Irene apre la terza scena raccontando di essersi innamorata di una trans e suscitando così lo stupore di tutti; alle parole di Irene fanno eco le esclamazioni corali e individuali dei personaggi. Il gruppo incalza la donna, interrompendola spesso, con insinuazioni di carattere allusivo, in merito alla trans di cui lei è innamorata. Naturalmente il dialogo prende una piega comica:
IRENE: Non ti chiedono mai di che colore ha gli occhi, ti chiedono sempre se si è fatta le tette. Ti chiedono se è alta! se è bella! se è italiana! come se dovesse essere per forza brasiliana. Ti chiedono se ha le spallone, il mascellone. E più di tutto sempre ti fanno la stessa domanda, ti chiedono se...
MARTA: Se si è operata.
IRENE: Ma non lo chiedono così. STEFANIA: Se se l’è tagliato. IRENE: Sì, però…
TUTTI: (gesti dell'ombrello) NICOLE: Se ha il biscione IRENE: Ecco. Non lo so
TUTTI: Ma come non lo sa? Ma che senso ha? (parlano tutti insieme)
IRENE: Non lo so, non sono mica andata a guardarle nelle mutande. Non è che per forza deve aver fatto l’intervento, potrebbe essere donna anche senza aver fatto… è una cosa complicata non è che per forza devi arrivare a quella cosa…
TUTTI: Bè ma allora (proteste)… IRENE Ce l’ha!
Di seguito si creano una serie di ironici fraintendimenti, causati dall’incomprensione della parola “pompino”, pronunciata a denti stretti da Desirée e rivolta a Irene, che non la coglie e come lei anche gli altri personaggi: Marta, ad esempio, capisce “bambino”. Finalmente la parola viene resa nota a tutti grazie a Giulia che, non volendo, procura lo svenimento di Desirée (come scritto nella didascalia). Irene ribatte: “Ma cosa dite! Non avete proprio capito, a me non me ne importa niente se ce l’ha o non ce l’ha, io con lei farei di tutto, un centrino, un saltino, un topino, qualunque cosa. E comunque mi ha rifiutata”. Questa notizia viene accolta con meraviglia da parte di tutti, dal momento che, precisa Irene, una trans sembra non rifiutare mai nessuno. Ancora Irene: “Mi hanno detto che se proprio avevo la smania potevo andare in tangenziale. E pagarne una. Pensavano che mi volevo fare una troia. Io però mi sono innamorata di una persona, di una persona che non mi amava. (pausa) E quindi era una troia!”. La drammaturga fa ricorso ad un tipo di comicità che si incentra soprattutto sull’allusione sessuale e sugli equivoci. I dialoghi tra i personaggi risultano agili e divertenti, caratterizzati da battute brevi e concise. Dalle didascalie il lettore apprende la conclusione della terza scena, che termina con una musica da discoteca, l’abbassamento delle luci sul palco, e la proiezione di un video.
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IV scena
Nella quarta scena è Nicole, attrice e donna transessuale, a cimentarsi in un breve monologo, in cui impersona un uomo che si rivolge ad una trans, con queste parole: “Ti sto guardando. Lo sai che mi incuriosisci. Sei un misto di attrazione e disprezzo, e più ti disprezzo più mi attrai, più mi attrai più ti disprezzo. Mi piaci. Sei il frutto proibito, una sfinge, uomo a metà, donna a metà”. Altra coreografia corale, poi si riaccende la luce frontale con il gruppo sullo sfondo, secondo la didascalia. Subito dopo, Gaia prende la parola e precisa di essere una donna, anche se si trova in un contesto un pò “strano”, dove la sua identità di genere potrebbe essere equivocata. Inoltre, manifesta il suo pensiero sui gay: “È un gay molto effemminato, per forza, perché mi è cresciuto in quella situazione lì di famiglia al femminile, perché lei, la madre, aveva desiderio di una figlia femmina” e sulle lesbiche: “Anche qui, è chiaro, è matematico, perché non avendo avuto una madre presente, la lesbica ricerca nelle altre donne la figura materna, è pura matematica e anche per la lesbica, stesso discorso: la madre voleva un maschio, la tratta da maschio, e zac mi diventa lesbica.” Una didascalia indica il rotolamento sul palcoscenico di Gaia e l’entrata di Cesare (protagonista di La danza del gay), gettato in scena da Marcela. Il danzatore vorrebbe presentarsi, ma la sua mano gli copre la bocca per non permettergli di parlare, anche se lui cerca in tutti i modi di ribellarsi a quella violenza. Il suo pezzo termina con la frase: “Le parole sono importanti”. Proiezione di un video che mostra un mappamondo, unito al brano musicale Il mondo di Jimmy Fontana, cantato in coro da tutti i personaggi; intanto, Marcela avvisa: “Intervallo musicale”. La spiegazione di Gaia, sul perché uomini e donne diventano omosessuali, risulta alquanto “forzata” e semplicistica, e soprattutto non molto sensata. Cesare, invece, vuole rappresentare la repressione dell’identità e di conseguenza la repressione di espressione.
