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Il Meggiorin inizia a cantare, accompagnandosi con la chitarra. L’attrice, sempre seduta e illuminata da un intenso fascio di luce, si piega in avanti e afferra la borsa scura sotto la sedia, dalla quale tira fuori un paio di scarpe nere con il tacco: si leva le scarpe che aveva e indossa quelle; sempre dalla borsa prende una parrucca rossa e se la sistema in testa, poi inizia a far scendere la lampo del giubbotto per toglierselo. Al contrario dei precedenti cambi di scena a vista, in cui l’attrice, seduta sulla sedia, era lasciata in penombra, questa volta la luce, intensificandosi su di lei, la mette in evidenza, come se la sua vestizione diventasse un rito sacro, talmente importante da essere mostrato al pubblico. La Musso si alza dalla sedia, tenendo il giubbotto con la mano sinistra, e si dirige verso l’asta del microfono, illuminata e posizionata sulla sinistra del palco e, calatasi ormai nel ruolo di una prostituta, ripete le stesse frasi pronunciate durante la parte introduttiva dello spettacolo:

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Io vorrei che tu scrivi che non sono diversa dagli altri, che non sono diversa proprio da nessuno, che non è giusto che tutti ci dicano porche, arruse, schifose ma poi vengono a cercarci, o siamo porche schifiate, allora basta fateci morire, oppure noi vi bisogniamo e allora ditelo.

Due occhi di bue sul palcoscenico illuminano, rispettivamente, l’attrice ed il musicista, per evidenziare le due figure: non appena la prima termina di parlare, il secondo, che continua a suonare, ricomincia il suo canto. La prostituta-Musso si dirige verso il fondo della scena, sempre in posizione centrale: la luce sull’asta del microfono si spegne, mentre si accende un faretto in basso a sinistra che illumina la figura della donna, come i fari di un’auto che abbagliano, di notte, una passeggiatrice sul marciapiede (una fonte luminosa “nascosta”). La prostituta cammina tenendo il giubbotto sulla spalla destra, mentre il fascio di luce la accarezza: si tocca le gambe, si muove, si protrae in avanti per osservare meglio la sorgente luminosa. Dunque, lo spettacolo si conclude con un’immagine precisa, quella di una passeggiatrice in attesa dei clienti, una donna esposta agli sguardi degli automobilisti che si soffermano sulla strada, ovvero il suo ambiente di lavoro. Il musicista canta: “Sto con te se mi vuoi, se mi vuoi con te” e la donna in piedi resta in posa, immobile, mentre guarda quel bagliore. La luce cala sul palcoscenico, oscurando ogni cosa; della Musso si scorge appena la parrucca, color rosso prostituta.

La Musso sceglie di aprire e chiudere lo spettacolo interpretando una prostituta che si rivolge a un uomo, o a un cliente, oppure a un giornalista che la sta intervistando. Interessante è notare la trasformazione dell’attrice: infatti, nell’Introduzione è vestita in modo neutro, per impersonare la prostituta, mentre nel finale indossa una parrucca rossa e scarpe con i tacchi, per essere più riconoscibile dal pubblico. Sicuramente Giuliana Musso, come lei stessa ha precisato più volte, non si sente in dovere di far conoscere, attraverso Sexmachine, la sua opinione riguardo al mondo del sesso a pagamento, non è questo che le interessa; invece, l’intenzione della drammaturga è quella di rappresentare i personaggi che fanno parte di questo mondo, e, in particolare, di rappresentarli in modo veritiero. Ed è la verità che la Musso cerca di trasmettere con questo spettacolo: non a caso la prostituta che interpreta, all’inizio e alla fine, chiede semplicemente ai clienti di essere sinceri e onesti, soprattutto con sé stessi, e di ammettere, una buona volta, quanto hanno bisogno della figura della “puttana”, quella stessa con la quale prima trascorrono la notte e subito dopo insultano e condannano.

