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Femminismo tra archeologia e militanza

Nel documento IL ROMANZO STORICO ITALIANO DEL XXI SECOLO (pagine 118-125)

LA LINEA FEMMINILE

4.1 Femminismo tra archeologia e militanza

All’interno del corpus selezionato è riconoscibile una tipologia di romanzi storici che fa ricorso ai materiali provenienti dal passato per sviluppare una riflessione sul tema della condizione femminile nella storia, con evidenti intenzioni attualizzanti e una prospettiva ideologica ben definita185. I testi inclusi in questo aggregato possono essere accomunati ai romanzi che rappresentano la storia come intrigo di potere per il medesimo atteggiamento nei confronti del passato: esso non viene cioè indagato come un susseguirsi di età dalle fisionomie specifiche, legate da un preciso rapporto di antecedenza-conseguenza, non viene analizzato dando rappresentazione letteraria ai problemi particolari che si determinano nei rapporti tra classi sociali, o tra individui e istituzioni in un dato momento della storia, bensì costituisce per così dire un serbatoio inesauribile di esempi di una condizione che travalica i confini di singole epoche per porsi come una costante storica186.

Se la tipologia sopra delineata individuava nelle grandi svolte del passato il prodotto di scelte imposte attraverso la logica dell’intrigo e

185 Sull’esistenza di un filone al femminile quale variante del romanzo storico tout court hanno scritto persuasivamente in molti. Cfr. in particolare E. Paccagnini, La fortuna del

romanzo storico del secondo dopoguerra, cit.; H. Serkowska, Dopo il romanzo storico,

cit., in particolare il cap. intitolato Dall’archeologia femminista al romanzo

anti-risorgimentale: il caso di Anna Banti; Margherita Ganeri, Per un canone del romanzo storico italiano del Novecento, in Un secol de Italienistică la Bucureşti, vol. III, Actele Colocviului Internaţional “Fortuna labilis studia perennia”, a cura di Doina Condrea

Derer, Hanibal Stănciulescu, Editura Universităţii Bucureşti, 2011.

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Scrive Marinella Colummi Camerino: «Nel romanzo neo-storico l’uso non episodico di procedimenti di sincronia o di accelerazione temporale e le frequenti acronie rendono il passato simmetrico al presente, il divenire circolare, con un effetto di schiacciamento della profondità o di perdita di senso – nell’accezione spaziale e ideologica del termine adottata da qualche critico – della storia» in Ead., Introduzione a Il romanzo della storia

assunte all’interno di una classe di individui separata dal corpo sociale, in questo filone romanzesco si guarda al passato per riportare alla luce la condizione di minorità, di sottomissione, di marginalità cui le donne, in quanto genere, sono state condannate per secoli da parte di una cultura che postulava la loro inferiorità antropologica. La chiave di lettura del filone va ricercata appunto in questo: nella propensione di questi romanzi a costruire ponti attraverso la storia, ad attivare un dialogo a distanza tra presente e passato, un colloquio fondato sull’empatia connaturata al genere femminile, sulla spontanea solidarietà di una sorellanza universale che supera le barriere del tempo e dello spazio187. Si può dunque concludere, che a caratterizzare questo filone romanzesco è l’instaurarsi di un patto narrativo ben diverso da quello che comunemente interessa autore e pubblico in un romanzo storico tout court: un patto che presuppone programmaticamente una piena identificazione emotiva del lettore con il mondo della finzione, un’alleanza fra lettore modello e protagonista188

.

A proposito di Artemisia189 di Anna Banti, Margherita Ganeri scrive delle parole che ben potrebbero essere impiegate per illustrare e commentare la linea di romanzi storici al femminile: Artemisia mette in gioco, infatti, a suo parere «un’identificazione soggettiva, di stampo femminista, tra il soggetto moderno e quello antico, avviando una tradizione di narrazione della storia giocata sotto il profilo psicologico, secondo una modalità che sostituisce alla centralità del documento l’assetto mnestico e (pseudo)autobiografico a garanzia della veridicità del racconto»190.

