• Non ci sono risultati.

Il tema del potere

LA STORIA COME INTRIGO DI POTERE

3.2 Il tema del potere

Alla centralità delle grandi personalità storiche, si accompagna la predominanza del tema del potere, ossessivamente rappresentato come motore privilegiato del divenire storico, oltre che come esercizio di controllo sulla trasmissione della memoria. Si tratta di un punto di convergenza con il dibattito contemporaneo sulla filosofia della storia che non deve stupire. Nel momento in cui, con l’affermarsi della condizione postmoderna152, si smarrisce la fiducia nella storia come master fiction153,

150 Sul tema dell’anacronismo come strategia narrativa consapevolmente impiegata dal romanzo storico nel secondo Novecento cfr. C. Barbanente, Appunti sugli effetti di

anacronismo nel romanzo storico contemporaneo, cit.

151 Scrive a tal proposito Marinella Colummi Camerino: «[i personaggi] pur se fatti di «mattoni veri» secondo l’espressione della Yourcenar, diventano portatori di discorsi, idee e sentimenti universali o decodificabili soprattutto nella prospettiva del futuro» in M. Colummi Camerino, Introduzione a La storia nel romanzo (1800-2000), cit., pag. 20

152 Cfr. Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano, 1981; Id., Il postmoderno spiegato ai bambini, Feltrinelli, Milano, 1987

153 L’espressione è stata coniata da Stepheen Greenblatt; cfr. C Gallagher, Stephen Greenblatt, Practicing New Historicism, The University of Chicago Press,

Chicago-cioè come discorso totalizzante, capace di attingere, attraverso l’applicazione della sua specifica metodologia, l’oggettività della verità storica, concepita come nucleo unitario, intelleggibile e coerente, ha inizio un processo inverso di indebolimento dello statuto epistemologico della storiografia, di disvelamento delle sue opacità, della sua compromissione con il potere154, della sua natura, appunto, di «fabbricazione ideologica che si autoalimenta e si autolegittima attraverso dispositivi di soppressione, di esclusione e di controllo del consenso»155.

Non sarà dunque un caso che all’esercizio del potere, alla brama di detenerlo o alla affannosa ricerca di una sua conservazione rinviino tutti i romanzi inclusi in questa tipologia, che tendono ad individuare nelle grandi svolte della storia il risultato di uno scontro combattuto sul terreno del complotto, dell’intrigo, della congiura, dello spionaggio: i personaggi si trovano coinvolti in una logorante partita a scacchi che mette in palio l’acquisizione di un potere non espressione della concreta dialettica storico-sociale, quanto risultato del concretizzarsi di una pulsione interiore, di un desiderio radicato nelle profondità dell’animo umano, colto nella sua astorica immutabilità. In questi romanzi la storia appare l’esito di un conflitto che non coinvolge, polarizzandolo, l’intero corpo sociale, ma solo singoli individui: essi si contrappongono in un subdolo e intricato gioco di alleanze, che si consuma entro il chiuso dei palazzi e senza la partecipazione del popolo, entità informe e passivo oggetto di un controllo eterodiretto, la cui esistenza è poco più che allusa.

Questo scontro finalizzato all’esercizio di un «‘potere bianco’ indifferenziato»156 è reso letterariamente con l’introduzione di un personaggio di invenzione che agisce sul piano dell’intreccio come testimone-coprotagonista: egli, infatti, nella sua traiettoria personale si allontana dal proprio mondo ed entra per motivi fortuiti nell’orbita di una London, 2000; cfr. Anche Giovanni Vattimo, La società trasparente, Garzanti, Milano, 1989

154 Cfr. Michel Foucault, Microfisica del potere, a cura di A.Fontana, P. Pasquino, Einaudi, Torino, 1977

155

Giuliana Benvenuti, Il romanzo neostorico italiano. Storia, memoria, narrazione, cit., pag. 8

delle personalità storiche coinvolte nel conflitto. Compie così un salto di qualità che gli permette di uscire da una condizione di ignoranza e di passività – quella del popolo –, e di accedere ad una dimensione nella quale l’azione individuale assume una rilevanza storica. Il personaggio di invenzione assiste al conflitto tra le parti in causa mettendosi al servizio di una di esse, e poiché nello sviluppo dell’intreccio entra in contatto con tutte le altre, può fornire un resoconto affidabile e particolareggiato dei fatti e, soprattutto, dei retroscena che contribuiscono a determinarne l’esito.