Sexmachine non è uno spettacolo comico, però la comicità è una parte importante dell’opera. In riferimento ai personaggi risulta evidente come alcuni di loro, in modi diversi, provochino effetti

61 comici. Dino, ad esempio, ha innanzitutto una mimica discreta, dal momento che il suo sguardo in alcuni momenti resta fisso o sul chitarrista o su qualche spettatore, per qualche istante, e da questa fissità, che lo caratterizza, e che ricorda pure il tipico sguardo perso nel vuoto di una persona anziana, scaturisce un effetto comico. Riguardo al “comico delle forme” Bergson, nel suo testo Il riso, scriveva: “Un’espressione risibile del viso ci fa pensare a qualcosa di rigido, di fisso – per così dire – nella ordinaria mobilità della fisionomia. Un tic perpetuo, una smorfia fissa, ecco quello che vi vedremo”25. Sin dalla sua entrata in scena, infatti, il personaggio inizia a fissare il musicista e, solo dopo un silenzio prolungato, cerca di interagire verbalmente con lui; questi silenzi si ripetono all’interno del monologo e sono comici anche per come Dino li risolve, ovvero destandosi d’improvviso e riprendendo a parlare come se nulla fosse accaduto: come se d’un tratto si fosse ricordato quello che doveva dire. Inoltre, questi momenti di pausa hanno un valore grammaticale, dal momento che dividono un argomento dall’altro. Il pensionato dimostra il suo lato comico, anche nel modo di esporre: infatti, nell’affermare alcune frasi fatte, si diverte a schernire, attraverso una parodia, l’atteggiamento militare (alzando la voce, portando il petto in fuori e unendo le gambe di scatto). La comicità non deriva, però, dalla parodia in sé, bensì da come l’anziano risolve la parodia, ovvero da come smentisce quello che ha appena dichiarato: un esempio è rintracciabile nella seconda regola della salute esposta da Dino (“E la seconda regola della salute? A tavola con moderazione. Lo dicevano anche i nostri vecchi: ‘alzarsi da tavola sempre con la fame!’ Anche perché loro da mangiare non avevano…”) oppure quando il pensionato si riferisce alla moglie (“Perché a casa mia comando io…ma decide tutto lei”). Inoltre, comico è anche il rapporto che si crea tra il personaggio e il musicista, dove il secondo finge di subire l’ironia pungente (dovuta sia al contenuto delle battute sia all’uso di un tono ironico) del primo: per esempio quando all’inizio il pensionato, esplicitamente, fa capire al chitarrista che ha un’età avanzata per continuare a studiare uno strumento, o quando “insulta” il Meggiorin non appena apprende che è scapolo (“Maledetto schifoso”) oppure quando definisce il suo organo sessuale “una rana”.

La comicità di Vittorio, invece, è legata alla sua “malattia”, ovvero la sua ossessione per il sesso, intuibile già dalla prima frase che pronuncia (“Mi tira sempre”); ma questo personaggio non risulta comico solo perché parla ripetutamente di sesso (“Non dico che sia la prima cosa che penso al mattino quando mi sveglio, ma la seconda di sicuro”), ma anche perché appare surreale (“Sono sempre stato così, fin da piccolo. Mi ricordo mia mamma che piangeva fuori dalla porta del bagno, io dentro con il giornale porno, non uscivo neanche per mangiare”), in particolare quando racconta la sue esperienza, unicamente sessuale, con una trans: “Io per un mese non ho dormito, non mangiavo, mi son sentito male, mi hanno portato all’ospedale e su con la flebo: ‘deperimento

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62 fisiologico’ mi han detto. È venuto a prendermi Sandro, il mio amico, fuori dall’ospedale e mi ha detto: ‘Vittorio… sei proprio una macchina sessuale ambulante!’”. Dunque, la comicità di Vittorio deriva dalla sua meccanicità: infatti, è l’assenza di emozioni a renderlo comico. Silvana ha una gestualità comica, poiché nel descrivere la sua professione (“Il motto della ditta deve essere: simpatia e velocità!”) compie alcuni gesti (come guardare l’orologio al polso, oppure imitare il suono delle macchine da corsa) per indicare la durata delle sue prestazioni. La donna considera il rapporto sessuale solo come un semplice scambio economico tra una prostituta in cerca di soldi (“Velocità uguale tempo, uguale denaro”) e un cliente in cerca di piacere (Vittorio ne è l’esempio). Il romanticismo e i sentimenti non trovano spazio nell’universo del sesso a pagamento, dove sia la prostituta sia il cliente diventano prodotti: la prima viene usata come un oggetto dal secondo ed il secondo come un “pollo da spennare” (ricordando le parole di Silvana) dalla prima. Una volta entrati negli ingranaggi della “macchina del sesso” si perde la propria umanità, per diventare parte del meccanismo: un meccanismo di piacere per il cliente e di guadagno per la prostituta.