V scena
La quinta scena vede solo la presenza sul palco di Noemi, mentre il gruppo scende in platea. La ballerina danza e piange, allora Mattia le si avvicina e le fa indossare un abito rosa; dopo si presenta a Noemi come il suo principe azzurro:
Eccomi, sono io. Sono il principe azzurro. Ricordi quel ragazzo che ti aveva fatto innamorare? Nessun altro uomo ti ha mai fatto provare lo stesso sentimento di purezza, di magia. Guarda la mia faccia: è rimasta quella di un bambino. Ma io sono un bambino speciale, conosco tutti i tuoi segreti. Sono io quel principe, non è così? Uomo dall’arma spuntata, uomo che in fondo non è mai cresciuto, uomo capace di piangere, fragile e
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pallido come la donna che è stato. Io ti salverò facendomi salvare. Sarai tu a salvarmi, perché sai di essere tutto, per me. Mi ami perché soffro. Tu vuoi la mia sofferenza. Ami ciò che rappresento. Non me.
Dopo il monologo di Mattia è previsto il video dal titolo Coraggio, sono io, non abbiate paura e l’arrivo, subito dopo, delle “sciure”, interpretate dai personaggi femminili e dalle trans, che dalla platea salgono sul palcoscenico. Ognuno di loro pronuncia una frase offensiva o discriminatoria nei confronti dei transessuali:
IRENE: Ma è maschio o femmina?
DESIREE/GIANLUCA: Se lo vede una bambina, le rovini la vita. GIULIA: Io ho paura.
NOEMI: Questa era una strada tranquilla una volta.
MARTA: Secondo me sono mostri, non sono nati così, lo sono diventati. GAIA: Almeno che stessero tutti insieme.
DONATA/ALESSIO: Va bene i negri ma queste cose no. DESIREE/GIANLUCA: Andassero a trovarsi un lavoro.
MARTA: Il problema è che una cosa così, che lavoro gli fai fare. LAURA: C’è una malattia alla base.
GAIA: I nostri mariti vanno con questi qua. GIULIA: Il mio no.
MARTA: E adesso no, ma tra qualche anno. STEFANIA: E vanno pure nei bagni delle donne. MARTA: Il marito della Carla va con i transvestiti. ANTONIA: Chi?
Parte musica bassa
DONATA/ALESSIO: Con quelli che si vestono da donna. IRENE: Frocio represso.
GAIA: Mio marito non è frocio. ANTONIA: Chi?
Tutte compiono gesti stereotipati
DONATA/ALESSIO: Si vede benissimo che non sono donne. ANTONIA: Chi?
IRENE: Hanno un canotto al posto della bocca. ANTONIA: Chi?
DESIREE/GIANLUCA: Mettono la gonna ma tanto non ci casca nessuno. ANTONIA: Ma chi?
GAIA: Mia nipote mi ha detto che hanno dei cazzi giganteschi!
Tutte mano sulla bocca
Dunque, i transessuali sono definiti alla stregua di mostri dalle “sciure”, che inveiscono contro di loro, in modo da togliere a queste persone qualsiasi traccia di umanità; è come se in questa scena si facesse ampio uso delle classiche parole usate dagli individui transfobici, solo al fine di denigrare i trans, ritenuti diversi. Subito dopo ha inizio una sequenza corale, dove i personaggi compiono gesti, stereotipati, riferiti alla donna e all’uomo.
