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Terapie sostitutive renali continue nella gestione dell’IRC preoperatoria R Lucian

UOC Nefrologia Dialisi Trapianto Azienda Ospedaliera San Giovanni e Ruggi d’Aragona Salerno Parole Chiave: acute kidney iniury(AKI);cardiochirurgia;insuffcienza renale cronica;biomarkers

L’ insufficienza renale acuta (IRA) è una delle più gravi complicanze che si possono manifestare nel post intervento cardochirurgico; la riduzione della funzionalità renale nel post operatorio è un fattore prognostico estremamente sfavorevole. L’ incidenza varia dall’5% al 30% in rapporto alla definizione di IRA adottata dai singoli centri, (1; 5) con un’elevata percentuale di mortalità che varia dal 15% e al 30%. (5).La presenza di IRA grave tale da richiedere un trattamento emodialitico sostitutivo varia tra 1-5%, con una mortalità elevata che sfiora il 70%. (5; 1)

Negli ultimi anni l’IRA è stata oggetto di molti studi, volti a risolvere numerosi aspetti ancora controversi nella sua definizione (1). In Letteratura si definisce insufficienza renale acuta, un rapido (ore o giorni) deterioramento della funzionalità renale, con conseguente incapacità di smaltire i prodotti di catabolismo azotato e del mantenimento dell’omeostasi idroelettrolitica ed acido-basica (1). Tale definizione estremamente generica, ha prodotto un numero molto elevato di sottodefinizoni operative (circa 40) con impossibilità all’utilizzo di precise linee guida diagnostiche univoche e al confronto dati di incidenza fra Centri diversi.

L’importanza di trovare una definizione univoca deriva dell’esigenza di sviluppare modelli sperimentali validi e per permettere il confronto di studio osservazionali. (1)

In questa condizione patologica, i comuni markers che vengono utilizzati per l’identificazione e la valutazione della funzionalità renale nei pazienti con insufficienza renale cronica, come la creatinina, il BUN, il volume urinario sono un indice di scarsa specificità e i tradizionali markers urinari sono aspecifici e poco sensibili. (1)

La nefrologia di area critica ha sviluppato le proprie linee di ricerca in due filoni principali: la definizione del concetto di danno renale (acute kidney iniury-AKI) e la ricerca di indicatori di danno renale sempre più precoci.

Entrambi i filoni di ricerca nascono dalla necessità di identificare sempre più precocemente le modificazioni anche minime della funzione renale; in questo senso si è passati dal concetto di IRA al concetto di danno renale (AKI). Nell’ultimo decennio si passati da un concetto di insufficienza renale acuta, intesa come una generica e rapida riduzione della funzionalità renale dovuta ad un danno conclamato del rene, ad un concetto di danno renale acuta (AKI, acute kidney injury) dando maggiore importanza al danno ancora reversibile prima che si identifichi con una importante sofferenza renale con valori elevati di creatinina o riduzioni importanti del filtrato.

Sempre in tale contesto, si è iniziata la ricerca di markers di laboratorio precoci in grado di esprimere in modo quantitativo l’evoluzione e il grado del danno renale.

L’obiettivo finale è stato quello di trovare un marcatore o una serie di marcatori che corrispondano il più possibile alle caratteristiche del marcatore ideale. Il biomarker ideale è una molecola che: aumenta la sua concentrazione nelle urine e/o nel sangue in modo visibile e in breve tempo (minuti o ore) dall’insulto renale, deve essere reperito con metodi pochi invasivi e veloci e in più che i risultati siano disponibili in breve tempo, deve rimanere in elevate concentrazioni finché è presente l’ischemia, in più la sua concentrazione deve variare con l’estensione del danno.

BIOMARKERS

Recentemente sono state individuate e studiate alcune proteine che possono essere utilizzate per identificazione precoce dell’AKI, in molti studi si sono rivelati sensibili e specifici al danno renale. (2)

I nuovi indici di funzionalità renale (biomarkers) individuati e ancora in via di sviluppo sono: la cistatina C, IL-18, KIM-1 e NGAL; quest’ultimo sarà da noi preso in esame perché in alcuni studi si è rivelato un marker sensibile e specifico dell’AKI negli interventi cardiochirurgici sia in età pediatrica sia in età adulta

FATTORI DI RISCHIO PER AKI

Negli ultimi anni sono stati identificati numerosi fattori di rischio preoperatorio, intra-operatorio e complicanze post-operatorie, associati allo sviluppo di insufficienza renale acuta. La conoscenza di questi fattori è molto importante per stimare il rischio di sviluppare IRA dopo un intervento chirurgico e adottare se necessarie misure preventive e specifiche nei pazienti a rischio selezionando un’adeguata tecnica chirurgica.