Igor, come Dino, presenta una mimica discreta, che risulta ancora più evidente quando si riferisce alle ballerine di lap dance, infatti, il solo nominarle gli procura un visibile cambiamento mimico e fisico: sguardo fisso, movimento compulsivo della testa da una parte ad un’altra, irrigidimento del corpo e ripetizione ossessiva della frase: “Divento matto” e della parola “bellissimo”. Comica è anche la relazione tra Igor e Igi sulla scena. Un esempio è dato dalla pantomima muta “di pietà” del giovane nei confronti del musicista: infatti, dopo aver elencato quali caratteristiche deve avere un ragazzo, per essere considerato attraente dalle sue coetanee (“Devono avere tanti soldi e mostrare di averli, anche se non li hanno. Non possiamo mica tutti essere così”), Igor, indicando con gli occhi il musicista, fa capire al pubblico che Igi non ha queste determinate qualità, quindi mima con le labbra la parola “poverino”, assumendo un’espressione pietosa. Monica non è un personaggio comico, dal momento che l’espressione del suo volto e la sua gestualità indicano ansia, timore e insicurezza: il fatto che la donna trattenga, con la mano sinistra, il suo braccio destro, oltre a rivelare una chiusura fisica, denota anche la sua chiusura mentale. Monica esterna le sue convinzioni sul sesso, talmente assurde da diventare ridicole, e proprio su questo argomento pronuncia un’unica battuta che procura ilarità tra i presenti: “Una donna, a differenza di un uomo, può resistere molto a lungo senza avere rapporti. Mesi. Anni. Decenni. E non ne sente la mancanza. Evidentemente non è nella nostra natura”. Qui la comicità scaturisce dal contenuto della frase, in particolare quando viene calcolata, in termini temporali, l’astinenza di una donna dai rapporti sessuali: infatti, da un’unita di misura relativamente breve (“mesi”), e abbastanza determinata, si passa ad una (“anni”) più estesa, per poi concludere con l’ultima (“decenni”) oggettivamente più lunga e indeterminata. Un crescendo comico “dove la causa, insignificante in origine, termina, per un progresso necessario, in un

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. La storia di Sandro non è comica per niente, invece: la sua vita è distrutta e trasmette disperazione unita alla rassegnazione, infatti ha perso tutto e gli restano solo le lacrime, che più di una volta versa in scena. Il personaggio si trova nel camper di una prostituta, come a sottolineare la sua caduta in disgrazia: un tempo brillante e benestante imprenditore, e adesso intrappolato dalle banche, con una famiglia a carico; forse, mai avrebbe pensato che un giorno si sarebbe ritrovato a fare le sue confidenze ad una prostituta. Il personaggio dimostra più degli altri il suo lato umano e non vuole reprimerlo o, più precisamente, esterna di più le sue emozioni, mettendole in evidenza senza vergognarsi. Dino, ad esempio, reprime la sua rabbia durante il finale, infatti non alza la voce, non esplode affatto, bensì implode, pronunciando a denti stretti la parola “puttana” riferita alla figlia, così anche Vittorio che, terrorizzato dai cambiamenti causati dalla futura vecchiaia, preferisce il suicidio cercando di nascondere la paura. Silvana sicuramente ha subito violenza da un cliente e si è pure innamorata una volta, ma allude soltanto a questi due episodi, evitando di parlare in prima persona: si incupisce e si rattrista soltanto, reprimendo quasi immediatamente le sue emozioni, senza mai affrontarle. Monica continua a ripetere, quasi fosse un ritornello, la storia del marito perfetto che non la lascerà mai, come se il continuo ripeterlo servisse solo a lei, per convincersene una buona volta. Esterna solo la sua indignazione nei confronti delle prostitute che affollano le strade di notte, ma non la paura di essere un giorno lasciata dal marito. Igor cerca di dissimulare, di far credere agli altri e a sé stesso che la sua vita gli piace, ma così non è: sicuramente è stanco di stare da solo, di non avere accanto una ragazza che lo ama, ma non vuole far trasparire la sua tristezza, così la nasconde dietro ad un sorriso.

