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Scrivere sul fronte occidentale

2. Piano dell’opera

2.4 Postmodern impegno tra profondità e superficie

2.4.1 Scrivere sul fronte occidentale

Per capire come gli autori tendano ad assumere posizioni alquanto eterogenee e differenziate sul tema del raccontare la realtà in cui sono immersi si può guardare, ad esempio, agli atti di un convegno che coinvolse numerosi autori italiani, Scrivere sul

fronte occidentale,73 organizzato da Antonio Moresco e da Dario Voltolini all’indomani

degli attentati alle Torri Gemelle e che quindi precede di alcuni anni l’emergere del dibattito su Ritorno al reale. La proposta nasceva dal bisogno riflettere su «cosa significa scrivere e operare in tempo di guerra»74 e i contributi di autori e critici75 sono

difficilmente riconducibili ad un denominatore comune che vada al di là dell’esperienza di aver assistito al crollo delle Torri Gemelle. Pur partecipandovi Paolo Nori, provocatoriamente, nega il senso del convegno stesso e ribadisce la necessità per gli

72 «”Letteratura bonsai”: così sul finire degli anni Ottanta ci aveva bollati Goffredo Fofi. Noi, gli allora

cosiddetti “giovani scrittori italiani, eravamo accusati di occuparci esclusivamente del nostro Io straripante e di tenere la porta chiusa sul mondo e su ciò che vi accadeva», Arpaia B., La storia siamo

noi? L’impegno ritrovato della generazione bonsai, in Polese R. (a cura di ), Il romanzo della politica. La politica nel romanzo, Parma, Guanda, 2008, p. 69

73 Moresco A., Voltolini D., Scrivere sul fronte occidentale, Milano, Feltrinelli, 2002

74 Moresco A., Scrivere sul fronte occidentale http://www.nazioneindiana.com/2003/03/01/scrivere-sul-

fronte-occidentale/ [consultato il 25 febbraio 2015]

75 Benedetti, Scarpa, Pallavicini, Drago, Raimo, Covacic, Montanari, Castaldi, Ferrari, Piotti, Senaldi,

scrittori di occuparsi degli strumenti di cui padroneggiano, questo non per una volontà di rinchiudersi in un territorio protetto, ma per timore di non essere in grado di portare avanti un’attività per cui non sono preparati

Cioè secondo me nella semplicità a cui mi vien da ridurre la questione io credo che dopo l’undici settembre gli scrittori debbano cercare di scrivere dei bei libri come dovevano cercare di fare prima, dell’undici settembre. Cioè secondo me il convegno sull’undici settembre sarebbe stato meglio non farlo. Sarebbe stato più interessante trovarci a parlare della funzione della ripetizione nella lingua della prosa, o dell'angustia della gabbia sintattica dell’italiano standard, o delle difficoltà connesse alla stesura di un romanzo a tesi, perché almeno erano cose delle quali, forse, avremmo saputo parlare, invece dell’undici settembre secondo me non ne abbiamo parlato bene, ma non perché non siam bravi, io ho proprio l’impressione che sia un fatto di strumenti, che non avevam gli strumenti, ci mancavano i chiodi e senza

chiodi noi per il momento mi sembra non siamo capaci, di far stare su il quadro.76

Secondo Giulio Mozzi il compito della letteratura è parlare della verità, pur non conoscendola né possedendola:

rivendico il mio diritto di dire: “Non possiedo la verità”, “Non so chi o che cosa sia la verità”; e insieme, rivendico il mio diritto di “parlare della verità”; ne parlo come posso, con lo strumento e le risorse che mi sono più congeniali, che forse per caso ho trovati sulla mia strada: la letteratura.

La letteratura non ha altra utilità. Non serve a consolare, non serve a distrarre, non serve a riposare, non serve a estraniarsi, non serve a fantasticare, non serve a non pensare alla guerra; la letteratura serve a

parlare di ciò che non sappiamo chi o che cosa sia, di ciò che non possederemo mai.77

Mozzi inoltre traccia una linea di demarcazione tra la letteratura e la fiction, quest’ultima - che nasce quando il valore etico della verità è subordinato alle forme della narrativa industriale - va rigettata, mentre impegno corrisponde per lo scrittore a comporre opere che non siano fiction. Vi è in questo proposito, che sembrerebbe principalmente letterario, anche una tensione concreta; scrivere libri che non siano

fiction significa non piegarsi alla richiesta di un certo tipo di editoria, rifiutarsi di

semplificare le forme, prediligere alcuni temi su altri, promuovere certi autori. Questa consapevolezza, non solo della propria scrittura ma anche del proprio posizionamento e del proprio ruolo all’interno del mercato editoriale italiano, può essere letta come una forma di impegno nei confronti dei propri lettori e di responsabilità rispetto al ruolo che

