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2. Piano dell’opera

4.6 Giuseppe Culicchia, Il paese delle meraviglie «Il settantasette, da un tot d

4.6.1 No future

Il paese delle meraviglie racconta dell’amicizia tra due quindicenni: Attila

(Attilio) e lo sboccato e fascistissimo Francesco Zazzi detto Franz che sono, come nelle più classiche delle storie di formazione, compagni di classe in un istituto tecnico vicino a Torino. Attila detesta la sua famiglia, il padre è un operaio succube di una moglie arpia, grottesco ritratto di un tipo umano già pronto per desideri e consumi dei rampanti anni ottanta.

…stasera mia madre ha accolto papà in lacrime. Proprio un operaio dovevo sposarmi, io! Lui non ha aperto bocca. E nel frattempo le mie sorelle trionfano! Tanto che adesso una si è pure fatta regalare dal

marito il tivucolor! Ha fatto una pausa ad effetto. Si è soffiata il naso. Papà ne ha approfittato per

cominciare a mangiare. L’ho imitato. Perché mi sono sposata per amore io, l’ingenua! (…) Senza contare

che la tele in bianco e nero l’abbiamo comprata a rate nel Sessantadue! (…) Col frigo e la lavatrice! (…) Ed è ancora lì (…) Tutto perché io, l’ingenua, mi sono sposata in napuli!44

Gli unici a salvarsi sono Alice, la sorella maggiore che si è trasferita a Milano per studiare all’università, e il nonno che vive in campagna. Il paese delle meraviglie è quello in cui Attila confida per il suo futuro: una volta cresciuto tornerà a vivere con

43 Martinat M., Tra storia e fiction. Il racconto della realtà nel mondo contemporaneo, Milano, et. al/

Edizioni, 2013, p.53

Alice, lontano dai genitori e dalla provincia, ma il paese delle meraviglie non esiste: Alice, che si scopre essere parte di una formazione armata, viene uccisa durante un blitz delle forze dell’ordine. La notizia, come per la maggior parte degli avvenimenti legati alla cronaca nazionale e internazionale, arriva attraverso la televisione (era stato così anche per il golpe cileno in Arpaia): «Lì per lì quasi non la riconosco. Ma è la faccia di Alice. La sua faccia in fototessera. E improvvisamente sento le parole che sta dicendo il giornalista».45 Il romanzo si chiude con un ritratto del protagonista travolto dall’odio L’estate che avevo tanto aspettato è arrivata. Adesso è quasi finita. A settembre tornerò a scuola. Il nonno mi ha detto che se voglio posso ritirarmi da ragioneria. Mi pagherà il conservatorio con la sua pensione. Ma non me ne frega più niente.

Non me ne frega più niente. Non me ne frega più niente. Non me ne frega più niente. Niente. Niente. Niente. (…) Ascolto musica. Tutto il giorno. Tutta la notte. Tutti i giorni. Tutte le notti.

(…) Guardo la maglietta che ho addosso. IO ODIO TUTTI, c’è scritto.

IO ODIO TUTTI. IO ODIO TUTTI.

IO ODIO TUTTI.46

Il percorso di formazione di Attila si conclude e si arresta in questo punto, con una non formazione ed il rifiuto dell’idea di futuro. La scelta di dare una conclusione di taglio negativo al romanzo è il tratto che maggiormente differenzia l’operazione di Culicchia da quella di Arpaia, con cui pure combacia nell’intento di fornire una ricostruzione storica attendibile del periodo. Come ne Il passato davanti a noi al romanzo è fatta seguire cronologia, in questo caso del solo anno 1977, particolarmente sbilanciata nel

45 Ivi, p.311

dar conto di avvenimenti legati alle cronache musicali. In Arpaia gli “sconfitti” avevano saputo reinventarsi andando ad ingrossare le fila di quanti si impegnavano nella scuole, nelle biblioteche e nell’associazionismo, mentre Culicchia non lascia spazio ad alcuna prospettiva consolatoria o positiva. Attila rimane confinato nell’odio e nel dolore per la morte della sorella, Zazzi viene bocciato e cambia nuovamente scuola privando il ragazzo dell’unico per quanto impresentabile amico.