187 Particolarmente lucida, su questo punto, l’analisi di Ermanno Paccagnini, il quale scrive a proposito della struttura narrativa di Artemisia di Anna Banti: «Il discorso narrativo della Banti poggia innanzitutto sul postulato che il romanzo storico sia un genere attuale; e lo sia anche per quel procedere narrativo che tende a stabilire due piani intercomunicanti tra il soggetto storico, cui presta tutta la sua sagacia di studiosa, e il piano autobiografico che si apre a volte a un processo di sotterranea identificazione, e attraverso il quale filtra il problema ideologico che gradualmente la Banti costituisce come centrale: ossia la condizione della donna, ieri come oggi» in Id., op. cit., pag. 33

188 Sulla natura del patto narrativo sotteso al romanzo storico ha dedicato interessanti riflessioni Margherita Ganeri. Cfr. Ead., Il romanzo storico in Italia. Il dibattito critico

dalle origini al postmoderno, cit.

189 Anna Banti, Artemisia, Sansoni, Firenze, 1947

Sulla base di queste osservazioni sembra plausibile concludere che il lettore di questa variante tipologica del romanzo storico contemporaneo vi si accosti prendendo le mosse da una condivisione di fondo della prospettiva ideologica dalla quale il passato viene indagato, che si tratti cioè di un lettore in qualche misura consapevole dei termini in cui la questione femminile è stata formulata dai movimenti di emancipazione della donna del XX secolo191, e del perdurare nella società contemporanea di una condizione di squilibrio tra i generi a dispetto di una giuridica parificazione di ruoli, diritti, doveri ed opportunità.

Questo patto narrativo dà vita ad un’operazione sulla storia che sottende una duplice finalità: da un lato indurre il lettore ad attivare un paragone tra la condizione femminile attuale e quella consegnata agli archivi storici, implicitamente invitandolo a misurare i progressi che il nostro tempo ha conseguito sul piano dell’emancipazione della donna e della parificazione dei generi; dall’altro individuare in alcuni atteggiamenti e giudizi radicati nel presente delle forme attuali e socialmente accettate di pregiudizi sostanzialmente non dissimili da quelli che hanno per secoli agito nei confronti del genere femminile192.

Accanto alla duplice finalità sopra menzionata, in alcuni casi tale tipologia di romanzi storici si propone esplicitamente di portare a termine un’operazione di «archeologia femminista»193

: quella, cioè, di contribuire ad una riscoperta di figure femminili d’eccezione attive nei campi più disparati, dalla cultura alla politica, dall’arte alla scienza, mettendo in evidenza i limiti della storiografia tradizionale, che, in quanto frutto di una cultura viziata da pregiudizi di genere, mostra di aver attuato sul piano della memoria lo stesso tipo di oppressione e rimozione che la donna ha subito

191

Su questo tema cfr. Judith Butler, La disfatta del genere, Meltemi, Roma, 2006

192 L’indagine del passato non come momento preparatorio al presente, ma come allegoria del presente, o come analogon al presente è – secondo Serena Tusini – una delle possibili chiavi di lettura differenziali del romanzo storico postmoderno rispetto alla sua matrice ottocentesca. Secondo la studiosa la relazione che si instaura tra presente e passato nella produzione più recente «non è lineare, storica, causale come accadeva nel romanzo storico classico, ma decisamente allegorica: i romanzi “neostorici” postmoderni parlano allegoricamente del nostro presente» in S. Tusini, op. cit., pag. 58

193 L’espressione si trova impiegata in H. Serkowska, Dopo il romanzo storico, cit., pag. 53

nella società, relegandola nell’ombra o registrandone l’azione in posizione di relativa marginalità. Anche sotto questo aspetto – la contestazione della Storia, ed in particolare della sua presunta oggettività nella selezione di fatti e personalità notabili – tale filone manifesta una consonanza di sensibilità con quello delineato nel capitolo precedente. Si danno così romanzi che fanno ricorso alla ricerca d’archivio per portare alla conoscenza del lettore la portata del contributo femminile al progresso della cultura e della scienza, all’evoluzione delle arti, o al prodursi di importanti accadimenti storici, implicitamente perseguendo l’obiettivo di riscrivere la storia tradizionalmente accettata e condivisa, opponendovi una contro-storia. Si potrebbe ipotizzare che, in questa particolare forma e con questa specifica funzione ideologica, all’origine di tale tipologia ci sia proprio l’archetipo di Artemisia di Anna Banti194.

