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La personalizzazione della storia

LA STORIA COME INTRIGO DI POTERE

3.1 La personalizzazione della storia

Nel corpus di opere individuato, un cospicuo numero di romanzi tende a configurarsi come un aggregato omogeneo sulla base di una comune modalità di rappresentazione della storia, che risulta dall’impiego pressoché sistematico di un insieme limitato di strategie testuali tese verso un medesimo fine; una modalità molto diversa da quella implicata dal romanzo storico classico142.

Nella sua forma ottocentesca, e segnatamente nel modello scottiano143, il romanzo storico poggiava su una concezione della storia forte e organica, cioè su un’ideologia, lo storicismo romantico, che vedeva attuata nella storia una razionalità ad essa immanente. Per questo motivo, la storia entrava per la prima volta nella letteratura con un ruolo da protagonista: essa veniva rappresentata come un processo dinamico, frutto di una concatenazione di eventi legati da un nesso di causa-effetto; un cammino che procede attraverso la composizione di spinte divergenti, proteso verso il futuro in una progressione, se non sempre lineare, certamente dotata di direzione. Ciò si traduceva nell’adozione di un modulo

142 Si fa qui riferimento alla terminologia impiegata da G. Lukács nel primo capitolo del saggio Il romanzo storico per designare il modello soggiacente ai romanzi storici di grandi scrittori ottocenteschi, quali Manzoni, Cooper, Gogol, Puškin, Tolstoj, tutti in qualche modo considerati dallo studioso come debitori nei confronti della lezione di Walter Scott.

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Su questo tema cfr. György Lukács, Il romanzo storico, cit.; AA.VV. Storie su storie.

Indagine sui romanzi storici (1814-1840), cit.; indicazioni utili si possono desumere anche

da Donald Sassoon, La cultura europea degli europei dal 1800 a oggi, Milano, Rizzoli, 2008, in particolare nel capitolo dedicato a Il “Limpido splendore” di Walter Scott; sulla ricorrenza del modello scottiano nel romanzo storico ottocentesco in Italia cfr. invece AA.VV. Romanzo storico e romanticismo. Intermittenze del modello scottiano, a cura di [F. Ruggeri], Pisa-Ginevra, ETS-Slatkine, 1996

letterario funzionale ad esprimere la concezione del mondo e l’ideologia storicistica.

Esso prevedeva in primo luogo che la storia fosse rappresentata come concatenazione di età di crisi, via via risolte attraverso azioni di mediazione tra le parti in causa. In secondo luogo che i personaggi venissero delineati in modo da costituire dei «tipi storico-sociali»144, individui cioè rappresentativi di una sensibilità, di una visione del mondo, di interessi di classi storicamente determinate; infine che le grandi personalità storiche fossero introdotte in una posizione dalla quale la loro opera di mediazione scaturiva come un portato necessario delle condizioni materiali determinate dalla storia. Per questo motivo essi non occupavano il centro della scena narrativa, svolgendo una funzione rappresentativa del tutto analoga a quella degli altri personaggi.

Diversamente da questo modello, i romanzi inclusi in questa prima tipologia non rappresentano la storia come un flusso di eventi orientato e intelleggibile; sottopongono invece la storia ad un processo in virtù del quale essa tende a configurarsi come la risultante di scelte individuali compiute da personaggi che operano in concorrenza fra loro, ma senza radicarsi in un preciso contesto storico, senza cioè farsi espressione di interessi di classe ben individuati145. Se la storia si propone ancora come «campo»146 in cui si affrontano forze antitetiche, nella loro azione esse appaiono sostanzialmente svincolate da una logica storica così come sopra delineata, e radicate piuttosto in un terreno psicologico. Il senso della profondità della storia va incontro ad un processo di decadimento147: i

144 G. Lukács, op. cit., pag. 31

145 Secondo Lukács la più rilevante novità sul piano della concezione della storia introdotta dalla filosofia del XIX secolo consiste in un diverso modo di guardare al progresso umano: «Questo non viene più considerato come una lotta essenzialmente antistorica della ragione umana contro l’irrazionalità del feudalesimo e dell’assolutismo. Secondo la nuova concezione la razionalità del progresso umano viene sempre più sviluppata dall’intima contraddizione delle forze sociali operanti nella storia; la storia stessa diventa portatrice e realizzatrice di questo progresso» in . G. Lukács, op. cit., pag. 21

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Sul concetto di referente storico (fatto, evento, opera) come «campo di forze» cfr. Riccardo Campi, Davide Messina, Marta Tolomelli, Mimesis, origine, allegoria, Allinea editrice, Firenze, 2002, pag. 84 e segg.

