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Morfologie di genere

Una ricerca che si proponga di studiare un segmento della produzione letteraria contemporanea alla luce del concetto di genere pone fin dalle sue primissime battute nodi teorici e questioni di metodo estremamente insidiosi e complessi, costringe a varcare la soglia che introduce in un dibattito quanto mai aperto e irrisolto su cosa sia effettivamente un genere letterario, su quale sia la sua natura, la sua funzione, il suo rapporto con il sistema letterario e più in generale con l’universalità delle pratiche discorsive. Quali fattori influenzano la trasformazione del genere nel corso del tempo? Quali sono le modalità con cui gli aspetti materiali della produzione, riproduzione, fruizione intervengono instaurando con esso un gioco di reciproci condizionamenti? Quale rapporto esiste fra i tentativi di codificazione teorica e le modalità storiche con cui i generi si manifestano?

Esiste in definitiva una gamma amplissima ed eterogenea di problemi da affrontare quando si prende in considerazione la questione del genere. Ma al di là dei problemi che rimangono aperti, oggi però vi è un sostanziale accordo sulla considerazione del genere come mediazione tra una certa visione del mondo storicamente determinato e le modalità di comunicazione (tra autore e lettore) e di strutturazione del testo con cui quella visione viene tradotta in forma. Se questo lavoro si pone l’obiettivo di descrivere la morfologia assunta dal romanzo storico italiano nel corso del primo decennio del ventunesimo secolo, ciò non può avvenire, dunque, senza una preventiva esplicitazione e delimitazione del concetto di genere cui si farà riferimento e delle complessità implicate in tale operazione.

Il dibattito novecentesco su tale argomento appare eccezionalmente ampio ed esteso, a testimonianza di un interesse teorico che non si estingue con la svalutazione del ruolo e della funzione dei generi operata da

Benedetto Croce nell’Estetica45

, ma che anzi si riaccende nella seconda metà del secolo ponendo la questione generica se non proprio al centro delle varie teorie e critiche del Novecento, almeno come uno dei suoi temi più interessanti. Sotto questo aspetto, ne è una spia la confusione terminologica prodotta dai diversi modi di utilizzare la parola e il concetto di “genere”.

Analizzando i nomi di genere tradizionalmente impiegati per identificare classi letterarie differenti, Jean-Marie Schaeffer46 giunge – ad esempio – alla conclusione, allo stesso tempo disarmante ed illuminante, che «la logica generica non è unica ma molteplice: “classificare testi” può voler dire cose diverse a seconda che il criterio sia l’esemplificazione di una proprietà, l’applicazione di una regola, l’esistenza di una relazione genealogica o di una relazione analogica»47; e, ancora, che «in effetti, la decisione di considerare un’opera secondo questo o quel regime generico dipende anche dai nostri interessi cognitivi»48. Passando in rassegna alcuni dei contributi più significativi di studiosi europei e americani alla moderna teoria dei generi, Pieter De Meijer49 riconduce proprio a questo tentativo di «delimitazione rigorosa del significato del termine “genere”»50 il comune denominatore di teorie dei generi solo parzialmente convergenti ed armonizzabili, come quella di Klaus W. Hempfer51, Gérard Genette52, Northrop Frye53 e Alastair Fowler54. Senza avviarci per un sentiero che ci porterebbe lontano, è tuttavia importante ai fini di questa ricerca evidenziare come tale condizione di pluralismo insita nell’impiego storicamente accertabile del concetto di genere non si traduca solo in dispersione e confusione, ma anche in una positiva flessibilità, utile all’indagine sulla

45 Cfr. Benedetto Croce, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, Sandron, Firenze, 1902

46 J.-M. Schaeffer, Che cos’è un genere letterario, Pratiche Editrice, Parma, 1992

47 Ivi, pag. 160-161

48

Ivi, pag. 165

49 Pieter De Mejer, La questione dei generi in Letteratura italiana, vol. IV

L’interpretazione, a cura di Asor Rosa, Einaudi, Torino, 1985

50

P. De Mejer, Op. cit., pag. 248

51

K.W. Hempfer, Gattungstheorie, Fink, München, 1973

52 Gerard Genette, Genres, «types», modes, in «Poétique», VIII (1977), 32

53 Northrop Frye, Anatomia della critica. Teoria dei modi, dei simboli, dei miti e dei generi

letterari, Einaudi, Torino, 2000

54 Alastair Fowler, Kinds of Literature. An Introduction to the Theory of Genres and Modes, Oxford University Press, Oxford, 1982