I diversi stati d’animo di ogni personaggio vengono evidenziati dalla musica, che attraversa vari generi, come variegato si rivela il trascorso musicale di Gianluigi Meggiorin: dal folk al jazz, dalla bossa nova al blues, fino al funky. La colonna sonora dello spettacolo nasce insieme ai personaggi, che accompagna e sostiene con contrappunti ritmici, con dissonanze e con brevi silenzi. Il musicista, riguardo al lavoro svolto con la Musso, afferma:

Giuliana aveva in testa tutto quello che voleva raccontare. Mi ha chiesto di raggiungerla a Udine e sono andato. Mi ha chiesto: “Fammi qualcosa che provo a dar voce ad un vecchio” (Dino); io ho messo le dita sulla chitarra pensando al vecchio e mi è uscito un giretto fingerstyle un po’ zoppo, mentre Giuliana, con il registratore acceso, improvvisava, quasi vomitava il testo. L’introduzione non poteva che essere il mitico rif di James Brown Sex Machine.

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64 Il Meggiorin dialoga con la partner, andando a pescare nel suo repertorio personale, ma anche in quello di icone musicali come Tom Waits e Billie Holliday, due tra gli autori che maggiormente si sono avvicinati al tema del sesso a pagamento. Come già ricordato ogni personaggio ha la sua colonna sonora, inoltre il musicista canta quattro brani inediti (il primo per introdurre il pensionato, il secondo dopo la prostituta, il terzo per introdurre il giovane operaio e il quarto in chiusura del monologo di quest’ultimo). Dino, ad esempio, viene introdotto da una canzone dedicata a lui, che parla dell’incontro tra una donna (presumibilmente una prostituta) e un settantenne; invece, in merito al rapporto tra la melodia e i cambi emozionali del personaggio, quando Dino, rattristato, si riferisce alla chiusura delle case di tolleranza, il ritmo rallenta e la musica diventa quasi malinconica. Nel finale il sottofondo musicale si arresta del tutto, non appena il pensionato, nominando la figlia, mostra segni di nervosismo. La musica accompagna con discrezione i personaggi, e si interrompe solo nei momenti in cui le parole bastano da sole. La colonna sonora di Vittorio ha un ritmo sostenuto, per l’intera durata del monologo, e solo nel finale, quando l’agente di commercio dichiara il suo intento suicida, la musica ha una brusca interruzione. Silviana, invece, viene salutata dal chitarrista con il ritornello: “Ciao, ciao Silvana”, che durante il suo monologo viene intonato più volte da Igi (nei momenti in cui il personaggio non parla). Nel finale Silvana si rattrista e la melodia di accompagnamento, come mostrando rispetto per lei, si arresta. Naturalmente, affinché la musica non si sovrapponga alle parole dei personaggi, il volume del suono viene ben equilibrato dal Meggiorin. Per Monica Igi sceglie una melodia meno allegra, anzi a tratti inquietante, discordante, come a sottolineare la sua rigidità, caratteristica di questo personaggio. La melodia si ripete per tutto il monologo, e solo nei momenti in cui la donna si rivolge al figlio il chitarrista suona un accordo minore. Igor, in quanto personaggio esuberante, viene fin dall’inizio caratterizzato da una colonna sonora dinamica. Durante le domande rivolte dal personaggio al pubblico e durante i tre tentativi fallimentari, da parte di Igor, di avvicinare tre diverse ragazze, la musica tace. Sandro, invece, non ha una colonna musicale introduttiva, dal momento che non appena il musicista finisce di cantare il pezzo dedicato a Igor, subito il sesto personaggio inizia a parlare. La musica è comunque presente durante l’esposizione del suo monologo, dando una connotazione melanconica alle parole, e sospendendosi nei momenti di pianto di Sandro. Durante i silenzi del personaggio la musica s’intensifica, acquistando un ritmo più veloce e crescendo di volume. Il monologo si chiude e Igi intona un canto: il volume della musica si abbassa di nuovo quando l’attrice, trasformatasi in prostituta, parla all’asta del microfono, ma si rialza poi per concludere lo spettacolo.

