un campo di forze in cui si scontrano punti di vista e progetti individuali.

La narrazione è condotta dal personaggio d’invenzione, il veneziano Emanuele De Zante, che racconta le vicende occorsegli dal proprio punto di vista. Come prevede il modello descritto, è un uomo dall’identità complessa e conflittuale. La sua crisi di identità è legata alle sue origini familiari: nato da un rapporto impossibile tra un aristocratico veneziano e una giovane ebrea, vive a Ragusa senza una figura paterna e con un opprimente senso di vergogna per il peccato della madre. Durante la fanciullezza matura un profondo disprezzo per le proprie origini ebraiche e il desiderio di rinnegarle, costruendo per sé una identità fittizia. Riesce nel suo intento quando Giambattista De Zante, ricco e potente veneziano, decide di portarlo con sé a Venezia, per farne il suo erede ed introdurlo negli ambienti dove si amministra il potere. Qui Manuel assume l’identità fasulla di Emanuele, si fa battezzare e svolge la mansione di proto, con incarichi di spionaggio per conto del governo. Il precario castello di menzogne su cui si fonda la sua vita crolla nel momento in cui la sua reale identità viene rivelata. Emanuele-Manuel diviene allora il capro espiatorio sacrificabile sull’altare della ragione di stato. Accusato di aver tramato contro la Repubblica, tenta la fuga, attraversa l’Adriatico e ritorna a Ragusa con l’intento di salvarsi, ma anche di trovare il modo per riguadagnare la propria posizione a Venezia. La sua psicologia evolve infatti lentamente, e dapprincipio egli mantiene nei confronti della città che lo ha scacciato un

sentimento contraddittorio, fatto di odio ed attaccamento affettivo, che va di pari passo con il rifiuto categorico di riappacificarsi con la propria identità di ebreo.

L’allontanamento da Venezia lo induce tuttavia a riconsiderare la propria visione del mondo e a formare una nuova immagine di sé e del proprio destino. Tale evoluzione si innesca quando De Zante viene a contatto con la più aperta e tollerante civiltà turca ed in particolare con Yossef Nasi, l’influente consigliere del sultano Selim Pasha. Questo ricco e potente ebreo grazie alle proprie doti carismatiche è infatti al centro di una rete di relazioni diplomatiche internazionali che utilizza per dare asilo agli ebrei perseguitati d’Europa e per tentare la realizzazione di un sogno: quello di riunire il popolo ebraico dopo secoli di diaspora in una nuova terra promessa, che ha individuato nella veneziana isola di Cipro. La frequentazione di palazzo Belvedere, sede di Nasi, e di tutti i potenti che fanno capo all’influente ebreo, dal gran visir Mehmed Sokollu all’ammiraglio Muezzinzade, dal generale Lala Mustafa allo stesso sultano Selim II, spingono De Zante a riconsiderare l’immagine distorta del nemico turco maturata in ambito veneziano, a riappropriarsi senza vergogna delle proprie radici ebraiche, e ad identificarsi con la figura alta e magnanima di Yossef Nasi fino ad abbracciarne il progetto. Egli diventa lo strumento per la realizzazione di quel progetto, rompendo a favore di Nasi il complicato equilibrio di forze contrapposte che si nasconde dietro l’apparente armonia della corte del sultano.

Il noto episodio storico dell’assedio di Cipro e l’ancor più nota battaglia di Lepanto che ne scaturì appaiono dunque al lettore come una conseguenza diretta di circostanze occasionali (la fuga del De Zante) e di personaggi eccezionali (Yossef Nasi). Come in tutte le opere di questo filone, infatti, anche in Altai compare un individuo che si fa portatore di una visione anacronistica, in quanto palesemente influenzata da una consapevolezza che solo il presente può nutrire. Si tratta in questo caso proprio di Yossef Nasi: è lui che esercita la sua benefica influenza sul sultanato di Selim II, garantendone l’equilibrio e l’atteggiamento tollerante;

è lui che concepisce e tenta di realizzare un progetto, quello sionistico, che precorre i secoli e che appare perdente sul piano storico.

In altri romanzi è sul personaggio d’invenzione che vengono proiettati una sensibilità decisamente moderna e una capacità di antivedere il futuro che rasenta la profezia. D’altro canto, Altai si discosta dalla generalità delle opere di questo filone in quanto è costruito intorno ad una figura storica, quella di Yossef Nasi, poco nota, e che si presta pertanto ad essere trattata in modo piuttosto libero, senza incorrere nel rischio di una palese infrazione della verosimiglianza.

Rappresentando il fallimento di Nasi, il romanzo si interroga implicitamente su come sarebbe il mondo contemporaneo se il suo progetto avesse avuto successo e suggerisce un’interpretazione della storia che sfida i luoghi comuni: la vittoria delle forze cristiane a Lepanto, lungi dal costituire un momento epico e positivo per la storia europea, avrebbe al contrario posto le condizioni di una delle grandi ferite aperte del nostro tempo, il conflitto israelo-palestinese, visto come momento del più vasto conflitto in atto tra Occidente e mondo islamico.

A sua volta l’adozione del punto di vista del De Zante è funzionale da un lato a rendere la condizione contraddittoria tipica del popolo ebraico, la cui identità è stata per secoli in bilico tra una fedeltà alle radici ataviche e un’identificazione sofferta, problematica (e spesso bruscamente infranta) con la cultura del paese di accoglienza, dall’altro a rappresentare il mondo islamico in una prospettiva sorprendente per il lettore di oggi: un impero multietnico, multiculturale e multiconfessionale, aperto, tollerante, pragmaticamente orientato alla coesistenza sinergica delle proprie componenti interne. Una visione che capovolge gli stereotipi contemporanei riguardo ai rapporti fra Occidente e Medio Oriente. Ne è spia il seguente brano, in cui a parlare è il potente Yossef Nasi:

- Dovete sapere che le case di Costantinopoli sono costruite da maestranze miste. Il motivo è presto detto. I carpentieri turchi sono molto bravi a lavorare e segare il legno, ma non sanno tagliare la pietra. E una casa senza fondamenta è una casa instabile. Ecco

perché si ricorre agli scalpellini armeni, greci e arabi. Così gli uni gettano il basamento, gli altri costruiscono i piani superiori e il tetto.[…] Ebbene molti credono che il Signore disperse le lingue degli uomini per punirli, ma è l’esatto contrario. Egli vide che l’uniformità li rendeva superbi, dediti a imprese tanto eccessive quanto inutili. Allora si rese conto che l’umanità aveva bisogno di un correttivo e ci fece dono delle differenze. Così i muratori, di costumi e fedi diverse, devono trovare un modus vivendi che consenta di portare a termine l’edificio. E per questo non serve una tolleranza concessa, ostentata, com’è quella che viene dal potente, bensì una tolleranza esperita, vissuta ogni giorno, con la consapevolezza che se essa venisse meno, la casa crollerebbe e si rimarrebbe senza riparo.163

Come negli altri romanzi di questa famiglia, il personaggio di invenzione rafforza la propria credibilità di fronte al lettore esibendo la propria autonomia ed indipendenza di giudizio, che deriva dalla sua tormentata vicenda personale e che gli permette di esercitare delle critiche anche nei confronti del popolo in cui si riconosce e al quale tributa ammirazione. Ciò è ben visibile, ad esempio, nell’episodio della presa di Famagosta, in cui emerge con chiarezza lo sdegno del De Zante per il tradimento degli accordi sottoscritti da Lala Mustafa con il governatore veneziano Marcantonio Bragadin.