Nel romanzo Ildegarda. Badessa, visionaria, esorcista195 di Claudia Salvatori al centro della rappresentazione letteraria è collocata la figura poco nota della monaca benedettina Hildegard, vissuta nel XII secolo, che appare dotata di un potere carismatico del tutto fuori del comune: da lei promana un’energia vitale che affascina, soggioga e incatena tutti coloro che entrano nella sua orbita attratti dalla percezione della sua eccezionalità. Vengono raccontati con dovizia di particolari gli episodi salienti di una vita irripetibile, che vede una donna psicologicamente fragile, assediata dai dubbi e di salute cagionevole, progettare, fondare e dirigere autorevolmente due conventi, diventare un punto di riferimento per immense folle di fedeli ed ammalati, assurgere agli onori della storia trattando da pari a pari con papi, imperatori, dotti, membri influenti delle corti europee; una monaca

194 Così la pensa Hanna Serkowska, la quale argomenta tra l’altro sulla singolarità del destino di Anna Banti, scrittrice che avrebbe finito sul piano personale per fare la stessa fine della sua eroina, Artemisia, per la quale si era battuta: ovvero, essere rimossa dalla storia. Cfr. H. Serkoska, Dopo il romanzo storico, cit., pag. 53 e segg.

195 Claudia Salvatori, Ildegarda. Badessa, visionaria, esorcista, Mondadori, Milano, 2004. Si tratta della biografia romanzata di Hildegard di Bingen, religiosa tedesca del XII secolo, entrata nell’ordine benedettino e oggi venerata come santa dalla Chiesa cattolica. Nella sua vita fu, inoltre, scrittrice, drammaturga, poetessa, musicista e compositrice; si interessò di filosofia, di linguistica, di cosmologia. Dotata di poteri di guaritrice, divenne consigliera politica. Il romanzo ne segue la precoce vocazione, le visioni, la formazione, la nomina a badessa, la fondazione di un monastero e di una regola propri, le battaglie politiche e religiose, fino all’acclamazione popolare della sua santità.

capace di imporsi con la sola forza dell’esempio, di riscuotere un vasto plauso popolare e di tenere testa alle potenti gerarchie ecclesiastiche con umiltà e fermezza, sostenuta dal solo conforto della fede e dalla forza delle sue visioni mistiche. Se già in vita le comunità cristiane con cui entra in contatto acclamano in lei una santa, per le sue opere, per i miracoli che compie, per le sue enigmatiche parole accese di misticismo attraverso le quali sembra manifestarsi la voce stessa di Dio, il romanzo mette in luce come il suo destino fosse quello di restare nell’ombra: una santa popolare mai canonizzata dalla Chiesa, un esempio fulgido di religiosità colpevolmente dimenticato. Le ragioni di questo lungo oblio, che il romanzo si propone di spezzare, consistono nel suo essere un personaggio scomodo, una donna che ebbe la forza di sfidare in diverse circostanze il potere maschile e di uscirne per lo più vincente, e ciò muovendosi in un ambiente conservatore, particolarmente restio a concedere visibilità e potere alle donne. Il romanzo sottende l’idea che la damnatio memoriae di Hildegard sia la naturale vendetta che la storiografia maschilista comunemente opera nei confronti di tutte le donne che sono riuscite nella storia ad incarnare con la propria vita un diverso modello di organizzazione della società nel quale fosse restituita alla donna centralità e dignità.