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VI scena
Marta apre la sesta scena con un altro monologo, questa volta però parla della maternità, impartendo consigli pratici su come generare un bambino: “Essere madre. E che ci vuole? Basta avere un marito. Non ce l'avete. Un fidanzato. Un amichetto, insomma un uomo. Non è difficile, siete una donna, agli uomini piacciono le donne…”; va ricordato che Marta è una donna transessuale e, in quanto tale, non può procreare; poi continua:
Ad ogni modo portatevi avanti col lavoro [ … ] procuratevi in anticipo tutto il necessario per la dolce attesa: tutine, camicine, una bella scorta di pannolini, giochini, palloncini. Ecco. Prendete un palloncino. Gonfiatelo, così… (almeno le labbra ce le avrete, spero) indi procedete al posizionamento dello stesso sotto il vestiario. E' importante che questo avvenga correttamente, così. L’ideale sarebbe che collegaste una pompetta al palloncino onde procedere al gonfiaggio, non esagerate, un pochino ogni tanto, tipo una volta al mese, attenzione agli ultimi giorni. E allo scoccare del 9° mese… (scoppia il palloncino)”.
Dunque, Marta illustra come fingere una gravidanza, grazie all’utilizzo di un semplice palloncino gonfiabile, che prima riempie d’aria e poi lo fa scoppiare (insieme a lei anche gli altri personaggi gonfiano ciascuno il proprio palloncino e lo posizionano sotto la veste, senza farlo scoppiare però), in modo da fornire una spiegazione non solo teorica, ma anche pratica. I consigli di Marta non si esauriscono qui: infatti, alla legittima richiesta del padre: “Dov’è mio figlio?” la neo madre avrà a disposizione varie scuse, più o meno plausibili (“Subito gli direte: l’hanno preso le infermiere, caro, lo stanno lavando. No, è che l’ho già mandato al nido, caro, è meglio abituarlo da subito. E poi ha iniziato ieri la scuola di calcio, tenero…”). Alla fine, però, la verità verrà fuori (“Non è reperibile, non è al momento raggiungibile. Non c’è, se ti dico che non c’è, non c’è, cioè, proprio non c’è, non so se mi spiego, non esiste, caro. Io non ho un utero”). Marta prosegue: “Lui vi mollerà. Ma non prendetevela troppo, voi non sapete che inferno vi siete scampate! La vostra vita non sarebbe stata più la stessa, ma avete idea di cosa significhi avere in casa un piccolo tiranno che ti costringe alla poppata ogni mezzora e poi pretende la playstation e l’Ipod.” Per sentirsi donna non è necessario essere madre, dal momento che una donna può realizzarsi nel lavoro o nella vita sociale, secondo Marta, che conclude con la frase “Non hai l’utero? Che donna fortunata!”. Il quinto video, previsto dopo il monologo, presenta una ricerca internet sulla maternità, mentre tutti gli altri personaggi schierati sul fondo della scena si voltano di profilo, mettendo in evidenza il pancione. La schiera avanza: contemporaneamente tutti si tolgono il palloncino da sotto la veste e lo liberano in aria. In questa scena viene espresso, con ironia, il disagio che una donna, anche se non nata femmina, può provare, essendo consapevole di non poter avere bambini e di non poterne dare alla persona che ama. Marta non mostra rassegnazione di fronte all’evidenza, bensì pensa a tutti i lati negativi legati
83 alla maternità. Di seguito interviene Marcela che dice: “Il vostro tempo è terminato. Per voi Miss Italia finisce qui”. Inizia la musica, Gaia piange, Desirée sviene e Laura se ne va seccata, come indica la didascalia. Irene strappa il microfono dalle mani di Marcela, raccontando di nuovo del suo innamoramento. Nel finale è prevista la coreografia corale dal titolo Strappo il corpo e te lo do, mentre l’ultimo video proietta la frase: “L’Italia è il paese con più omicidi trans fobici al mondo”.