Nella messa in scena, oltre alla musica, funzionale a creare atmosfere diverse per ogni personaggio, anche l’illuminazione gioca un ruolo molto importante: infatti, nella parte introduttiva si passa da

65 un semplice occhio di bue, proiettato sull’asta del microfono per illuminare l’attrice, a luci intermittenti rosse e blu nel Prologo, in modo da ricreare sul palcoscenico il dinamismo visivo tipico dei locali notturni. Il buio in dissolvenza o una bassa intensità luminosa, invece, suggeriscono la fine di ogni quadro scenico. Inoltre, per scandire il passaggio da un personaggio ad un altro, la Musso non sempre esce di scena, anzi: ad esempio, dal terzo quadro scenico al quarto, seduta in penombra su una sedia, l’attrice si toglie, metaforicamente, gli abiti di Silvana per indossare gli abiti di Monica, mentre dal quinto quadro scenico al sesto abbandona quelli di Igor, calandosi nei panni di Sandro. Durante questi passaggi l’attrice sembra non far parte della scena, infatti su di lei non c’è un fascio diretto di luce, come invece accade al musicista intento a suonare. È bene sottolineare poi la trasformazione più importante, e quella più meticolosa, che la Musso compie, sempre seduta, rivolta però verso il pubblico, quando si traveste da prostituta: una luce più intensa e calda la illumina, per evidenziare la sua metamorfosi, l’ultima. Durante i monologhi di Dino, di Silvana e di Igor il palcoscenico appare più illuminato, questo perché i tre compiono più spostamenti all’interno dello spazio scenico, rispetto agli altri personaggi, interloquendo spesso non solo con il pubblico, ma anche con Igi. Vittorio, invece, rimane fermo, in piedi, sul proscenio, con il chitarrista dietro, quindi la luce si concentra solo su di lui. Nel caso di Monica la luce prima si accende solo sulla sinistra del proscenio, posizione dalla quale lei va incontro al figlio, e solo dopo, quando lei si sposta verso il centro, l’illuminazione si espande su tutto il proscenio; mentre il musicista resta, volutamente, in penombra, dal momento che il personaggio non si rapporta a lui. Infine, Sandro viene illuminato o, meglio, isolato da un occhio di bue, che fa emergere solo parzialmente la sua figura, per sottolineare il suo stato d’animo, diviso tra l’amore per la sua famiglia e i problemi lavorativi. L’illuminazione qui ha un valore semantico, perché mette in risalto la sua solitudine; anche in questo caso il chitarrista risulta in penombra, per lo stesso motivo di Monica. Nel finale un occhio di bue illumina il musicista sulla destra, mentre l’altro l’attrice sulla sinistra, in modo da separare i due interpreti, che qui non entrano in relazione direttamente: la luce assume anche in questo caso un valore semantico. Mentre, come immagine conclusiva, la Musso viene abbagliata da una luce diretta, come una passeggiatrice abbagliata dai fari di un’auto.

In riferimento alla prossemica Dino, Vittorio, Silvana e Igor si rivolgono spesso sia al pubblico sia al musicista, il quale resta sempre seduto sul suo sgabello con la chitarra in spalla; invece, con Vittorio si alza, restando in piedi dietro di lui per tutta la durata del monologo. Dunque, gli altri personaggi instaurano una distanza personale con il Meggiorin, e una distanza pubblica con gli spettatori, dovuta allo spazio che separa il palco dalla platea. Monica e Sandro non si rapportano né con il musicista, che infatti risulta in penombra durante i loro monologhi, né con il pubblico.

66 Monica si rivolge agli spettatori, ma non interagisce con questi, mentre spesso parla con il figlio;