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I doveri del predicatore

Si è visto come nelle orazioni funebri il discorso debba adempiere a tre funzioni principali: la deplorazione, l'elogio del defunto e l'istruzione dei fedeli. Per Cosme l'istruzione dei fedeli svolge un ruolo sempre di primo piano: nella composizione del ritratto del defunto il predicatore non si limita a omaggiare le vicende e le virtù in modo storico, ma si preoccupa sempre di offrire agli ascoltatori il punto di vista della fede: «j'avouë que je meriterois qu'on me banis de la chaire de verité ou j'ai l'honneur d'estre, si je n'y parlois le langage de l'écriuture & des Peres,

329FUMAROLI (Marc), L'età dell'eloquenza, p. 392.

si je n'appelois les souffrances des faveurs de Dieu & si je ne regardois celles qui sont arivées à nostre Prince comme les livrées de Jesus Christ & le caracrere de sa Croix»331.

Una delle preoccupazioni di Cosme è quella di rimanere sempre attinente alla realtà e di non alterare la verità nemmeno per mezzo di omissioni: «ce seroit blesser mortelement l'honneur de mon caractere, de méler parmi des loüanges si pures, de faux compliments humains, un Evéque ne doit point brûler d'encens profane, & n'en doit jamais presenter de sacré qu'à Dieu, qu'à ses Saints & à ses Autels»332. I difetti e gli errori del defunto sono un punto scottante dell'elogio funebre: è giusto che il predicatore ne parli o devono essere tralasciati dal panegirico? Cosme afferma che le regole retoriche dell'elogio non obbligano l'oratore a far mostra dei vizi, tuttavia, cercando di nascondere gli errori dei grandi il predicatore rischia di infamare la memoria delle virtù: «Les faultes des Grands font plus de bruit dans le monde que les esclats de tonnerre, ils donnent plus dans la veuë des hommes que des eclairs, les vouloir cacher aux yeux des peuples c'est vouloir couvrir le Soleil & estouffer la lumiere»333.

Cosme porta come esempio il Vita Costantini di Eusebio: avendo taciuto la morte del figlio Crispo, che la storia imputa all'imperatore Costantino, il vescovo di Cesarea fu ritenuto un biografo inaffidabile dal punto di vista storico, e l'elogio dell'imperatore non viene considerato credibile. «C'est donc un mauvais artifice, & qui reüssit mal à ceux qui en usent, de vouloir cacher les vices publics des grands dont ils escrivent l'hisoire»334.

Oltre a non nascondere i difetti dei defunti, il predicatore deve anche ammonire il pubblico per istruirlo senza tuttavia risultare troppo molesto. D'altronde sono pochi coloro che possono denunciare apertamente i difetti dei principi: «Il n'appartient en effet qu'aux Confesseurs au tribunal de la conscience, & quelquefois

331OFHB, pp. 17-18. 332OFMTA, p. 7. 333OFHB, p. 23. 334OFHB, p. 24.

aux Predicateurs dans la chaire de verité, de censurer les vices des Princes par la juste severité des remonstrances; tout le reste des hommes doit prendre le sage parti de garder un silence respectueux, & condamner par de exemples de vertu, plûtôt que par des murmures indiscrets, des vices & des defauts, dont leurs maître ne sont responsables qu'à Dieu seul»335. Se il predicatore può dar voce al giudizio divino, la più severa correzione che possano portare gli altri uomini è la forza dell'esempio, imitando la prudenza dei primi cristiani.

Il predicatore non deve solo essere sempre obiettivo, ma anche rifarsi a conoscenze personali. Nell'orazione funebre di Maria-Teresa egli annuncia che nel suo discorso procederà seguendo le parole di Giovanni Evangelista quod audivimus,

quod vidimus oculis nostris, annuntiamus vobis, quindi continua: «Je ne vous

parleray aujourd'huy que de ce que j'ay entendu, que de ce que j'ay veu des actions merveilleuses de la sainte Princesse que nous regrettons. Je n'ay pas eu le temps, ni méme le besoin d'emprunter des memoires du dehors, & je puis bien répondre à mon illustre Auditoire que j'auray une exactitude scrupuleuse à ne point franchir les bornes de la verité»336.