76 Nori P., Il quadro in Scrivere sul fronte occidentale, pp.144-145

lo scrittore riveste. Dario Voltolini, uno degli animatori dell’iniziativa, è il più esplicito nel tracciare una correlazione tra i recenti avvenimenti e l’impatto sul modo di raccontare. Gli sembra infatti che l’attacco alle Torri Gemelle abbia segnato la fine di un certo modo di intendere il mondo e che sia indispensabile riflettere su come raccontare i nuovi assetti:

…il motivo per cui degli scrittori (…) si trovano a parlare della loro attività in questo momento è anche un modo per vedere che tipo di sensibilità, di antenne, di sensori abbiamo noi per il mondo in cui viviamo. (…)

…noi siamo sia immersi in una quotidianità che è diventata diversa da un momento all’altro, sia sganciati da una verità effettiva: noi non sappiamo innumerevoli cose che invece dovremmo sapere e quelle poche che sappiamo sono (forse) verificabili al massimo secondo grossolani criteri di mutua coerenza, ma mai di corrispondenza ai fatti. In questo psicodramma interno al dramma, sviluppato con mezzi segnici tra cui la parola, c’è una progressiva perdita di senso, di significato della parola stessa. Come scrittore, mi preoccupo. Si tratta degli strumenti del mio lavoro. Perché è come se facessi lo scultore e il mio martello

e il mio scalpello diventassero di giorno in giorno più fragili, o gommosi.78

Perdita di potere della parola, impossibilità di discernere tra vero e falso nella miriade di ricostruzione degli eventi: non si tratta di riflessioni particolarmente originali, ma appaiono tuttavia questioni abbastanza sentite, soprattutto se si considera che gli anni successivi registrano insieme un’impennata e un’evoluzione delle riflessioni degli scrittori sul rapporto tra letteratura e realtà, con una chiamata sempre più netta a raccontare il presente (più italiano che internazionale) per intervenire su di esso. Vi sono almeno due proposte interpretative che sostengono che, tra anni novanta e primi anni del nuovo millennio, ci sia stata un’evoluzione nella maniera in cui il tema dell’impegno viene declinato dagli scrittori (di cui il convegno di cui sopra potrebbe così venire a rappresentare una sorta di punto intermedio). Gianluigi Simonetti in un saggio del 2007 sui Nuovi assetti della narrativa italiana, pubblicato nel numero di

Allegoria che ospita la proposta sul Ritorno al reale, sostiene che la narrativa del

periodo 1996-2006 sia caratterizzata dalla velocità. Scrivono veloci, secondo Simonetti, un eterogeneo gruppo di autori più o meno giovani da Brizzi alla Parrella, Scarpa, Santacroce, Covacich, Lagioia ma anche Pontiggia, La Capria, Pintor, oltre ovviamente ai giallisti cui la velocità è richiesta per statuto del genere (Faletti, Carlotto, Lucarelli e anche Wu Ming, Genna), così come Saviano, Balestrini, Pascale, De Silva, il Baricco

dei Barbari. Ciò che differenzia gli autori dei novanta da quelli del decennio successivo sono le ragioni che motivano la velocità

All’inizio (…) la ricerca di velocità sembra nascere soprattutto dalla voglia di enfasi, di iperbole, di sensazioni estreme da infliggere al lettore. (...) È un momento difficile per l’espressione letteraria (...) minacciata dalla concorrenza di altre storie: quelle narrate in serie dai nuovi media e specialmente dalla televisione, dal cinema e da internet. Non solo molti scrittori, esordienti o affermati, ma la stessa grande editoria tenta in questa stagione di uscire dall’angolo, di contestare l’equazione (...) tra letteratura e

lentezza, e di farlo attraverso il ricorso alla violenza.79

Da qui nasce il successo della narrativa cannibale che si mette in concorrenza diretta con ciò che la televisione offre, grazie al ricorso sistematico alla violenza, ma soprattutto grazie alla sostituzione del «passato culturale con l’eterno presente dei media, proponendo opere che non derivano culturalmente da altra letteratura ma traggono altrove le loro tessere».80 Tuttavia l’intensificazione della violenza non porta,

nelle opere del primo Ammanniti, del Nove degli anni novanta, di Isabella Santacroce, ad un’intensificazione del dolore, non v’è alcuna maturazione etica, morale, soggettiva o collettiva negli itinerari che i personaggi sperimentano. I personaggi sono colti quasi esclusivamente nel fare e sono privi di una possibile bildung, aspetti che conducono ad un «narrare senza partecipazione».81 Negli ultimi anni invece il ricorso alla velocità,

all’inserto e alla disarticolazione del testo non vanno nella direzione di «spiazzare il lettore con trovate figurali esuberanti e inattese»82 ma si mettono «al servizio del

realismo, diventando componente essenziale di una resa fedele della febbrile esperienza contemporanea».83 Confrontando l’antologia dei Cannibali con La qualità dell’aria,