letteratura: non si tratta infatti di stabilire correttamente l’attribuzione di un’opera a una classe testuale, giacché lo statuto generico non è ontologico bensì relazionale, dipende dal punto di vista di chi osserva e dai criteri stabiliti per l’osservazione. Se si abbraccia – come questa ricerca fa – questa prospettiva, non si danno classificazioni giuste e sbagliate, bensì classificazioni significative o superflue, utili o inutili, produttive di un approfondimento di conoscenza o sterili. Per dirla con Margherita Ganeri l’«utilità dell’approccio generico sta […] non tanto nel problem solving, quanto nel problem posing. Esso permette di istituire collegamenti e distinzioni tra il passato e il presente, quindi di storicizzare in modo sempre nuovo»55. Lo studio della letteratura condotto per mezzo del concetto di genere può dunque far emergere aspetti differenti di un’opera, o disegnare diverse relazioni, più o meno significative, fra quell’opera e altri testi: aspetti e relazioni che variano in relazione alla prospettiva adottata. È sulla base di tale convinzione che in questa ricerca si è formulata una proposta di classificazione del romanzo storico contemporaneo in aggregati morfologici distinti: essi andranno dunque considerati come uno strumento per una migliore comprensione del fenomeno del romanzo storico, e non in chiave normativa.

Alcuni studiosi, tuttavia, manifestano scetticismo nei confronti di uno studio della letteratura condotto attraverso la prospettiva del genere qualora ne sia oggetto la produzione letteraria più recente. Essi considerano infatti la situazione novecentesca (e più in generale della modernità letteraria) come un momento di frattura radicale rispetto al passato, tale da mettere in crisi l’utilità stessa del concetto di genere. Maria Corti, ad esempio, sostiene che nel nostro tempo i generi hanno perso radicalmente di funzione56. Blanchot afferma che ciò che oggi importa «è solo il libro, per

55 Margherita Ganeri, Le narrazioni storiche e lo spettro dell’impegno, «Moderna», VIII, 1-2, 2006, pag. 21

56

Cfr. Maria Corti, Principi della comunicazione letteraria, Milano, Bompiani, 1976: «L’entrata in crisi ideologica, quindi extraletteraria, presso gli scrittori più avvertiti, del concetto di sistema letterario ha coinciso con l’attuale perdita di funzione estetica dei generi; […] i generi sono in crisi perché sono rotte le codificazioni che regolavano il rapporto tematico-formale», pag. 159-160. Un rapporto che invece si rafforza nella cosiddetta letteratura di consumo, dove i generi si conservano dunque, e costituiscono dei modelli forti.

quello che è, lontano dai generi e fuori da ogni rubrica, prosa, poesia, romanzo, testimonianza, sotto cui rifiuta di collocarsi e a cui nega il potere di fissare il suo posto e di determinare la sua forma»57. Nel delineare il ritratto delle assiologie imperanti nella modernità letteraria, che gli appaiono contrapposte a quelle del mondo pre-moderno, Brioschi afferma che mentre «il ri-uso di forme e schemi preesistenti equivaleva in passato a un’attestazione della competenza indispensabile per entrare in Parnaso», oggi «anziché un’esibizione di credenziali, rischia al contrario di essere imputato a inerzia corriva, esempio deprecabile di imitazione attardata o prova tutt’al più di mestierante scaltrezza»58. L’assiologia della modernità sarebbe fondata invece su due criteri cardine: «la ricerca della quidditas, la quintessenza trascendentale dell’arte»59; l’innovazione continua. Da cui sembra potersi dedurre che la ricerca incessante di novità si traduca in un ostacolo insormontabile al formarsi di strutture di genere. Anche Carla Benedetti60 ribadisce questo concetto parlando di una sussistenza dei generi letterari nella modernità, ma di un loro confinamento ai margini del sistema letterario, proprio a causa della ‘logica differenziale’ dominante nella modernità61.

Il presupposto dal quale questa ricerca muove è, invece, la convinzione che il genere giochi anche nella letteratura del nostro tempo un ruolo fondamentale e possa dunque essere proficuamente utilizzato per una migliore comprensione dei fenomeni letterari. Il concetto di genere qui impiegato si fonda pragmaticamente su criteri mutuati dalla riflessione condotta in ambito semiotico, ermeneutico ed in particolare sulle teorie elaborate dalla scuola di Costanza. La prospettiva adottata consente di vedere nel genere una sorta di programma che orienta lo scrittore nella fase

57 Maurice Blanchot, Il libro a venire, Einaudi, Torino, 1969, pag. 272

58

Franco Brioschi, Critica della ragion poetica e altri saggi di letteratura e filosofia, Bollati Boringhieri, Milano, 2002, pag. 30