FATTORI DI RISCHIO PRE-OPERATORI:

Sono fattori determinati da caratteristiche demografiche e cliniche dei pazienti, associati allo sviluppo di IRA nel post- cardiochirurgico. Sono: l’età avanzata, il sesso femminile, diabete mellito, scompenso cardiaco, frazione di eizione del ventricolo sinistro <35%, obesità, vascolopatia periferica, utilizzo per-operatorio del contro pulsatore aortico, precedenti interventi chirurgici, insufficienza renale cronica, malattia aterosclerotica e farmaci potenzialmente nefrotossici. Una migliore funzionalità renale pre operatoria riduce il rischio di sviluppo di IRA nel post-operatorio.

Sono stati identificati 10 fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo di AKI nel post intervento, sulla base dei quali è stato strutturato un algoritmo di stratificazione del rischio. In alcuni studi è stato dimostrato che l’incidenza di IRA aumentava con il progredire della categoria di rischio. Porre maggiore attenzione ai fattori di rischio pre operatori ci permette di identificare dei sottogruppi con maggior rischio di AKI e quindi progettare dei trials clinici più mirati e in più ci consente di attuare tutte le metodiche per prevenire o limitare il danno renale.

FATTORI INTRA-OPERATORI:

Viene valutato il tipo di intervento e le procedure da attuare, quindi l’utilizzo: della circolazione extracorporea, il grado di emodiluizione, l’emolisi, la durata della circolazione extracorporea e del clampaggio aortico. Inoltre la sostituzione valvolare è un indice predittivo di IRA in particolare se si va ad intervenire sulla valvola Mitrale, il rischio aumenta se la sostituzione è associata a rivascolarizzazione miocardica.

La circolazione extracorporea contribuisce all’alterazione della funzione renale poiché causa: l’attivazione della cascata infiammatoria e della cascata coagulativa, si verifica emolisi e la liberazione di emoglobina che insieme all’endotelina, elastasi e radicali liberi dell’ossigeno danneggiano l’epitelio del tubulo renale. In più i flussi non pulsati condotti in cec, l’ipotermia e la durata della circolazione extracorporea possono contribuire ad alterazioni renali.

Da uno studio condotto da Boldt su 100 pazienti di cui 50 sottoposti ad intervento con una durata della circolazione extracorporea minore di 70 minuti ed i restanti con un tempo di cec maggiore di 90minuti è emerso che entrambi i gruppi non hanno subito modificazioni importanti della clerance della creatinina, ma si è riscontrato un incremento maggiore della concentrazione dell’escrezione di sodio e della concentrazione urinaria di alcune proteine “rene specifiche” (NAG e glutatione trasferasi-α) nei pazienti sottoposti ad tempo di by-pass cardiopolmonare maggiore di 90 minuti.

L’emodiluizione causa una riduzione della capacità di trasporto ossigeno ai tessuti, si hanno vari gradi di emodiluizione di grado lieve con un ematocrito (Ht) >25%, moderata un ematocrito tra 21% e 25% e grave <21%, tuttavia anche se si ha una riduzione del trasporto di ossigeno una ridotta viscosità determina un aumento del flusso dei vari distretti tale da compensare la ridotta capacità di trasporto dell’O2. In uno studio effettuato recentemente un emodiluizione moderata è stata associata a minor rischio di IRA post-

operatoria.

FATTORI POST-OPERATORIO

Ci sono dei fattori di rischio post-operatori che portano all’AKI e sono dovuti a una cattiva gestione del paziente o per complicanze post intervento che causano: disidratazione, danno renale da emoglobinuria o mioglobinuria, eccessivo utilizzo di diuretici, ipotensione iatrogena, instabilità emodinamica con necessità di impianto di un contropulsatore e somministrare farmaci inotropi e vasopressori, procedure con mezzo di contrasto e utilizzo di farmaci nefrotossici come antibiotici e FANS.

