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Finalità della ricerca

Una volta precisata l’accezione con cui nel presente lavoro saranno impiegati l’etichetta di romanzo storico e il termine “genere”, appare ora opportuno delineare la finalità che la ricerca si propone di conseguire, la quale è duplice: da un lato quella di analizzare la fisionomia assunta dal romanzo storico contemporaneo, individuandone i tratti distintivi, e descrivendo l’eventuale esistenza, all’interno del corpus di opere selezionato, di morfologie ricorrenti, anche in rapporto alla produzione del recente passato e alla struttura del romanzo storico classico, così come teorizzata dal suo più eminente teorico, György Lukács; dall’altro quella di verificare, per mezzo della concreta analisi dei testi, se tale produzione possa essere considerata, ed eventualmente in quale misura, espressione di un rinnovato bisogno di impegno, di una passione civile che si traduce in prese di posizione nette, in atteggiamenti schierati e militanti su temi al centro del dibattito pubblico. Riguardo ad entrambe le finalità sembrano opportune alcune precisazioni.

Il panorama romanzesco degli ultimi anni è stato spesso descritto come uno scenario informe e reticente ad ogni sforzo tassonomico. Tale affermazione mantiene la sua piena validità se si sostituisce alla totalità della produzione romanzesca la sola porzione di opere narrative costruite a partire da materiali storici, o con un significativo apporto di materiali storici nel loro disegno complessivo. Ciò da un lato testimonia l’estrema vitalità di tale corpus di narrazioni, percorso da una molteplicità di tendenze che dimostra una marcata propensione alla sperimentazione; dall’altro scoraggia ambiziosi tentativi di classificazione sotto un’unica etichetta di genere. Di fronte alla complessità del compito da più parti si sono levate voci che incitano ad intraprendere indagini su segmenti parziali di tale produzione adottando un approccio di tipo descrittivo, in funzione di un successivo intervento di sistematizzazione88. Mentre conveniamo sull’utilità della proposta (alla quale la ricerca in corso per certi versi risponde), riteniamo che un contributo concreto in tal senso consista nell’individuazione di almeno alcuni dei molteplici modelli, o varianti tipologiche, nei quali il romanzo storico contemporaneo effettivamente si articola. L’adozione di una definizione ampia ed inclusiva di romanzo storico, capace di accogliere al proprio interno una fenomenologia quanto mai ampia e differenziata, comporta infatti di necessità l’individuazione all’interno del genere di subcategorie dotate di una propria specifica coerenza tematico-formale. Si tratta, d’altro canto, di una considerazione sulla quale convengono eminenti studiosi. Marinella Colummi Camerino, ad esempio, sostiene questa tesi non solo riguardo al romanzo storico contemporaneo, ma anche al suo antenato ottocentesco; avverte infatti: «Studi recenti hanno dimostrato che la forma scottiana al centro dell’analisi di Lukács – che pure avverte il pluralismo del fenomeno – non esaurisce il canone del romanzo storico, dove convivono tipologie diversificate e paradigmi storiografici per nulla univoci (la razionalità storicistica che lo innerverebbe appare oggi l’aspetto più

88 Tale è l’invito che Remo Ceserani affida alle pagine di «Tirature», 1991, a cura di V. Spinazzola, Torino, Einaudi, 1991

ideologico e caduco del lavoro lukácsiano)»89. Sulla stessa linea Carlo Barbanente, il quale afferma: «La falce normatrice non impedì comunque a Lukács di dar conto, anche se in alcuni casi solo fuggevolmente, di una serie di tipologie di romanzo storico che dimostravano uno sviluppo plurilineare del genere ed una coesistenza sotto la sua etichetta di modelli disparati che anche l’egemonia del magistero di Scott nella prima metà del XIX secolo unficava solo in superficie. Se il romanzo storico ottocentesco è, malgrado le apparenze, plurale quello novecentesco è caratterizzato da una varietà ancora maggiore di forme, stili, temi che si moltiplicano a dismisura sino alla contemporaneità. Non si può non condividere l’invito di molti studiosi che, pur avendo provato con grande rigore ad affrontarlo come un insieme, hanno dovuto spesso rendere le armi di fronte a questo indomabile materiale, consigliando un approccio specialistico per segmenti»90. Serena Tusini sostiene poi che «data la straordinaria disseminazione dei modelli narrativi del nuovo romanzo storico, la sua identità si può riconoscere proprio nella molteplicità»91. Esprime simili convincimenti anche Gigliola De Donato92. In questo senso, la definizione di romanzo storico adottata non può che spingerci a convenire con la tesi proposta da Margherita Ganeri, secondo la quale tentare una valutazione unitaria del romanzo storico sarebbe un’operazione «semplicistica e azzardata»93

: secondo la studiosa per il romanzo storico, più che di genere in senso stretto, sarebbe opportuno parlare di «modo» letterario. In questa circostanza Ganeri utilizza una terminologia mutuata da Frye94, che distingue il genere dal modo, individuando nel primo un insieme di testi propriamente accomunati da un modello tematico-formale invariante, nel secondo un aggregato testuale tenuto insieme da un medesimo orizzonte cognitivo-epistemologico. Il romanzo storico così concepito appare dunque configurarsi naturalmente

89 M. Colummi Camerino, Introduzione, in AA.VV., La storia nel romanzo (1800-2000), cit., pag. 16

90

C. Barbanente, op. cit., pag. 202

91 S. Tusini, op. cit., pag. 48

92 Cfr. Gigliola De Donato, Gli archivi del silenzio. La tradizione del romanzo storico

italiano, Schena, Brescia, 1995, pag. 61

93 M. Ganeri, Il romanzo storico, cit., pag. 109

come macrogenere, suscettibile di organizzarsi al proprio interno in famiglie, classi o sottocategorie omogenee al proprio interno.

Riguardo alla seconda delle finalità che questa ricerca si prefigge di conseguire sono opportune alcune considerazioni preliminari. Il postmoderno è stato descritto come l’età in cui le trasformazioni tecnologiche, economiche e politiche avrebbero traghettato le nostre società nell’èra post-industriale, provocando quella che è stata definita una «mutazione antropologica del sensorio»95. La radicale trasformazione dei processi cognitivi dal modello logico-analitico, prevalente nel passato, a quello sintetico-emotivo, tipico della civiltà mediatica, avrebbe prodotto una crescente perdita di profondità spaziale e temporale e una anestetizzazione emotiva del soggetto.

Sulla base di questi presupposti non può non ritenersi significativa l’indagine su una produzione letteraria che pone al centro del proprio interesse proprio la ricostruzione di mondi diversi da quello attuale, lontani da esso sul piano delle coordinate temporali e spesso anche geografiche. La ripresa critica, nella letteratura italiana degli ultimi trent’anni, di un genere che, almeno nella forma ottocentesca assunta nel nostro paese, presupponeva una decisa istanza didattico-conoscitiva e mirava a una concreta incidenza nella realtà storica, deve spingerci a interrogarci se non sia possibile anche per l’attuale produzione neostorica (o, perlomeno, per una sua parte) una lettura in grado di rivelare una prospettiva politica. Se ciò fosse confermato, si potrebbe riconoscere nella consolidata fioritura di romanzi misti di storia e di invenzione un tentativo di reazione all’appiattimento della nostra capacità di comprendere il passato, di ricostruzione della profondità storica.