59 Ibidem, pag. 31

60

Carla Benedetti, L’ombra lunga dell’autore. Indagine su una figura cancellata, Feltrinelli, Milano, 1999

61 Scrive Benedetti: «i generi non sono mai scomparsi, ma il loro ruolo si è andato fortemente modificando nel sistema letterario moderno. Più precisamente la logica artistica moderna ha modificato le antiche funzioni dei generi, come pure le loro forme di esistenza, dal momento in cui li ha trasformati in una categoria negativa, sinonimo di convenzionalità», in Id., L’ombra lunga dell’autore, cit., pag. 100

dell’elaborazione creativa e che contribuisce a strutturare l’opera ponendola così in relazione con altre opere consimili. In questo senso il genere appare come uno strumento in grado di illuminare il momento produttivo, quello della costruzione e della strutturazione del testo. Ciò che contraddistingue un genere non è tanto il ripresentarsi di temi o motivi affini, né l’adozione di strutture formali identiche, bensì lo specifico rapporto che si istituisce tra resa formale e contenuto, un rapporto invariante, individuabile all’interno di un certo numero di testi.

Questa concezione del genere presenta il vantaggio di porre al centro della riflessione la funzione comunicativa della letteratura con i suoi protagonisti concreti, l’autore, il lettore e l’editore, che di tale comunicazione è materialmente il tramite. Se il genere è una competenza che pertiene a tutti gli attori della comunicazione letteraria, allora la sua funzione è dal lato della produzione di tipo selettivo, incanalando la libera creatività autoriale all’interno di un ventaglio di soluzioni possibili già esistenti (un repertorio convenzionale di motivi e temi e un set di strategie per la loro rappresentazione letteraria, che sono nello stesso tempo un modello interpretativo della realtà), mentre dal lato della fruizione è di tipo orientativo, ponendo il lettore nelle condizioni di decodificare un testo alla luce di un codice già in suo possesso, di interpretare il nuovo alla luce di una chiave d’accesso già nota.

Questa ricerca condivide la convinzione di Vittorio Spinazzola secondo il quale i generi «sussistono solo in quanto vengono criticamente, cioè pubblicamente percepiti come tali. Il criterio d’identificazione consiste nel riconoscimento di una analogia tipologica fra opere volte a intepretare un medesimo ordine di attese. Il riscontro ha dunque luogo a posteriori, in base a motivazioni d’ordine funzionale. Non esiste uno statuto ontologico dei generi, dal quale dedurre le loro modalità di presenza concreta nella storia»62. In altre parole, il genere esiste in quanto viene percepito come tale da una comunità di lettori, che identifica in un gruppo di testi il riproporsi di

62 Vittorio Spinazzola, La democrazia letteraria, Edizioni di Comunità, Milano, 1984, pag. 91

un modello invariante; questa presa di consapevolezza si riverbera nel momento della produzione, che ripropone e rielabora quelle strutture che hanno incontrato il favore del pubblico promuovendone ulteriori sviluppi, lasciando invece decadere quelle che meno sono state in grado di intercettarne, interpretarne e soddisfarne i bisogni.

Prendendo le mosse da tale visione, in questo studio il romanzo storico contemporaneo è concepito come macrogenere, differenziato al proprio interno in diversi filoni, o aggregati tipologici, che vengono descritti e analizzati come altrettante strutture di genere, concepite sulla base dei principi sopra esposti. Coerentemente con questa impostazione, la loro individuazione è il frutto di un’attività critica di confronto fra i testi, alla ricerca di meccanismi testuali invarianti, il cui riconoscimento avviene sempre a posteriori. Ciascuna delle tipologie elabora una propria idea di storia, che esprime per mezzo di un preciso modello strutturale, inconsapevolmente riconosciuto come tale da autore e pubblico. Oltre all’autore e al pubblico, questa ricerca non ignora che anche l’editore gioca un ruolo fondamentale nella dinamica di reciproche influenze che porta alla cristallizzazione di strutture generiche63: esso si configura non soltanto come figura di mediazione, di tramite materiale fra autore e pubblico, ma svolge una funzione culturale estremamente complessa e delicata, di cui bisogna tenere conto. In particolare, l’editoria ricopre un ruolo centrale nello stabilizzare linee di continuità, nell’organizzare filoni secondo formule e schemi che hanno mostrato di riscuotere l’approvazione del pubblico64. È infatti l’editore, nelle sue vesti di «iperlettore»65

, che detiene la responsabilità della selezione dei testi potenzialmente pubblicabili, mettendo in atto una vera e propria attività critica. È l’editore che, collocando il testo all’interno di una collana, fornisce di esso un’interpretazione fra le molte