CRITERI RIFLE E AKINET

Ci sono molte definizioni date nei vari studi che sono stati pubblicati sulla diagnosi di AKI, molte di queste definizioni sono basate sull’incremento del valore della creatinina (4). Nel 2002 per porre una definizione univoca alla diagnosi di AKI, l’Acute Kidney Dialysis Quality Initiative sviluppò un lavoro dove proponeva di prendere i criteri RIFLE come criteri di base e uniformi per iniziare la terapia dialitica e per la classificazione del danno renale acuto (4; 9). I criteri RIFLE mettono in relazione il GFR (il filtrato glomerulare ), il valore della creatinina e il volume delle urine. Questi criteri stratificano i pazienti in tre gradi in base alla gravità del danno renale acuto: i pazienti a RISCHIO, i pazienti che presentano un DANNO renale, i pazienti con INSUFFICIENZA Renale,e in due classi di prognosi: pazienti con la PERDITA della funzione renale e in fine lo stadio finale di una grave insufficienza renale (end-stage kidney disease, ESRD) (4; 9).

Nel 2005 l’acute kidney Injury Network (AKIN) propose il termine di Acute Kidney Injury (AKI) per rispecchiare l’intero spettro di un insufficienza renale acuta e definirono l’AKI come un processo che causa una riduzione della funzionalità renale, con un incremento del valore della Creatinina (aumento maggiore del 50% del valore iniziale o ≥0.3 mg/dl)altrimenti con una riduzione della della quantità delle urine prodotte(oliguria <0.5ml/kg/h per più di 6 h) (4).

Nel 2005 sono stati formulati i criteri AKINET (Acute Kidney Injury Network) che mettono in relazione la diuresi e l’incremento della creatinina costituendo così 3 classi:

STADIO 1, si ha un aumento della creatinina in serio maggiore o uguale a 0.3mg/dl del valore basale e si ha una diuresi di 0.5 ml/kg/h per 6 ore.

STADIO 2, si ha un aumento della creatinina del 200-300% rispetto al valore basale (creatinina compresa tra 2 e 3 mg/dl) e una diuresi di 0.5 ml/kg/h per 12 ore

STADIO 3, un aumento maggiore del 300% della creatinina (creatinina in siero ≥4mg/dl) e una diuresi di 0.3 ml/kg/h per 24 ore o anuria per 12 ore.

FISIOPATOLOGIA

La causa principale dell’insufficienza renale acuta che si osserva dopo interventi cardiochirurgici è da attribuire a necrosi tubulare acuta, ci può essere un origine multifattoriale.

La necrosi tubulare acuta è il risultato di ischemia dei tubuli renali e da insulti nefrotossici. L’ipoperfusione renale severa può progredire e diventare necrosi se non viene corretta in modo tempestivo e con un’adeguata terapia.

Numerosi esperimenti fatti hanno portato a conoscenza che numerose endotossine e numerosi mediatori infiammatori sono direttamente citotossici per l’endotelio renale e per le cellule dei tubuli renali e si pensa che questi fattori nefrotossici insieme all’ipoperfusione causano necrosi tubulare acuta in pazienti critici.

La fisiopatologia dell’ischemia e necrosi tubulare acuta procede per fasi: si ha ipoperfusione renale per cause presenili, ne consegue una riduzione dell’apporto di ossigeno che porta ad un lento danno tubulare, prima all’Ansa di Henle che è la parte più sensibile all’ischemia e poi del tratto prossimale e si riscontra anche una riduzione del filtrato glomerulare (GFR). Se questa fase iniziale se persiste si istaurano dei cambiamenti microvascolari che contribuiscono a sviluppare una fase di estensione e mantenimento dove si innescano dei processi infiammatori, l’endotelio attivato guida l’infiltrazione leucocitaria con conseguente danno citotossico e infiammatorio.

L’infiammazione aggrava l’ostruzione che riduce la pressione di perfusione e l’ipoperfusione del microcircolo che cede radicali liberi e enzimi, con la relativa attivazione del complemento che contribuisce al reclutamento dei neutrofili e al danno tessutale, in questa fase continua il danno delle cellule tubulari con crescente apoptosi. E questo insieme alla vasocostrizione a alla perdita di tubuli renali funzionali porta ad una riduzione della filtrazione glomerulare che porta anche ad oliguria.