La necessità di rimanere attinente alla realtà e di non esagerare nell'elogio del defunto è strettamente connesso alla funzione dell'orazione funebre: il predicatore deve essere considerato affidabile in modo che il pubblico possa apprezzare il ritratto edificante che gli viene proposto e trarne un insegnamento per la propria condotta. L'obiettivo del predicatore, infatti, non è solo quello di elogiare il defunto ma di occuparsi della salvezza dei fedeli offrendo loro un esempio della fragilità della vita di fronte alla morte. Nell'orazione funebre di Henri de Bourbon, per introdurre il tema principale (il principe è morto, ma non è morto poiché vive nel figlio), dopo aver rappresentato un terribile ritratto della morte, il predicatore afferma di dover rimediare al dolore offrendo una prospettiva di speranza: «Quelle apparence y auroit-il donc de se consoler en cette perte? Quel moyen y auroit-auroit-il d'arrester le cours de nos regrets si je n'apportais le correctif à cette rude parolle au mesme temps que je vous

335OFMTA, p. 18. 336OFMTA, pp. 6-7.

l'annonce»337.

Non è affatto poco frequente che Cosme interrompa il suo discorso per riflettere sulla scrittura e sugli argomenti da trattare. Queste inserzioni metatestuali talvolta sono utili per evidenziare gli intenti del predicatore al pubblico, ma danno anche una certa naturalezza al discorso, che sembra costruito al momento dell'enunciazione, creando un legame con i destinatari che si sentono coinvolti direttamente nella costruzione della riflessione.

In diverse orazioni funebri il predicatore lamenta la costrizione di attenersi ad una certa tempistica, «une fâcheuse necessité»338, aggiungendo che una sola ora di discorso non basta a rendere giustizia alle virtù del defunto. Ovviamente, più che portare ad una riflessione sul discorso, questo è un artificio per omaggiare ulteriormente il soggetto dell'elogio, ma ci offre anche una prospettiva delle regole alle quali i predicatori si dovevano attenere: «C'est, dis-je, une dure necessité de ne pouvoir payer le tribut d'une loüange Chrestienne à tant de rares vertus; mais comment seroit-il possible qu'une heure de temps suffit à en faire l'Eloge, puis qu'elles surpassent l'éclat des Estoilles, & qu'elles en égalent presque le nombre?»339. Un altro riferimento alla durata del discorso viene fatto poco più avanti, quando il predicatore dice al pubblico di voler organizzare al meglio il tempo rimasto.

Nelle sue orazioni funebri diverse volte Cosme si interroga su alcuni punti della sua argomentazione, soprattutto su temi dottrinali particolarmente complicati oppure riguardo ai doveri del predicatore cristiano, che sono oggetto di dibattito e sui quali esistono opinioni diverse. In queste occasioni il predicatore non impone la sua idea, ma conduce il pubblico nella riflessione esponendo didatticamente le diverse posizioni.

Ad esempio, nell'Oraison funèbre d'Henri de Bourbon, si interroga se sia giusto o meno cominciare l'elogio del defunto facendone la genealogia ed esaltandone i nobili natali: «Les Evangelistes & Sainct Paul semblent estre d'un

337OFHB, p. 3. 338OFAA, p. 23. 339OFAA, p. 24.

contraire sentiment touchant les genealogies humaines, & laissent l'orateur chrestien en un juste doute s'il doit les fuir, ou s'y arrester, lors qu'il travaille à l'Eloge de quelque prince où il doit tousiours garder les regles de l'Evangile».340 Secondo gli insegnamenti di San Matteo, la genealogia non dovrebbe mai mancare in un elogio, poiché persino Gesù Cristo ha ritenuto giusto discendere da una linea di sangue nobile.

Invece, secondo le lettere di San Paolo, elencare l'ascendenza di un cristiano è pura vanità, poiché essi sono tutti figli di Dio. Sia il vecchio che il nuovo Testamento offrono degli esempi che verosimilmente confermano entrambe le posizioni discordanti, sebbene i testi antichi si concentrino sull'importanza della genealogia, ritenendo che l'anima fosse plasmata dal sangue dei padri, mentre i testi più recenti insegnano che l'anima è stata creata direttamente dalle mani di Dio, e che quindi la discendenza di un cristiano sia spirituale e non fisica.

Nelle opere del vescovo di Lombez si ritrovano dunque direttamente esplicitati molti temi basilari alla composizione dei discorsi funebri dai doveri cristiani di evangelizzazione e di cura delle anime fino alla necessità oratoria di commuovere il pubblico e di risvegliare il suo interessa con delle parole piacevoli. In questo modo si può affermare con certezza che il predicatore si atteneva alle principali linee guida della predicazione ampiamente diffuse, generalmente condivise e particolarmente codificate nel corso del XVII secolo francese. Come insegna Sant'Agostino nel De Doctrina Christiana, l'eloquenza dev'essere al servizio della parola divina e la retorica è un potente strumento di evangelizzazione.

2 Le orazioni funebri