La drammaturga sceglie la proiezione di un video, accompagnato ogni volta da un sottofondo musicale, per suddividere le sei scene dell’opera; ovviamente, è bene considerare il fatto che il testo restituisce ed illustra solo una piccola parte dell’opera teatrale Variabili Umane, poiché i momenti musicali, quelli coreografici e video, non possono essere analizzati in questo contesto. Come già ricordato le didascalie racchiudono già in sé delle vere e proprie note registiche, necessarie alla messa in scena, però è bene segnalare anche alcune carenze presenti nel testo: per esempio, non è chiaro fin dall’inizio se la regista sia effettivamente in scena con gli attori o se sia solo una voce fuori campo, fino a che non viene nominata, da una didascalia, in veste di soccorritrice di Gianluca svenuto (Gianluca sviene; Marcela lo va a chiamare). Nella seconda scena, invece, durante l’esposizione del primo monologo di Marta, non viene fatto più alcun cenno riguardo ai personaggi: se sono usciti di scena, se invece sono ancora in scena e se così in quale posizione si trovano rispetto a Marta. Solo a metà del monologo del personaggio una didascalia fa riferimento al gruppo (Noemi vestita da uomo- maschera baffi , si mostra al gruppo sullo sfondo viene presa al volo da ognuno, il gruppo avanza). Anche durante il secondo monologo di Marta, nella sesta scena, si perdono le tracce degli altri personaggi, reduci dalla coreografia corale della quinta scena; in questo caso è un titolo, Le donne palloncino (scritto al termine del monologo), più che una didascalia, a svelare al lettore la presenza sul palcoscenico del gruppo. Si presume che tutti siano in possesso di un palloncino gonfiabile, però non è dato sapere quale sia effettivamente l’azione svolta da ogni singolo personaggio con tale oggetto. La regista, invece, nel finale della prima scena, dopo l’ultima battuta rivolta a Gaia, non viene più menzionata dalle didascalie, come se non prendesse più parte allo spettacolo appunto; è necessario attendere fino alla quarta scena per ritrovarla, dove getta sul palcoscenico il nuovo personaggio: il danzatore Cesare. Dopo aver pronunciato la battuta: “Intervallo musicale” (non è dato sapere se sul palco o meno), Marcela scompare di nuovo, ma prima del finale rivolge al gruppo un’ultima frase: “Il vostro tempo è terminato. Per voi Miss Italia finisce qui”. I personaggi sembrano, quindi, restare sul palcoscenico, stando a quanto riportato dalle didascalie, dall’inizio della prima scena fino alla fine della quarta, quando tutti, tranne Noemi, scendono in platea, per poi rientrare, a metà della quinta scena, nel ruolo delle “sciure”.
84 Variabili Umane affronta, come suggerisce il titolo, il tema della variabilità negli esseri umani, esseri che possono variare, quindi esseri mutevoli: infatti, la maggior parte dei personaggi ha attraversato, e sta ancora attraversando, una fase di passaggio. Ognuno porta in scena la propria parte femminile e maschile, senza timore di apparire per come è. Il gruppo cerca di abbattere il muro che divide i due generi umani, costruendo invece un ponte per unirli. Sin dal prologo la Serli, attraverso la vestizione di Laura (donna transessuale) da parte di Mattia (uomo transessuale), con abiti femminili, proietta già il lettore nella dimensione della variabilità: un ex uomo ormai diventato donna e che quindi si veste come tale. La prima scena, la presentazione, è la più lunga e articolata, dal momento che tra i personaggi nascono spesso diverbi: ognuno cerca di sovrastare l’altro, volano critiche e insulti, fino alla conclusione, con un litigio corale. Attraverso la presentazione di sé stessi si cerca di togliere quel velo di finzione che separa l’attore, intento a recitare una parte, dagli spettatori, ai quali si rivolge o, meglio, in questo caso, dai lettori; la verità è il tema principale e viene sempre rispettato. Perché raccontare la verità è fondamentale in quest’opera teatrale? Perché rappresenta la volontà delle persone transessuali di uscire allo scoperto, di rendere visibile la propria identità, qualsiasi essa sia, senza più vergognarsene, senza più negarla; un’identità che ora vuole emergere prepotentemente e farsi riconoscere dagli altri, pretendendo rispetto.