63 Cfr. V. Spinazzola, Generi letterari e successo editoriale in Id., La democrazia

letteraria, cit.: «La mediazione editoriale non crea dunque i generi: si mette al loro servizio,

nella stessa misura in cui se ne serve», pag. 108

64 Cfr. U. Schulz-Buschhaus, Editoria ed evoluzione dei generi, in Id, Op. cit., pag. 49-65

65 Per il concetto di editore iperlettore cfr. Alberto Cadioli, Le diverse pagine. Testo

letterario, tra scrittore, editore, lettore, Il Saggiatore, Milano, 2012. L’attribuzione

all’editoria della funzione di selezione e filtro dei testi letterari scritti in un’epoca è già presente in Robert Escarpit, Sociologia della letteratura, Guida, Napoli, 1970

possibili, offrendola ai lettori e talvolta – nei casi in cui l’opera presenti un’identità ambigua e sfuggente – conferendole una fisionomia ben individuata grazie alla relazione che naturalmente istituisce con le altre opere della collana. L’edizione di un testo, e ancor più la collana, funzionano infatti nel senso di creare presso il pubblico un pregiudizio, un orizzonte d’attesa con il quale ciascuna opera si confronta, confermandolo oppure smentendolo, parzialmente o totalmente. È ancora l’editore che identifica un pubblico concreto quale interlocutore privilegiato del testo. È infine l’editore che entra direttamente nella genesi del testo, trasformando un’ipotesi di libro nell’oggetto libro, dalla forma ormai stabilizzata, la cui fissità non può essere ridiscussa se non nel momento di una successiva edizione66.

I generi, definiti circolarmente dai tre attori della comunicazione letteraria, adempiono alla funzione di soddisfare i bisogni immateriali presenti nella comunità dei lettori: i generi hanno infatti la loro radice proprio nei desideri e nelle disposizioni psichiche dei destinatari, diverse non solo per segmenti di pubblico sociologicamente individuati, ma anche in ogni singolo lettore, sulla base delle inclinazioni del momento. In questo senso la proposta di articolazione del romanzo storico in diversi aggregati morfologici è funzionale a comprendere la diversità delle motivazioni che inducono pubblici differenti ad avvicinarsi a tale tipologia di narrazioni ed allo stesso tempo restituirà, almeno parzialmente, l’«immagine della divisione di compiti instauratasi fra gli scrittori»67 nel nostro tempo.

Tali tipologie in questa ricerca sono concepite come famiglie storiche di testi, che non solo rispondono a precise aspettative del pubblico, ma anche sono in qualche modo in grado di modellarle ed orientarle. La costruzione di tali aggregati testuali non va, tuttavia, intesa come una forzatura che finisce per negare la diversità e l’unicità di ogni singola opera:

66

Scrive Alberto Cadioli: «I suggerimenti dell’editore entrano, dunque, direttamente nella genesi dei testi, a qualunque altezza cronologica della stesura vengano portati: durante la fase di scrittura, o, a scrittura completata, dopo la lettura editoriale, o, ancora al momento della preparazione per la stampa o della correzione delle bozze, ormai verso la conclusione della lavorazione editoriale» in Id, op. cit., pag. 100.

al contrario un romanzo che trovi collocazione in un filone viene qui concepito come una individualità differenziata, nel senso che manifesta al contempo caratteri originali e caratteri comuni alla famiglia cui appartiene. L’apprezzamento della singolarità di un testo non potrebbe d’altro canto avvenire senza la sua proiezione sullo scenario più ampio del genere, che costituisce dunque l’indispensabile metro di giudizio per la corretta valutazione dell’apporto di novità di un’opera e del suo tasso di riproduzione delle convenzioni depositate nella tradizione.

Il genere è qui concepito come una convenzione storica, un istituto che cambia nel tempo, che evolve, provocando continui riassestamenti all’interno del sistema letterario68

. Queste trasformazioni sono la conseguenza dell’avvicendarsi di nuovi testi che introduce inevitabilmente nel genere elementi inediti, facendo comparire caratteri mai precedentemente osservati o lasciandone decadere altri prima presenti69. In questo senso l’articolazione del romanzo storico in più filoni narrativi è considerata come l’esito storico della vitalità del macrogenere, differenziatosi al proprio interno per soddisfare bisogni narrativi sempre nuovi. Poiché l’insorgere di tali bisogni è, a sua volta, storicamente determinato, l’analisi dei diversi filoni potrà naturalmente estendersi ad una riflessione sulle caratteristiche della società italiana e della cultura del nostro tempo.