Culicchia, in una nota iniziale, precisa che il romanzo «è opera di fantasia» e che ha rispettato l’ordine degli avvenimenti ad eccezione di tre occasioni: ha scelto di anticipare sia il “suicidio” dei terroristi della RAF nel carcere di Stannheim - il virgolettato rivela che l’autore non sposa la versione ufficiale delle autorità, secondo la quale i terroristi si sarebbero suicidati, ma non fornisce alcuna ricostruzione alternativa - , sia l’omicidio, sempre ad opera della RAF, del presidente della Confindustria tedesca Hans Martin Schleyer, che un fenomeno completamente diverso: «l’arrivo dei punk in Galleria Subalpina e nell’adiacente piazza Carlo Alberto a Torino». Quest’ultima anticipazione serve a presentare Attila e l’amico Franz come punk della prima ora - fulminati dall’ascolto dei dischi dei Ramones e dei Sex Pistols - in modo che il loro percorso esistenziale vada combaciare con quel no future che del punk è slogan e manifesto e, in senso più ampio, di saldare punk e sensibilità diffusa durante il Settantasette. Una convergenza possibile tra la visione del mondo espressa dal movimento del Settantasette - «non abbiamo né passato né futuro, la storia ci uccide» dicono i muri della seconda metà degli anni settanta - ed il punk, che negli stessi anni dilagava dall’Inghilterra all’Europa, è indagata ne L’orda d’oro. Il ’77 viene interpretato come l’anno di un cambiamento nelle traiettorie del movimento, mutamento che parla la lingua della crisi e segna il venir meno della fiducia in una prospettiva rivoluzionaria e di sviluppo teleologico (che va di pari passo con la crisi economica che inizia a manifestarsi all’inizio degli anni settanta)

Un’intera prospettiva storica si rovescia, le culture giovanili registrano questo rovesciamento nel ’77: dall’espansione della società industriale si passa alla crisi, e inoltre il progresso industriale comincia a mostrare le sue tendenze catastrofiche (…)

I giovani che vengono sulla scena dopo il ‘77 (…) sono gli spettatori del crollo dei miti sociali del moderno: la crisi di prospettiva della società moderna appare loro come il venir meno di ogni possibilità del futuro. Il punk è, in questo senso, la lucida consapevolezza di un mutamento epocale.

Visto su questo sfondo il ’77 italiano acquista una particolare densità: in quell’anno si sommano gli effetti di una prolungata stagione di lotte operare e di una esplosione culturale di movimenti di rivolta dei

disoccupati e dei giovani, di tutti coloro che si sentono minacciati dal nuovo assetto produttivo che si

intravede all’orizzonte del postindustriale.47

I personaggi di Culicchia sono già interpreti e rappresentanti di questo mutamento che non si manifesta attraverso proclami ideologici o da svolte epocali, ma attraverso piccoli mutamenti, come lo slancio improvviso in seguito al quale Attila e Franz si presentano da un parrucchiere di paese con un gallo in mano e esigono che i loro capelli replichino la cresta dell’animale.

«DATOSI CHE è scoppiato il punk, volevo un taglio un po’ punk», dice.

Il barbiere lo guarda nello specchio sistemandogli il telo di nylon attorno al collo. «Sarebbe?»

«Cioè, corto. Li voglio molto corti ma spettinati. Cioè SPARATI, volevo dire. Ecco, li voglio SPARATI» «Sparati?» gli chiede Franco

«SPARATI» conferma Franz.

Il barbiere prende forbici e pettine e guarda me, sempre nello specchio.

«Il cliente ha sempre ragione, gli fa. -Però una volta che taglio, taglio. Non potresti essere un po’ più chiaro?»

(…)

Zazzi sgomma sulle sue Superga marce. Scivola. Cade. Si rialza. Ghigna con gli occhi fuori dalle orbite (…) Alla fine riesce a chiudere il gallo in un angolo. Lo acchiappa (…) e torna indietro trionfante.

«Ecco, me li deve fare COSÌ»48

Se, come vedremo in seguito, ne Il tempo materiale il cranio rasato dei tre protagonisti segna l’ingresso nella dimensione della militanza, in questo caso il portato simbolico è decisamente meno perturbante, c’è un approccio gioioso e giocoso rispetto alla possibilità di modificare il proprio aspetto per accordarlo a quello degli idoli musicali che andrà completamente perso nei ragazzini di Vasta caratterizzati da un impegno ideologico del tutto sconosciuto ad Attila e al suo socio. Né Attila né tantomeno Zazzi, un personaggio che è soprattutto oralità sboccata e inarrestabile che tutto travolge (dalla professoressa di italiano, alla compagna di scuola ciellina, all’insegnante di religione Don Bob, prete moderno) possono essere considerati militanti in senso stretto. Attila ha una coscienza politica che gli deriva dal nonno, mentre Zazzi è completamente imbevuto di un nazifascismo antiautoritario e ardito che, mescolato ad altri

47 Balestrini N., Moroni, P., L’orda d’oro 1968-1977 La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica

ed esistenziale, Milano, Feltrinelli 2005 (1997), pp.626-628

caratteristiche del personaggio, dà vita ad una figura comica e impossibile da ridurre a qualsiasi schieramento ideologico.