È infatti attraverso il suo punto di vista che la vicenda viene narrata, quello cioè di un individuo che, pur schierandosi a favore di un contendente, osserva il mondo del potere rimanendone, al fondo, estraneo: dalla sua angolazione esso tende pertanto ad essere rappresentato in una luce torbida, come un campo dominato da ambizioni smodate e passioni degenerate che corrompono. In molti casi la personalità del personaggio d’invenzione è dinamica: in genere, infatti, egli entra in scena mentre vive una crisi di identità, che supera riconoscendosi nella visione e nel progetto della personalità storica alla quale si accompagna. Ciò non sopprime la sua autonomia di giudizio e la sua capacità di esercitare uno sguardo critico sui fatti di cui è testimone, e questo tende implicitamente a convincere il lettore dell’obiettività della ricostruzione fornita, che viene assunta dal lettore come vera. Non siamo infatti in presenza di opere che intendano sostenere la tesi di un radicale relativismo gnoseologico nei confronti della storia.

È su un personaggio siffatto che convergono le istanze di immedesimazione del lettore empirico157, chiamato ad assistere allo spettacolo perverso delle contese senza esclusione di colpi per la conquista di un potere che, nella finzione, finisce per determinare il destino di interi popoli. L’adozione di un punto di vista così definito è un elemento decisivo per comprendere la fisionomia di questo filone contemporaneo e misurare la distanza che lo separa tanto dalla produzione di romanzi storici di età romantica, quanto dalla fioritura modernista. Nel primo caso, infatti, il modello prevedeva l’impiego di un narratore eterodiegetico ed onnisciente,

che esercitava sulla materia narrativa un controllo pervasivo, non solo incaricandosi di intrecciare i diversi fili narrativi, ma anche interpretando le motivazioni profonde dell’agire dei personaggi facendosi garante presso il pubblico della corretta interpretazione dei fatti e dei comportamenti. Analogamente, al narratore era demandato l’onere di rendere pienamente intelleggibile il fondale storico, sospendendo la naturale progressione della narrazione con movimenti digressivi di carattere didascalico, e quello di guidare il lettore nel processo di comprensione del passato, anche istituendo collegamenti tra il tempo della finzione e il presente della scrittura, fino al punto di investirlo di un valore propriamente allegorico. In tal modo la funzione narratoriale adempiva al compito di garantire la corretta decodifica del significato della storia, implicitamente concepito come esistente ed univoco, assumendo nei confronti del lettore un atteggiamento marcatamente didattico e moraleggiante158.

Nel secondo caso si assisteva alla moltiplicazione dei punti di vista e alla interiorizzazione della ricostruzione storica, la cui oggettività non era più garantita da una voce esterna: essa infatti era espulsa dalla diegesi e condotta di preferenza attraverso il filtro memoriale di un certo numero di personaggi, che osservavano il passato attraverso il vissuto individuale. Per questa via la storia perdeva di consistenza, la sua fisionomia appariva sottoposta a deformazioni più o meno consapevoli, correlate alle dinamiche psicologiche dei personaggi e alla naturale selettività dei processi memoriali. Ciò si traduceva sulla pagina in una divaricazione tra fabula e intreccio, che dava a questi romanzi una struttura peculiare: quella di un continuo andirivieni tra presente e passato, che veicolava un senso di perplessità di fronte alla natura sfuggente di ogni ricostruzione storica159.

158 La funzione che il narratore adempie nel romanzo storico classico ha numerosi punti di contatto con le prerogative che lo storico ascrive a se stesso nel momento di produrre un saggio storiografico: la scelta dei “fatti notabili”, l’interepretazione delle fonti, i procedimenti digressivi, l’uso della citazione, ecc. Sulle convenzioni retoriche messe in campo dalla storiografia nella sua ricognizione del passato cfr. Emanuella Scarano, La

voce dello storico. A proposito di un genere letterario, Liguori, Napoli, 2004; Ead., Forme della storia e forme della finzione, «Moderna», VIII, 1-2, 2006

Qui, invece, il narratore non è depositario di un livello superiore di consapevolezza riguardo al senso della storia e non può dunque farsene mediatore presso il pubblico, né si assiste ad una moltiplicazione dei punti di vista che implichi l’impossibilità di decidere quale sia quello prevalente. Chi narra adotta una prospettiva dal basso, cioè quella di un individuo che prende parte al conflitto, schierandosi a favore di uno dei contendenti. Il suo punto di vista è militante, in quanto si contrappone consapevolmente a quello degli altri attori sulla scena; le ragioni stesse della narrazione sono riconducibili alla volontà di affermare la superiorità di una prospettiva sulle altre. Si tratta, tuttavia, di una prospettiva perdente: chi se ne fa portatore, infatti, soccombe e con lui soccombe una visione della realtà e della storia, una progettualità che per questo non troverà cittadinanza nella narrazione storiografica vulgata.