Simonetti nota che i secondi sono caratterizzati da una tensione etica «responsabile e antispettacolare, vicina nello spirito al cinema verità, piena di racconti che sembrano reportages»84 che coniuga effetto di velocità e passione per «ciò che sembra vero».85

79 Simonetti G., I nuovi assetti della narrativa italiana 1996-2006 in Allegoria, n. 57, Palermo, G. B.

Palumbo Editore, 2008, p.97 80 Ivi, p.98

81 La formula è di A. Colasanti, Storia di una spia (il caso A.), in Nuovi argomenti, 9, 1996, p. 97 in

Simonetti p.106

82 Ivi, p.115

83 Ivi, p.116

84 Ibidem

Anche le curatrici di un altro studio, questa volta condotto sulle antologie del periodo 1996-200686 come veicolo di introduzione delle novità letterarie, concordano nel

sostenere che, intorno al 2004, si possa individuare un mutamento. Questo sarebbe anticipato da I disertori, antologia Einaudi del 2000, che si proponeva di andare «contro e oltre le derive del postmodernismo»,87 anche se, in questo caso, l’operazione potrebbe

configurarsi come frutto di una dinamica interna alla casa editrice che, dopo aver solleticato gli appetiti più estremi, punta su un repertorio stilistico e tematico meno provocatorio. La curatrice Giovanna De Angelis sottolinea infatti l’impegno etico e i toni moderati dei partecipanti della raccolta contro l’aggressività cannibale e oppone ad essi una sorta di linea meridionale «Forte di una vocazione alla differenza e alla non- resa, rifiuta le rituali denunce di quegli intellettuali del Sud caparbiamente legati all'immagine di un Meridione cupo e decadente, congelato in un folklore di viscere e malíe».88 Nel 2003 si segnala l’antologia degli Gli intemperanti uscita per Meridiano

Zero e anche in questo caso il riferimento polemico sono gli scrittori cannibali («Dopo l’era degli indifferenti e il decennio dei cannibali» recita la quarta di copertina), tuttavia l’ antologia non ottiene grande attenzione in sede critica89 e solo un ristretto numero

degli autori raccolti rimarrà attivo nel corso del decennio (Peano, Pastorino, Archetti).

Italiville, numero del gennaio/marzo 2004 della rivista Nuovi Argomenti (a cura di

Mario Desiati e Lorenzo Pavolini) lascia intendere fin dal sottotitolo “Nuovi narratori italiani sul paese che cambia” il tipo di attitudine che anima i racconti e conferma lo stretto rapporto con l’attualità dell’operazione: «Emana da questi racconti un’ansia di dire il presente che ci sfugge e che rischiamo di non riacciuffare, un sommerso che ci salva nello sforzo di catturarne il ricordo».90 Della ripresa esplicita del termine impegno

nell’antologia La qualità dell’aria si è già detto, giova quindi ricordare come il proposito non si esaurisca nell’antologia ma venga rielaborato qualche anno più tardi, nel 2011, quando numerosi scrittori, tra cui Raimo e Lagioia, confluiscono nell’iniziativa del Manifesto degli scrittori TQ.

86 Jansen M., Lanslot I., Ten Years of Gioventù cannnibale: Reflections on the Anthology

as a Vehicle for Literary Change in Ania G., Hallamore Caesar A., (a cura di) Trends in Contemporary Italian Narrative 1980-2007, Newcastle, Cambridge Scholars Publishing, 2007

87 Ivi p. 143

88 AA. VV. Disertori. Sud: Racconti della frontiera, Torino, Einaudi, 2000, Postfazione di Giovanna De

Angelis http://www.einaudi.it/libri/libro/antonio-pascale-giosu-calaciura-antonio-franchini-eve- /disertori/978880615638 [consultato il 25 febbraio 2015]

89 Recensione de Gli intemperanti, L’indice dei libri del mese, 2004

http://www.ibs.it/code/9788882370657/gli-intemperanti.html [consultato il 25 febbraio 2015]

90 Centovalli B., Italiville, 1 aprile 2014 http://www.nazioneindiana.com/2004/04/01/italville/ [consultato