Anche nel romanzo Le uova del drago196 del catanese Pietrangelo Buttafuoco, ambientato negli anni della seconda guerra mondiale, la protagonista è una figura storica sostanzialmente sconosciuta al lettore comune, e tuttavia risulta essere una delle collaboratrici più strette e fedeli di Hitler, posta da lui stesso a capo di un segmento del sistema spionistico di regime: insomma, un personaggio-chiave per comprendere una parte importante dei successi militari del Terzo Reich fino al 1943. Donna bella

196 Pietrangelo Buttafuoco, Le uova del drago, Mondadori, Milano, 2005. Il romanzo è ambientato in Sicilia tra il 1943 e il 1947. Ne è protagonista Eughenia Lanbach, spia bavarese, cresciuta tra i Wandervogel. Eugenia lavora negli Stati Uniti, sotto lo pseudonimo di Alice Rendell. Ha venticinque anni. A lei Hitler in persona ha affidato “Le uova del drago”: una missione che ha la finalità di preparare la rinascita del nazismo e del Reich nel caso di conclusione della guerra con la disfatta della Germania. Per adempiere a questo compito Eughenia lascia gli Stati Uniti per il Nordafrica prima e per le Madonie poi, scampando alle manovre dell'FBI. Tra i soldati tedeschi, diviene una figura leggendaria, come quella di Rommel. Nessuno sospetta che sia una donna. Sbarcata in Italia, organizza, assieme a dieci islamici e col sostegno della Chiesa, i futuri focolai di rivolta. Sullo sfondo lo sbarco alleato in Sicilia.

ed enigmatica, Eughenia Lenbach, incaricata altresì dal Furer di coordinare le operazioni di ripristino del regime nazista nel caso di una sconfitta della Germania nel conflitto mondiale, è dunque un’altra delle tante donne dimenticate della storiografia, che il romanzo storico si incarica di salvare dall’oblio assegnandole il rilievo che merita sul piano della storia, con una operazione che risponde al bisogno di ripristinare giustizia e verità, ovvero ciò che dalla propria prospettiva si ritene tale.

Ne La lunga attesa dell’angelo197 di Melania Mazzucco la protagonista indiscussa del romanzo è la figura storica, per lo più ignota al grande pubblico, di Marietta, figlia primogenita del celebre pittore Jacomo Robusti detto il Tintoretto. L’opera si propone come un commosso omaggio reso dall’autrice ad una donna energica ed anticonformista, ma più ancora ad un’artista di prima grandezza, ingiustamente disconosciuta a causa del pregiudizio sessista che precludeva al genere femminile l’accesso al mondo dell’arte. Il romanzo mette in primo piano il percorso a ostacoli che Marietta deve intraprendere per sfuggire all’angusto destino riservato alle donne comuni, quello cioè di essere avviate ad un conveniente matrimonio o di essere consacrate alla vita monastica, e per poter realizzare il suo sogno: vivere un’esistenza libera ed indipendente diventando una pittrice famosa e apprezzata come il padre, del quale sente di aver ereditato il talento ed assorbito la tecnica d’officina. Si tratta di un cammino che le impone la falsificazione sistematica della sua identità di genere e il sacrificio totale della sua femminilità: dovrà vestirsi, acconciarsi, comportarsi, esprimersi come un uomo, reprimere la propria sensibilità e soffocare la propria dimensione emotiva; dovrà sublimare il proprio legittimo bisogno di sentirsi desiderata e amata in quanto donna. Nonostante i sacrifici, l’eccellenza che Marietta attinge in ambito artistico

197 Melania Mazzucco, La lunga attesa dell’angelo, Mondadori, Milano, 2008. Febbricitante, in uno stato sospeso fra la coscienza e l’incoscienza, Jacomo Robusti detto il Tintoretto rimugina nei giorni della sua agonia la storia del suo legame affettivo più profondo e autentico, quello con Marietta, figlia di una relazione irregolare del maestro con una prostituta tedesca. Il romanzo ripercorre l’iniziazione della fanciulla al mondo della pittura e dell’arte, rievoca la peste veneziana, indugia sul rapporto possessivo e velatamente incestuoso che si instaura fra i due, narra successi ed insuccessi artistici di padre e figlia, fino alla perdita finale.

