2.4 Fortuna e oblio
2.4.3 Il XIX secolo e l'oblio
Nel corso del XIX secolo la fama di Cosme cade lentamente nell'oblio. Jean-Sifrein Maury, nel suo Essai sur l'éloquence de la chaire, non dà alcuno spazio al vescovo di Lobez, se non per citarlo lapidariamente in una nota come il predicatore che sfortunatamente fu preferito a Bossuet per pronunciare l'orazione funebre di Turenne: « L'éloge de Turenne seroit fait, et nous en aurions infailliblement un Chef-d'œuvre Oratoire de plus, si Bossuet eût traité un Sujet si bien assorti à son génie. Le Cardinal de Bouillon qui venoit de lui préférer (...) un Prédicateur entièrement oublié, Dom Cosme Roger, Général des Feuillants, mort Évêque de Lombez en 1710, à l'âge de 95 ans. »118.
Nella celebre opera Les orateurs sacrés à la cour de Louis XIV, pubblicata nel 1872, Augustin-Jean Hurel segnala i giudizi positivi che i contemporanei di Cosme espressero nei suoi riguardi, tanto da considerarlo una delle stelle della predicazione di corte. Malgrado questa premessa, Hurel dubita che gli elogi dispensati a piene mani dai suoi contemporanei fossero giustificati e ritiene necessario rivalutarne
117Ibid., p. 167.
118MAURY (Jean-Sifrein), Essai sur l'éloquence de la chaire: panégyriques, éloges, discours, Paris, G. Warée, 1810, vol. 1, p. 276.
totalmente l'effettivo valore. Come primo indizio della mancanza di talento di Cosme egli cita la lunga attesa prima dell'arrivo dell'episcopato: «Louis XIV n'était guère homme à se méprendre sur les titres de Dom Cosme à l'épiscopat, à moins toutefois qu'il ne voulût tourmenter le désir que paraît avoir eu ce Père d'une telle dignité»119. Malgrado le innumerevoli predicazioni, la conclamata fama e la carica di Generale dell'ordine, secondo Hurel, il re lo avrebbe volutamente fatto aspettare per più di un decennio, senza meglio specificarne le motivazioni.
Nonostante il chiaro scetticismo rispetto all'obiettività delle gazzette contemporanee, Hurel ritiene innegabile il grande successo e la fama che si era conquistato, anche se per farlo cita a sproposito una annotazione di Dangeau: «le petit Dom Cosme feuillant qui avait prêché à la cour, même avec réputation»120; in questo brano Dangeau si riferisce al «petit Côme» e non a Cosme Roger, del quale invece parla più avanti, riportando la notizia della sua morte: «L'éveque de Lombez est mort. C'était Dom Cosme feuillant, fameux prédicateur»121. Hurel persiste nel confondere Cosme Roger e il «petit Cosme» in una nota poco più in basso, chiedendosi ancora una volta cosa voglia dire Dangeau, scrivendo il 24 agosto 1685: «Le petit Côme feuillant qui avait prêché à la cour, même avec réputation, fut chassé de son couvent et mis, dit-on, in-pace». Sebbene sia comprensibile che Hurel confonda Cosme con un predicatore minore con lo stesso nome, dello stesso ordine e che visse nella stessa epoca, risulta paradossale che non comprenda l'errore quando nel 1685 Cosme Roger era vescovo da più di un decennio ed egli stesso aveva discusso ampiamente l'argomento nel paragrafo appena precedente.
Per dimostrare l'inattendibilità delle cronache del tempo Hurel prende in considerazione l'orazione funebre di Anna d'Austria. La Gazette del 3 marzo 1656 riporta che questa orazione, con un discorso «fort et eloquent», riscosse un grande successo davanti ad un pubblico numeroso ed illustre. Ma Hurel ribatte che la lettura dell'orazione non ci aiuta a comprendere il motivo di un tale successo, dal momento
119HUREL, Augustin-Jean, Les orateurs sacrés à la cour de Louis XIV, Paris, Didier, 1875, p. 168. 120DANGEAU, Philippe de Courcillon de, Journal du marquis de Dangeau, publié en entier pour la
che la divisione in parti risulta artificiosa e, malgrado alcuni passaggi ben riusciti, il discorso è pesante e presenta particolari ripugnanti o paragoni grossolani.
A queste considerazioni Hurel aggiunge la constatazione che in alcuni casi i discorsi di Cosme non furono apprezzati, come l'orazione funebre pronunciata ai funerali del generale Turenne il 9 settembre 1675, che la Gazette commenta con un secco «Il s'en tira très-dignement», mentre de Bussy afferma senza mezzi termini: «On dit qu'elle n'a rien valu». Continua dicendo che all'epoca Cosme era vescovo di Lombez e aveva raggiunto la veneranda età di ottant'anni, «quel feu d'éloquence résisterait aux glaces de tant d'hivers amoncelés?» si chiede. In realtà nel 1675 Cosme aveva vent'anni in meno di quelli che gli attribuisce erroneamente Hurel.
