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Il dolore in terapia intensiva A Ciccone

Terapia Intensiva Ospedale San Salvatore L’Aquila

Un obiettivo prioritario nella gestione del paziente critico è rappresentato dalla prevenzione e/o trattamento del dolore e degli stati di ansia e agitazione correlati alla degenza in Terapia Intensiva. A tal fine, l’adozione di procedure di analgo-sedazione rappresenta un aspetto fondamentale finalizzato a ridurre il distress e ad agevolare le cure e le manovre di nursing. Nell’ultimo decennio, tuttavia, si è assistito ad un mutato atteggiamento nei confronti della pratica di sedazione del paziente critico con il passaggio da regimi “liberali” di farmaci sedativi e analgesici ad atteggiamenti che, in virtù di modalità di somministrazioni di analgesici più razionali, permettono al paziente di interagire e orientarsi nell’ambiente che lo circonda. Già a fine anni ’90, ci si è resi conto che un regime di somministrazione continua si associa ad un prolungamento del periodo della ventilazione meccanica. Kress et al., in uno studio pubblicato nel 2000 sul New England Journal of Medicine, conclusero che l’interruzione quotidiana di analgesici e sedativi fino al ripristino di un completo stato di vigilanza e/o fino alla ricomparsa di una sintomatologia algica era in grado di ridurre i giorni di ventilazione meccanica e i tempi di ricovero in Terapia Intensiva.

Il dolore in UTI costituisce un fattore dalla fisionomia multifattoriale risultando legato alla presenza di condizioni morbose preesistenti, all’adozione di dispositivi quali tubi endotracheali, maschere e drenaggi, all’esecuzione di manovre di nursing e di procedure invasive e, infine, all’immobilità in cui il paziente è costretto.

A tutt’oggi, nonostante la messa a punto di raccomandazioni sulla gestione dell’analgesia in UTI da parte delle più importanti Società Scientifiche e nonostante le maggiori conoscenze sui meccanismi fisiopatologici del dolore, il trattamento di tale sintomo risulta ancora inadeguato sia per le difficoltà di valutazione poste da un paziente non comunicante sia per l’inappropriatezza delle modalità di somministrazione di un analgesico.1

E’ noto che una percentuale maggiore del 60% dei pazienti ricoverati in UTI abbia riferito, nel corso della degenza, dolore da moderato a severo non legato a manovre dolorose.2-3

Le caratteristiche del dolore in UTI riproducono abbastanza fedelmente le peculiarità del dolore postoperatorio in cui ad una sintomatologia di fondo si sovrappongono dei picchi rappresentati dalle manovre effettuate sul paziente.4 Alla prevalente natura nocicettiva, nelle sue componenti somatica e viscerale, può essere associata una componente neuropatica (sindrome di Guillain- Barrè, lesioni midollari o dei tronchi nervosi) ben responsiva alle terapie con farmaci anticonvulsivanti o antidepressivi.

Le conseguenze del dolore non trattato, che contribuiscono all’incremento di morbidità e mortalità in UTI, includono l’incremento del consumo di ossigeno miocardico, le alterazioni della dinamica ventilatoria in senso restrittivo, l’incremento del catabolismo proteico e della lipolisi, l’ipercoagulabilità, le alterazioni della funzione immunitaria in senso depressivo e il disordine post- traumatico da stress.

Le oggettive difficoltà che si incontrano nella messa a punto di protocolli di valutazione e trattamento del dolore in UTI possono essere riassunte in vari contesti di criticità: il timore degli effetti collaterali dei farmaci analgesici, la mancanza di strumenti oggettivi di valutazione del sintomo nei pazienti non comunicanti, la presenza di pregiudizi legati a comportamenti sociali discutibili e le difficoltà di comunicazione derivanti dalla discordanza di opinioni esistenti tra personale medico e paramedico.

La valutazione del livello di analgesia mediante scale di valutazione del dolore, differenziate per il paziente comunicante e per il paziente non comunicante, costituiscono ormai già da tempo una raccomandazione della SIAARTI. Tra le modalità utilizzate ai fini della misura dell’intensità del dolore, il “gold standard” è rappresentato dagli strumenti di autovalutazione (VAS o Visual Analogue Scale, NRS o Numeric Rating Scale, VGS o Verbal Graphic Scale) in grado di evitare sovrastime del livello del dolore, ma applicabili ai soli pazienti comunicanti.

Nell’ultimo decennio sono stati introdotti degli strumenti finalizzati alla valutazione del dolore nei pazienti non comunicanti (eterovalutazione); tali strumenti sono frutto dell’integrazione di una valutazione comportamentale con parametri fisiologici e, fornendo uno score numerico, risultano facilmente applicabili dal punto di vista operativo.

La scala BPS o Behavioral Pain Scale, introdotta in Francia nel 2001, ha la peculiarità di valutare tre componenti (espressione del viso, tono degli arti superiori, adattamento alla ventilazione meccanica) su quattro livelli fornendo uno score compreso da 3 a 12.5

La scala CCPOT o Critical Care Pain Observation Tool, strutturalmente molto simile alla precedente, è caratterizzata da cinque elementi descrittivi su tre livelli e da uno score compreso tra 0 e 8.6

La scala ATICE o Adaptation To Intensive Care Environment, infine, valuta il livello di coscienza e il grado di tolleranza all’ambiente, fornendo uno score tra 0 e 20.

In considerazione del fatto che il dolore nocicettivo somatico costituisce la quota maggiore della sintomatologia algica in UTI, gli oppioidi agonisti puri (morfina, fentanyl, sufentanil, remifentanil) risultano gli analgesici più utilizzati in ragione dell’elevata affinità ed efficacia nei confronti dei recettori μ. I criteri di scelta della molecola dovrebbero, tuttavia, tenere conto della necessità di una rapida valutazione neurologica, della necessità di una profonda analgesia e della presunta durata della ventilazione meccanica. In altri termini, sebbene la cinetica della molecola dell’oppioide possa essere correlata alla durata della ventilazione meccanica e al numero dei giorni di ricovero in UTI, in caso di permanenze in UTI che superino le 72 ore, non esistono ancora sufficienti evidenze per decretare la superiorità di un analgesico in termini di efficacia, mortalità e durata della ventilazione meccanica solo sulla base delle sue caratteristiche farmacocinetiche.7-8

Bibliografia

1. Brennan F, Carr D, Cousins M. Pain management: a fundamental human right. Anesth Analg 105; 205-221 2007

2. Chanques G, Jaber S, Barbotte E et al. Impact of systematic evaluation of pain and agitation in an intensive care unit. Crit Care Med 34; 1691-1699 2006

3. Penglin M, Jingtao L, Xiuming X et al. Practice of sedation and the perception of discomfort during mechanical ventilation in Chinese intensive care units. J Crit Care 25; 451-457 2010

4. Payen JF, Chanques G. Pain Management. Ann Fr Anesth Reanim 27; 633-640 2008

5. Payen JF, Bru O, Bosson J et al. Assessing pain in critically ill sedated patients by using a behavioural pain scale. Crit Care Med 29; 2258-2263 2001

6. Gelinas C, Fillion L, Puntillo K et al. Validation of the critical care pain observation tool in adult patients. Am J Crit Care 15; 420-427 2006

7. Spies C, Macguill M, Heymann A et al. A prospective, randomized, double-blind, multicenter study comparing remifentanil with fentanyl in mechanically ventilated patients. Intensive Care Med 37; 469-476 2011

8. Tan JA, Ho KM. Use of remifentanil as a sedative agent in critically ill adult patients: a meta-analysis. Anaesthesia 64; 1342-1352 2009

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