Quando arrivo sotto le finestre di casa di Zazzi, scopro che anche oggi il trip extraparlamentare ha avuto la meglio. Niente più Iggy Pop e gli Stooges. Al loro posto, le adenoidi del Duce. Rovesciate in strada dallo stereo di Franz con una potenza devastante.

«COMBATTENTI DI TERRA, DI MARE E DELL’ARIA! CAMICIE NERE DELLA RIVOLUZIONE E

DELLE LEGIONI!»

La temperatura è vicino allo zero. Ed è tutto un abbaiare di cani. Ma Zazzi se ne sbatte. So come la pensa. La voce del Duce la devono sentire fino alla stazione. Totale: lui le finestre le tiene spalancate a priori, e a

quei cazzo di cani che gli venga un infarto49

Nella descrizione della camera di Attilio - omaggio alla soffitta dell’Annacarla di Altri

libertini - si possono rintracciare alcuni dei riferimenti e dei miti di Attila, uniti

all’eredità lasciata dalla sorella maggiore: un sincretismo di cultura popolare e icone politicizzate che mescola poster di Arancia meccanica, di Iggy Pop e di giocatori del Torino al celebre scatto in cui Robert Capa immortala il miliziano spagnolo colpito a morte e l’immagine di Mohamed Alì. E ancora «il soldato russo che sistema la bandiera con la falce e il martello sul Reichstag»,50 Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del

cuculo, Dawid Bowie, «il terzino maoista della Germania Ovest»51 Paul Breitner, Mao

«nella sua giacca da Mao»,52 Lenin, Jimi Hendrix e la sua chitarra in fiamme, Janis

Joplin, Gassman e «Jean Louis Qualchecosa nel Sorpasso che ridono poco prima dello schianto».53 Ovviamente non può mancare Ernesto Che Guevara accostato ad Olga

Korbut «nella tuta della nazionale di atletica leggera con la scritta CCCP»:54 il tutto

coronato dal una foto degli ABBA: «il mio gruppo preferito».55 Nessun militante

avrebbe osato tanto. Attila e Franz vivono in una realtà periferica «Qui non succede mai niente. Attentati e cortei dappertutto, di questi tempi. Da noi invece chi non è in fabbrica è nei campi. Oppure si ubriaca al bar a forza di Campari e Fernet Branca. Esci per strada e trovi il deserto. L’unica botta di vita sono i funerali»56 e non hanno nessun

contatto con i movimenti studenteschi. Non incontrano, Alice a parte, persone 49 Ivi, p.26 50 Ivi, p.65 51 Ibidem 52 Ibidem 53 Ibidem 54 Ibidem 55 Ivi, p.66 56 Ivi, p.14

politicamente impegnate non partecipano a manifestazioni: quanto sta accadendo in Italia arriva loro mediato attraverso l’informazione televisiva o la versione che ne dà la professoressa di Lettere. La professoressa Cavalli, che si fregia di aver fatto il ’68, al

contrario di voi, e che quindi potrebbe essere un tramite di quell’esperienza, si rivela

l’opposto di una figura di formazione

Un giorno chissà come è riuscita a laurearsi. E ora, sintetizza Franz, ce la dobbiamo sucare noi. Il problema è che quando spiega la poveretta non ha idea di che cosa parla. Perciò si limita a leggere quello che dice il manuale, spalancato strategicamente sulla cattedra. Il testo è sacro. Guai a chiederle ulteriori chiarimenti (…). Mentre interroga controlla se le risposte sono giuste direttamente sulla pagina (…). Tenersela buona però è facile. Basta appunto non romperle le scatole con domande di quelle che la mettono in difficoltà (…). Se invece uno non la mette in difficoltà e magari le fa pure capire di essere un compagno la promozione è assicurata. Infatti stravede per Gina, che durante le ore di italiano si fa le

unghie con addosso la maglietta del Che.57

Emerge qui un motivo su cui Culicchia insiste lungo tutto il corso del romanzo: una critica feroce agli ex-sessantottini, visti come ex rivoluzionari ormai integrati nelle istituzioni, portatori di una insolubile e ipocrita contraddizione tra la loro tendenza a dirsi progressisti e anti-autoritari e una realtà nella quale si rivelano più dogmatici di quelle istituzioni che avevano inteso criticare e abbattere.