Una volta che si ristabiliscono le condizioni emodinamiche ottimali inizia la fase di riparazione, dove si ristabilisce l’epitelio continuo, le cellule ristabiliscono una normale polarità epiteliale e finuzione di trasporto.In questa fase c’è un risanamento del danno endoteliale e il restauro della normale funzione tessutale

Quindi sono stati identificati tre processo dell’insufficienza renale acuta: 1-morte ed esfoliazione del tubulo prossimale e dell’Ansa di Henle 2-ripopolazione le cellule epiteliali si iniziano a differenziare 3-le cellule tubulari recuperano la loro funzione.(6)

TERAPIE SOSTITUTIVE RENALI

Oltre all’ormai consolidato uso per il trattamento dell’insufficienza renale acuta (IRA), le terapie sostitutive renali possono trovare delle valide applicazioni alternative in cardiochirurgia; una di queste è la circolazione extracorporea durante chirurgia cardiaca. Tra le cosiddette indicazioni “non renali” trovano posto anche: la sindrome da distress respiratorio acuta (ARDS), l’insufficienza cardiaca congestizia e cronica, l’acidosi lattica, la sepsi e altre sindromi infiammatorie.

Journois e coll. dimostrarono per primi i vantaggi nell’utilizzo di una tecnica di emofiltrazione modificata intraoperatoria su parametri respiratori e cardiaci in bambini sottoposti a bypass cardiopolmonare; la disponibilità e l’utilizzo crescente di membrane sintetiche a medio alto coefficiente di permeabilità, e l’evidenza di membrane come AN 69 capaci di legare citochine pro infiammatorie hanno determinato un progressivo allargamento delle indicazioni all’utilizzo di terapie sostitutive renali per indicazioni alternative .

In Letteratura, è stata proposta l’utilizzazione di tecniche di terapie sostitutive renali continue in emofiltrazione veno-venosa continua (CVVH) in corso di circolazione extracorporea con l’intento di ridurre la sindrome di risposta infiammatoria sistemica (SIRS) correlata al bypass cardiopolmonare con i suoi correlati (sindrome post-pump, prolungamento dei tempi di ventilazione meccanica e dei tempi di degenza in terapia intensiva).

BIBLIOGRAFIA

1. E.Fiaccadori,C. Rotelli, E. Parentiet al. Indici prognostici nel paziente critico con insufficienza renale acuta. Giornale Italiano di Nefrologia. Anno 23 S-36, 2006. Pp. S22-S29.

2. Hua Zhou,Stephen M.Hewitt, Peter S.T. Yuen and Robert A.Star. Editorial: Acute Kidney InjuryBiomarkers-Needs, Present Status, and Future Promise. Nephrology Self-Assessment Program. Vol 5, No 2, March 2006.

3. Java Mishra, Catherine Dent, Ridwan Tarabishi et al. Neutrophil gelatinase-associated lipocalin (NGAL) as a biomarker for acute renal injury after cardiac surgery. The lancet volume 365 April2, 2005.

4. Won K. Han. Biomarker for early Detection of Acute Kidney Injury. Nephrology Rounds. April 2008 volume 6, Issue 4. 5. S. Morabito, I. Guzzo, A. Solazzo et al. Insufficienza renale acuta post-cardiochirurgica.Giornale Italiano di Nefrologia. Anno

23 S-36,2006. Pp S52-S60.

6. Renzo Lodi, Giorgio Noera, Claudio Castantini.Circolazione extracorporea miniaturizzata (mini-cec). Tratto dal libro: circolazione extracorporea e supporti circolatori seconda edizione.

7. U. Benedetto, R. Luciani, M. Goracci, F. Capuano et al. Miniaturized cardiopolmonary bypass and acute kidney injury in coronary artery bypass grafting.

8. Marc P. Sakwa, Robert W.Emery, Francis L.Shannon et al. Coronary artery bypass grafting with a minimized cardiopulmonary bypass circuit: A prospective, randomized trial. The journal of Thoracic and cardiovascular Surgery. Volume 137, Number2. 9. George J. Arnaoutakis, Azra Bihorac, Tomas D. Martin, Philip j.Hess et al. Rifle criteria for acute kidney injury in aortic arch

Sicurezza e rischi della tracheotomia percutanea in Rianimazione

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