non è tuttavia di per sé sufficiente a garantirle un posto nella storia della pittura veneziana e italiana: Marietta è infatti costretta a lavorare all’ombra del padre, a vedere riconosciuta la validità della sua opera solo a prezzo della definitiva rinuncia all’affermazione del proprio nome. La società nella quale vive non è infatti pronta ad accettare l’irregolarità della sua educazione ed individua nelle sue ambizioni artistiche una inaccettabile provocazione, nella sua condotta un vero e proprio scandalo. La lunga attesa dell’angelo è dunque un romanzo pensato e costruito per conseguire un obiettivo che è innanzitutto di natura divulgativa, quello di far riscoprire ai lettori il volto di una donna che ha precorso i tempi, di un’artista sorprendente che vale la pena di riscoprire; ma è un obiettivo non privo di risvolti etici, nella misura in cui tale riscoperta costituisce di per sé una sorta di risarcimento postumo alle iniquità subite da Marietta per la grettezza dell’epoca in cui visse, e un monito esplicito rivolto alla comunità dei lettori al dovere di ricordare il nome di chi, fra tante avversità, ha dato il proprio contributo per cambiare la visione del mondo invalsa, immaginando una società più libera, più equa, più rispettosa degli individui, com’è quella – pur imperfetta – offerta dal libro. In questo senso il romanzo può essere letto anche come un invito – sulla scorta del modello rappresentato da Marietta – all’anticonformismo, alla sfida permanente nei confronti delle convenzioni, dei vincoli e degli assetti sociali che limitano i diritti e la libera espressione degli individui, ma che, in quanto tradizionali, sono percepiti come normali ed immutabili dai membri di una società198.

Anche se in questi romanzi la storia non viene indagata con la finalità di ricostruire il nesso che collega necessariamente il presente al passato, per sottolineare, cioè, la reciproca interdipendenza di fasi storiche differenti, tuttavia recuperare nel passato esempi di donne che hanno sfidato il destino e rivendicato il diritto alla piena autodeterminazione, da

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Sulla tendenza spontanea ed inconsapevole del lettore a trasporre la logica della finzione narrativa al piano extra-estetico della realtà in cui vive, Umberto Eco si è espresso in modo lucido ed estremamente persuasivo: egli descrive «la nostra tendenza a capire quel che ci accade nei termini di quello che Barthes chiamava un texte lisible. Poiché la finzione narrativa sembra più confortevole della realtà, cerchiamo di interpretare quest’ultima come se fosse finzione narrativa» in U. Eco, Sei passeggiate nei boschi

un lato restituisce il senso della distanza storica che ci separa da quel passato, dall’altro tende a veicolare modelli di comportamento positivi. Ciò implica necessariamente una visione critica del presente ed allo stesso tempo un’idea del presente come laboratorio del futuro, momento cioè in cui si pongono le fondamenta per la società a venire, e tempo della responsabilità: non solo i comportamenti collettivi ma anche quelli individuali messi in campo nel presente finiscono così per apparire rilevanti, perché in maniera pressoché imprevedibile possono contribuire alla fisionomia del futuro199.

Si tratta dunque di un filone romanzesco animato da una tensione ideologica piuttosto evidente: implicitamente alla letteratura viene affidato il compito, prima di tutto etico, di rappresentare l’ingiustizia che si è consumata a livello della storia e del discorso sulla storia, e quello di ristabilire la verità non solo come forma di risarcimento dovuta ad una parte di umanità offesa, ma anche come momento preliminare ad un ripensamento più complessivo del ruolo della donna nella società.

Nel documento IL ROMANZO STORICO ITALIANO DEL XXI SECOLO (pagine 118-125)