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Dei rischi nell’età postmoderna di una riduzione del senso del passato alla visione stereotipata di una pop history aveva parlato Fredric Jameson in Postmodernismo, ovvero

personaggi cessano infatti di essere tipi medi, in grado di rappresentare con la propria psicologia e il proprio destino le posizioni di un gruppo sociale determinato in relazione a precise condizioni storiche148. Essi, al contrario, tendono a farsi espressione di pulsioni interiori che poco hanno a che fare con la storia. In questo modo la rappresentazione dei fattori economici, sociali, culturali, che concorrono a determinare i processi storici rimane confinata in una posizione marginale, come se ad essi non si riconoscesse più la capacità di illuminare i rapporti di reciproca interdipendenza che legano i fenomeni, rendendo la storia, se non suscettibile di predizione, almeno intelleggibile.

Coerentemente con questa impostazione, le grandi personalità del passato tendono ad occupare il centro della scena narrativa, occultando con l’eccezionalità della loro statura il significato che dovrebbero assumere sul piano della storia: viene meno così il senso della necessità della loro comparsa entro un determinato contesto storico-sociale149. Al contrario sono tali personalità che imprimono sulla storia il suggello della propria grandezza, determinando con le loro scelte conseguenze che appaiono, in una luce retrospettiva, delle svolte storiche cruciali, soprattutto nel senso negativo di occasioni di progresso e di sviluppo mancate. È frequente, infatti, che essi siano portatori di una visione della storia così nitida da

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Sulla tendenza del romanzo storico contemporaneo a spostare il baricentro dell’interesse dal personaggio medio rappresentativo alla grande personalità storica concorda anche Marinella Colummi Camerino, che la considera uno degli elementi più caratteristici della rifioritura del genere in età postmoderna. Cfr. a tal proposito Marinella Colummi Camerino, Introduzione a La storia nel romanzo (1800-2000), cit., pag. 20

149 Anche Hegel nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia teorizza la centralità della personalità storica d’eccezione, il welthistorisches Individuum, nelle fasi di sviluppo del processo storico. Va tuttavia notato che nella visione di Hegel l’“individuo storico universale” non agisce come un eroe romantico che imprime il suggello della propria personalità d’eccezione sulla storia; egli interviene, invece, solo come strumento dello spirito, traghettandolo verso una tappa successiva nel suo cammino di progressiva acquisizione di consapevolezza e di liberazione. Nel fare questo, egli non fa che agire come interprete di fermenti che sono già insiti nella società, anche quando essa non ne sia ancora consapevole. La funzione della grande personalità storica non consiste dunque, nella filosofia idealistica di Hegel, nel plasmare la storia ex nihilo, ma nel portare ad un superiore livello di consapevolezza, nell’esplicitare e nell’attuare una direzione che era già immanente allo stato delle cose, mettendosi al servizio di una razionalità che supera la dimensione individuale. In questo senso egli è profondamente radicato nel suo tempo, di cui costituisce allo stesso tempo il prodotto e il momento di superamento.

apparire profetica: la loro consapevolezza è anacronistica150, in quanto risente chiaramente della prospettiva con cui autore e lettore osservano il passato ex post151. Nella maggior parte dei casi, le ripercussioni causate dalla loro azione risultano fondamentali per la fisionomia assunta dal presente, con ciò dimostrando che il passato continua ad essere inteso come preparazione dell’oggi, anello necessario in una concatenazione di eventi che, attraversando i secoli, giunge sino al tempo della scrittura. Tuttavia, esso non è più spiegabile in termini di conflitto fra le classi, non è più cioè concepito come fenomeno che mobilita le masse e trae origine dalla loro contrapposizione. Ciò si traduce in una perdita di fiducia nell’esistenza di una precisa direzione di sviluppo della storia, che, in quanto processo collettivo, appare svuotata di significato: essa è suscettibile di interpretazione solo in quanto prodotto dell’azione individuale di personalità irripetibili, di norma tratte dal repertorio dei personaggi storici più radicati nell’immaginario collettivo. Essi entrano in scena ammantati del fascino della loro rappresentazione stereotipica.