I personaggi raccontano le proprie vicende personali, legate alla propria identità di genere: sono tutti adulti e interpretano sé stessi, lo dimostra il fatto che ognuno mantiene il suo nome anagrafico (si ricorda che alcuni hanno modificato il proprio nome, dopo aver cambiato il proprio sesso). È bene sottolineare che, nella prima scena, non tutti colgono l’occasione per presentarsi, come Marta, Irene e Cesare. La prima racconta la sua storia attraverso un monologo nella seconda scena, mentre la seconda parla dell’amore che nutre per una donna transessuale nella terza; il danzatore, invece, si presenta alla fine della quarta, alludendo alla sua omosessualità. Tutti parlano di sé, tranne Marcela, che mantiene il ruolo di regista e lascia spazio ai suoi attori. I quindici personaggi sono vari, provengono da contesti ed ambienti diversi e ciò è un ulteriore motivo di confronto: sei di questi (Stefania, Laura, Antonia, Giulia, Marco e Mattia) non sono attori professionisti, mentre gli altri sì, di cui tre anche danzatori (Noemi, Cesare e Alessio). La drammaturga articola le sei scene, come sei passaggi di crescita che i personaggi devono affrontare, per realizzare un percorso di autoanalisi e di autoidentificazione. Nella seconda scena, infatti, Marta ripercorre la sua infanzia, le violenze verbali e le umiliazioni subite, invece Irene, nel suo racconto, con la sua precisazione (“Pensavano che mi volevo fare una troia. Io però mi sono innamorata di una persona”), è come se cercasse di dare umanità e, soprattutto, dignità alla transessualità, vista spesso come qualcosa al di fuori dell’essere umano, quindi discriminata e screditata. Il percorso di analisi continua e prova ad affrontarlo anche Gaia, con le sue spiegazioni approssimate, su come si diventa transessuali, nella quarta scena;
85 mentre, interpretando le “sciure”, nella quinta, i personaggi vestono, per la prima volta, i panni dei “nemici”, ovvero di coloro che li hanno sempre discriminati e insultati, e che continuano a farlo, esorcizzando, in questo modo, le proprie paure. Ognuno, infatti, pronuncia una frase offensiva, commentando l’aspetto fisico dei transessuali, definendoli malati, mostri, oggetti, ma mai umani. Infine, a conclusione di questo percorso, che attraversa le tappe più importanti nella crescita, non tanto di una persona transessuale, ma di tutte le persone che hanno bisogno di trovare la propria strada e di capire chi sono e che cosa vogliono veramente, viene affrontato l’argomento della maternità; è Marta a parlarne. Naturalmente, la maternità qui riguarda una donna transessuale, impossibilitata a procreare, perché priva dell’organo riproduttivo femminile. La drammaturga, prima di concludere l’opera, desidera far intervenire anche un sedicesimo personaggio: si tratta di una donna adulta transessuale, seduta in platea come una normale spettatrice, che ad un tratto chiama la Serli e le chiede se può presentarsi. La regista acconsente e il personaggio, di nome Giulia, racconta la sua storia. Questo dimostra che Variabili Umane si concentra su tante storie diverse, unendole, confrontandole, ma soprattutto raccontando al lettore storie vere, perché anche lui ne diventi testimone, venendo così a conoscenza di altri mondi, mondi poco conosciuti, di cui forse non si era mai interessato, ma di cui adesso è a conoscenza e non può sottrarsi a questo scambio.
In conclusione, è interessante notare l’uso, nel testo, della parola “normale”: la prima ad usare questo vocabolo è Noemi che si definisce una persona normale, prendendo le distanze dagli altri personaggi (uomini e donne transessuali e drag queen), quindi normale nel senso di eterosessuale; lo stesso fa Gaia, che allude alla sua normalità sessuale, in quanto nata donna e rimasta tale, differenziandosi anche lei dai suoi colleghi transessuali, molti dei quali ricorsi alla chirurgia estetica. La normalità qui è usata dunque per distinguere maschi e femmine, i due generi base, da tutte le altre identità di genere. Nella prima scena, durante la conclusione, tra Marcela e Gaia scoppia un litigio: infatti, la prima accusa la seconda di non essere onesta, perché si ostina a nascondere la realtà dei fatti, ovvero la sua transessualità. Naturalmente Gaia nega, perché lei è davvero una “donna a tutti gli effetti”, però questo scambio pone l’accento su un'altra questione: l’ammissione di ciò che siamo, ovvero ammettere la nostra identità a noi stessi prima che agli altri. Molte persone sono capaci di mentire per anni a sé stesse, per mancato coraggio, per vergogna o semplicemente per paura delle reazioni altrui; ecco perché il video previsto nella quinta scena porta il titolo: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”, come se questa frase fosse un mantra da ripetersi in qualsiasi momento, come se fosse l’inizio di un cammino e non la fine.