Concludendo, Hurel riporta l'ultimo discorso di Cosme, l'Oraison funèbre de
MarieThérèse, pronunciata otto anni più tardi, nel 1683. Ancora una volta Hurel si
confonde, descrivendo il vescovo di Lombez come prossimo alla morte, quando in realtà, pur essendo in età avanzata, sopravvisse alla sposa di Luigi XIV per più di vent'anni122. L'orazione si apre con la malinconica constatazione che l'oratore mai avrebbe pensato di essere chiamato a pronunciare l'elogio funebre di questa devota regina, dopo aver predicato per tanti anni al suo cospetto. In questa considerazione Hurel scorge una somiglianza («quoique de loin», si affretta a precisare) con il celebre «J'étais donc encore destiné» di Bossuet nell'incipit dell'Oraison funèbre
d'Henriette d'Angleterre. Malgrado questa nota positiva, non rileva nel discorso altri
punti degni di nota e il giudizio generale rimane negativo.
122Rispetto all'errore precedente questo è più curioso. Hurel non indica la data di nascita di Cosme, quindi possiamo provare a immaginare che avesse fra le mani una fonte imprecisa e che da questa derivi il primo errore di calcolo, dichiarandolo ottuagenario con vent'anni di anticipo. Pur non conoscendo la precisa data di nascita, egli cita come fonte della morte le memorie di Dangeau, che riportano la data corretta, il 1710, e l'età approssimativa, «il avait plus de quatre-vingt-dix ans», quindi possiamo supporre che quest'ultima svista derivi di rimbalzo dalla prima, anche perché permane uno slittamento di vent'anni.
3 LE ORAZIONI FUNEBRI
1 Letteratura e retorica
Nel diciassettesimo secolo francese la distinzione fra i generi poetici (o, più generalmente, letterari) ed oratori123 non era così netta come in epoca moderna. Basti pensare che i principali testi teorici dell'epoca, il Discours sur le poème dramatique di Corneille, l'Art Poétique di Boileau e le Réflexions sur la Poétique di Rapin trattano in modo più approfondito la tragedia e l'epopea che i generi oratori. Fu l'avversione moderna per la retorica124 che portò ad una distinzione netta, causata per lo più dal sentimento di disprezzo per gli artifici retorici, guardati con sospetto e ritenuti artificiosi.
Aristotele distingueva nettamente la retorica dalla poetica. La retorica era l'arte di ben parlare e convincere, e, oltre alla capacità di ben argomentare, necessitava di una profonda conoscenza dell'animo umano, per persuadere più efficacemente. La poetica, invece, racchiudeva quei generi superiori alla storia e vicini alla filosofia che imitando la realtà trattavano degli universali. Il genere superiore era quello della tragedia, capace di purificare l'animo del pubblico attraverso il terrore e la catarsi finale.
Se nell'epoca classica francese ci fu una forte volontà di separare i generi e gli stili, ci fu anche l'intenzione di sottomettere la poetica alla retorica. La retorica nei trattati è definita generalmente come l'arte di ben dire, confondendosi con l'eloquenza; in questo modo la retorica risulta facilmente assimilabile ai generi oratori come il sermone, i panegirici e le orazioni funebri. Ma i critici dell'epoca classica si spingono oltre, affermando che lo studio della retorica è il punto di partenza basilare per ogni scrittore. La Mesnadière afferma: «Comme l'art de bien
123L'assimilazione della retorica alla poetica risale a una tradizione precedente al classicismo francese.
parler, qu'il appellent Rhétorique, est absolument nécessaire au Poëte & à l'Orateur, nous ne devons pas douter que ceux qui se meslent d'écrire pour faire admirer leurs pensées, n'ayent acquis toutes les lumières qui doivent conduire leur plume»125.
Se la retorica entra in ogni in ogni ambito della letteratura del classicismo francese, essa, a suo turno, è influenzata dalle considerazioni di ordine morale che investono l'epoca in causa. Innanzitutto ogni discorso ha un destinatario e lo scopo del messaggio non può che essere morale. Fra i tre livelli di stile viene preferito senza dubbio quello sublime, infatti nei manuali di eloquenza è prevalentemente, se non esclusivamente, il modello offerto per sermoni e discorsi d'apparato.
Infine, si vuole che ogni discorso segua la regola della vraisemblance. Per raggiungere l'ascoltatore la retorica antica insegna che è necessario passare dal caso particolare a quello generale, ricordando quella commistione di istruzione e persuasione che punta a causare un cambiamento morale o psicologico nell'ascoltatore. Questo carattere dell'estetica classica conduce alla nozione di clarté, che ha un forte impatto sui discorsi religiosi, poiché si focalizza sulla tecnica rinnegando una ispirazione divina nella scrittura.