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Dopo il parricidio

2. Piano dell’opera

2.2 Dopo il parricidio

L’interpretazione della romanzo degli anni ottanta in termini di mutamento del rapporto con la tradizione viene presentata in uno studio di Alberto Casadei. Secondo lo studioso il cambiamento intervenuto negli anni ottanta, di cui i romanzi di Eco e Tondelli sono emblema, va interpretato, coerentemente a quanto sostengono Jameson e Ceserani, in termini di mutamento del rapporto con la cultura umanistica che aveva

4 Ceserani R., Raccontare il postmoderno, Torino, Bollati Boringhieri, 1997, p. 89

5 Jansen M., Il dibattito sul postmoderno in Italia, Firenze, Franco Cesati, 2002, p. 171

rappresentato, fino a quel momento, un polo di imprescindibile confronto, anche problematico e sofferto, un insieme di temi, modelli, linguaggi e immaginari in cui lo scrittore, che era ancora un intellettuale umanista, si muoveva con sicurezza. Nel corso degli anni ottanta invece la tradizione e la cultura umanistica non funzionano più come modello vivo ma si avviano a diventare repertorio. Gli autori degli anni ottanta, in particolare gli autori giovani - lo si dirà meglio poi - si nutrono di riferimenti spesso alieni dalla tradizione alta e colta, guardano all’universo dei consumi e della cultura di massa, ricorrono a linguaggi gergali, un idioletto facilmente comprensibile per chi condivida i medesimi riferimenti culturali e sostanzialmente oscuro per chi si trovi all’esterno di certe coordinate anagrafiche. Ovviamente non si tratta di un processo univoco, quanto di una dominante del periodo, di un mutamento che ha le sue radici in corrispondenza dei cambiamenti intervenuti nella società affluente dagli anni sessanta in avanti:

La tradizione umanistica che, pur con profonde modifiche e con numerose crisi, aveva per secoli considerato fondamentale il conoscere i classici in funzione dell’agire, diventa un patrimonio improduttivo o inattivo non perché venga di colpo abbandonata, come è stato più volte semplicisticamente affermato, ma perché gli autori non interagiscono con essa per interpretarla con gli strumenti del presente allo scopo di comprenderla nei suoi presupposti (secondo una prospettiva latamente filologica) oppure di farla fruttare, rinnovandola (secondo una prospettiva attualizzante (…). Prevale invece un nuovo atteggiamento, che ha molto a che fare con la scelta da catalogo, cosicché dalla tradizione ci si può limitare ad estrarre elementi piacevoli e riadattabili che lasciano intuire la loro profondità storica ma in forma per così dire neutra puramente esornativa; oppure del patrimonio della tradizione si fa un lungo in potenza infinito elenco che però porta ed equiparare classici e opere minori

testi davvero imprescindibili e altri solo di moda, insomma, l’altro e il basso di poco tempo prima.7

Le conseguenze di questo tipo di approccio sono, secondo Casadei, da rintracciare in un relativismo che elimina la possibilità di fondare «nuovi valori dominanti»8 e in un

depotenziamento del «ruolo stesso di mediazione culturale che per secoli era stato mantenuto dalla classe intellettuale nel suo insieme, e dai letterati in particolare».9

Diverso è, ad esempio, l’atteggiamento assunto da Arbasino, che al fondo «rispetta le distinzioni tra valori e non valori artistici e persino etici»,10 e quello di Tondelli che

osserva «culture che si sviluppano ormai lontano dalla letteratura, e anzi afferma la

7 Casadei A.,Stile e tradizione nel romanzo italiano contemporaneo, Bologna, Il Mulino, 2007, p.46

8 Ivi, p.47

9 Ibidem

prevalenza del vissuto (o presunto tale) rispetto allo studiato-interpretato».11 Non si

tratta di una caratteristica limitata agli esordienti degli ottanta, Casadei individua in Alessandro Baricco uno dei massimi interpreti di questo tipo di sensibilità, in grado di muoversi con la leggerezza necessaria alla superficie del mondo nuovo:

Il suo ruolo è quello di oppositore non trasgressivo (…) lettore di classici ma non di loro interprete (la sua modalità di fruizione è ancora parcellizzata, da catalogo), di scrittore-citatore, che fa un uso della propria enciclopedia culturale continuo, non ironico, un autore portato a ritornare sempre su pochi temi (…) di grande impatto e declinati come mappe per decifrare un presente che (…) viene regolarmente

esorcizzato.12

Il tema del mutamento del rapporto con la tradizione era stato discusso in tempo quasi reale: al 1992 risalgono gli atti di un convegno dedicato ai Percorsi della nuova

narrativa italiana pubblicati dalla casa editrice anconetana Transeuropa -vera e propria factory della narrativa italiana degli anni novanta, sismografo sensibilissimo in grado di

creare, intercettare e riflettere sulle tendenze in atto-13 che dimostrano come per i

partecipanti fosse già chiaro che

È la letteratura stessa ad aver perduto il suo ruolo centrale nel quadro di riferimento degli scrittori degli anni ottanta, meglio disposti a riconoscere i propri stati d’animo nelle canzoni o nei film, ad affidare alle chiavi di interpretazione offerte da queste espressioni creative la via di accesso alla conoscenza e alla comprensione della realtà […] Nel nuovo immaginario degli scrittori degli anni ottanta, musica, cinema e arti visive coabitano da soggetti protagonisti e possibilità di linguaggi originali, influenzano la scrittura in un sistema di vicendevole scambio, di commistione continua che darà vita a esperienze e percorsi

narrativi originali14

Rocco Carbone in uno degli interventi nota: «si è, a mano a mano, sempre più insistentemente cancellata quella mappa del Novecento con la quale tutti noi abbiamo imparato a distinguere i valori letterari che ci appartengono, a orientarci tra autori e opere, a localizzare quelle posizioni che hanno fatto da cardine nel nostro secolo (…)».15

11 Ibidem

12 Ivi, p. 48

13 Si vedano Picone G., Panzeri F., Raffaeli M., e Ferracuti A,. (a cura di), Paesaggi Italiani, Ancona,

Transeuropa, 1994; Panzeri F., Picone G., Tondelli. Il mestiere di scrittore. Una conversazione-

autobiografia, Ancona, Transeuropa,1994; Gaspodini C., (a cura di) Il mondo secondo Frusciante Jack,

Ancona, Transeuropa, 1999

14 Picone G., Ipotesi critiche per la lettura di un’onda in Picone G., Panzeri F., Raffaeli M., e Ferracuti

A., (a cura di),1994, p.42

Tale considerazione è ripresa e ampliata da Angelo Ferracuti che aggiunge «ci sarebbe bisogno allora di una nuova cartografia letteraria e culturale, quantomeno di una buona bussola per riorientare gli indirizzi (…). Ci sarebbe bisogno di nuovi capitani, di nuovi maestri, ma i maestri non ci sono più, se ne sono andati e hanno lasciato al loro posto un fantasma. Un fantasma cui Carbone dà il nome di tradizione».16 Se si mettono queste

considerazioni in relazione al contributo dei Wu Ming del 2008 Noi dobbiamo essere i

genitori si può notare che il recupero di un’etica della parola romanzesca e del suo

significato civile dopo «l’opera di parricidio compiuta dai fondatori del postmoderno»17

- secondo la già citata formulazione di David Foster Wallace del 1993 - si presenta come una sorta di risposta a distanza ai dubbi e agli interrogativi degli scrittori “giovani” di circa un quindicennio prima e, più in generale, appare possibile sostenere che buona parte della produzione degli anni zero possa essere letta in termini di sforzo di costruzione e di ripristino di qualcosa di nuovo dopo un lungo periodo di crisi, quasi una risposta tardiva a quanto Goffredo Fofi denunciava, con accenti apocalitticamente iperbolici, nel 1984: «perché possa rinascere una narrativa italiana di qualche dignità, perché i nuovi autori possano crescere ed affermarsi, perché abbiano qualcosa da dire e sappiano come dirlo, passeranno molti anni».18 In realtà si può notare che una ripresa di

fiducia e di interesse nei confronti della narrazione non è un dato che riguarda soltanto gli anni zero, per quanto molte descrizioni schematiche del periodo insistano su questo punto, ma riflessioni sul tema possono essere rintracciate lungo tutto il corso dei decenni precedenti. Ad esempio la prefazione del primo numero della rivista Panta pubblicata nel 1990 e dedicata ai nuovi narratori recita:

Panta è realizzata da un gruppo di autori la cui appartenenza ad una stessa generazione si esprime nella ritrovata fiducia nel narrare; (…) Panta viene ad esprimere una convinzione forte e precisa: e cioè che oggi la letteratura possa raccontare il mondo facendo riferimento solo a se stessa e alle proprie motivazioni (…) Il voler lavorare insieme ad autori stranieri, il volerci confrontare, il voler accostare le rispettive narrazioni significa credere che l’appartenenza alla stessa generazione non è esclusivamente un fattore anagrafico ma comporta l’aver letto gli stessi libri, visto gli stessi films, ascoltato la stessa musica negli Stati Uniti, come in Germania o in Italia o in Iugoslavia. E che la consapevolezza di quello che

16 Ibidem

17 Wallace, D. F., An Interview with Larry McCaffery, The Review of Contemporary Fiction, 1993

Summer; 13 (2), p. 150 in Wu Ming 1, Noi dobbiamo essere i genitori, in Wu Ming, New Italian Epic:

Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Torino, Einaudi, 2009, p.120

divide (…) non nasconde la ragione principale che ci unisce: la riaffermazione del valore della

letteratura19

In questo caso l’accento è posto sulla convinzione che la letteratura possa raccontare il mondo e sulla dimensione internazionale della formazione degli scrittori giovani. Di specifico i narratori degli anni zero avranno l’insistere sul portato etico delle loro scelte e il ricorso ad allegorie storiche per riflettere sul presente, oltre ad un rapporto estremamente più complesso e articolato con il mercato e con la sfera pubblica della loro attività. Anche Filippo La Porta, critico che ha proposto a metà anni novanta un’analisi delle forze in campo a partire dalle recensioni da lui curate nel corso degli anni precedenti, ritiene che dagli anni ottanta gli scrittori che vengono chiamati giovani20 facciano i conti con «il senso di venire dopo, dopo la fine anticipata del

Novecento, dopo la fine del mondo (ovvero di un preciso mondo culturale, storico) dopo la fine della modernità ecc. Insomma la consapevolezza (ilare o tragica, gioiosa o luttuosa) che si è spezzato un legame con i modelli della tradizione del passato».21

Una discontinuità culturale intesa come svuotamento delle tradizioni del Novecento che non corrisponde ad alcuna cesura storica e che, secondo La Porta, coincide con il postmoderno. Il discorso sull’assenza di cesure storiche periodizzanti, unito alla percezione di un’avvenuta mutazione, viene ampiamente ripreso negli anni zero sia in ambito di scritture letterarie che di critica. Nicola Lagioia, scrittore che dai primi anni duemila in avanti si è impegnato nell’edificare un solido profilo di intellettuale

impegnato (è stato editor di Minimum Fax, autore per Einaudi, giornalista culturale per

Radio Tre e per numerosi quotidiani oltre che selezionatore per la Mostra del Cinema di Venezia), ha più volte sottolineato l’assenza di un momento fondativo, sul piano evenemenziale, cui ricondurre l’identità generazionale dei nati all’inizio degli anni settanta. Lagioia infatti ritiene che la prima generazione dei figli dei baby boomers, cui lui stesso appartiene, abbia sperimentato, nelle fasi della formazione, le conseguenze di un evento traumatico di cui non è possibile individuare le ragioni perché non dipende da un singolo evento, ma da una serie di fattori impossibili da isolare che hanno dato avvio ad un processo di mutamento diffuso:

19 AA. VV. Panta: i nuovi narratori, Milano, Bompiani, 1990 in Pistelli, 2013, p.34

20 Daniele Del Giudice dichiara polemicamente nel 1984 «Io non mi sento “giovane scrittore” come non

mi sento “giovane guidatore”, “giovane acquirente di tabacco” “giovane consumatore”» La Porta F., La

nuova narrativa italiana. Travestimenti e stili di fine secolo. Nuova edizione ampliata, Torino, Bollati

Boringhieri, 1999, p.13 21 Ivi, p.14

Iniziai a realizzare che da qualche parte nel passato doveva essersi verificata una catastrofe di dimensioni gigantesche: una collisione invisibile un crollo silenzioso un trauma senza evento, e il cratere che l’impatto aveva causato in molti di noi rappresentava il vero cuore del problema. Non esisteva un D-day un Hiroshima-Day un 8 settembre, un 25 aprile. Mancava un fatto dal quale fare discendere tutti gli altri,

al quale richiamarsi con certezza per raccontare la nostra storia.22

Anche secondo Giglioli la letteratura del “nuovo millennio” si trova a fare i conti con un’assenza che si lega alla difficoltà di rappresentare l’esperienza vissuta. Certo non è la prima volta, storicamente, che l’uomo si trova in una tale condizione ma, se nel parallelo benjaminiano i soldati che tornavano dal fronte non riuscivano a raccontare perché avevano visto troppo, oggi si racconta troppo perché si fa esperienza del “troppo poco”. Il ritorno della letteratura degli ultimi anni al genere, al romanzo storico, al noir e all’autofiction si spiega secondo Giglioli come sintomo dell’assenza di un trauma23

(che, al contrario, se esistesse sarebbe indicibile e irraccontabile) cui queste scritture cercano di sopperire attraverso narrazioni iperboliche, scritture che mettendo in mostra i propri meccanismi di funzionamento chiedono di essere esperite come autentiche perché scopertamente finzionali. La Porta non si spinge tanto oltre, ma individua un «debilitante sentimento di epigonismo»24 e un inebriante effetto di «grado zero»25 come

conseguenze del senso di venire dopo. Le esperienze sono ora - si riferisce al periodo che dall’inizio degli anni ottanta arriva fino a metà anni novanta - di nuovo raccontabili in forma di romanzo ma indifferenziate, svuotate di pienezza e di senso. Qual è la strada da percorrere allora? Secondo il critico «i nostri narratori offrono il meglio di sé quando

non si mostrano troppo diversi da quello che sono»26 e invita a prestare attenzione a

quanti non si travestono, a quanti insistono nel non assumere la «tenace vocazione nazionale all’autoinganno».27 Tensione verso un’autenticità onesta che si ritrova anche

nelle parole di Casadei quando tenta di individuare una linea di continuità che va dagli anni ottanta al nuovo millennio, vale a dire lo «sforzo (…) di giustificare narratori autori e trame fittizi ma apparentemente veri che riescono ad esprimere l’attuale inestricabile

22 Lagioia N., Riportando tutto a casa, Torino, Einaudi, 2009, p.278

23 In molti (Nori, Policastro, La Porta) hanno contestato l’assunto di partenza del ragionamento di Giglioli

dell’assenza di trauma nell’esperienza contemporanea notando come “l’estremo biologico” (la morte) continui ad essere presente nell’esperienza pur iperprotetta e tutelata dell’occidente del XXI secolo (si veda anche il terzo capitolo)

24 La Porta F., 1999,p.14

25 Ibidem

26 Ivi, p.18

connessione di fiction e non fiction senza rimanere invischiati nella stessa logica culturale e senza diventare falsi perché incapaci di interpretare quella logica guardandola secondo una prospettiva ampia»28 che si declina, a seconda dei decenni o

dei periodi, secondo accenti specifici che vanno da uno sguardo attento alla condizione giovanile, alla rielaborazione degli stilemi del noir, al lavoro sul romanzo storico (di cui ci si occuperà diffusamente nella seconda sezione di questo lavoro).