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Le due opere teatrali a prima vista mostrano alcune differenze a cominciare dai temi trattati: Sexmachine parla del mercato sessuale nelle zone del Triveneto, analizzando la figura sia della prostituta che del cliente; mentre Variabili Umane si occupa delle identità di genere. Naturalmente le differenze non sono solo di natura tematica, ma riguardano anche la genesi delle due pièces, cioè i diversi metodi adottati dalle due drammaturghe durante la creazione delle proprie opere. Sexmachine è il risultato di una ricerca sulla cultura sessuale e sul mercato del sesso nel Nord-Est Italia, di oltre due anni; la Musso studia le informazioni, i fatti passati e attuali, parlando con Carla Corso, ex prostituta e attivista, fondatrice insieme a Pia Covre del Comitato per i diritti civili delle prostitute (CDCP), ricercando anche fatti di cronaca e intervistando clienti e prostitute. Il testo drammaturgico, che ne deriva, intende descrivere come alcune persone vivono la propria sessualità, che cosa cercano e di che cosa hanno bisogno; infatti, nel Prologo l’attrice invita il pubblico ad acquistare prodotti e programmi che riguardano il sesso, senza usare tanti eufemismi, ma chiamando le cose con il loro nome. I sei monologhi successivi sono interpretati sempre dalla Musso, che ricopre sei differenti ruoli, quattro maschili e due femminili, per dare voce a chi compra e a chi vende in questo tipo di mercato: dal cliente pensionato all’erotomane, dalla prostituta alla madre di famiglia e dal frequentatore di locali notturni all’imprenditore fallito in cerca di compagnia. I personaggi appartengono a generazioni e a estrazioni sociali diverse, ma tutti fanno parte, direttamente e indirettamente, del mondo del sesso a pagamento; inoltre, ognuno esterna, a suo modo, il suo disprezzo per l’altro: ad esempio, Dino se la prende con i giovani scapoli come Vittorio, mentre quest’ultimo denigra le prostitute come Silvana, che allo stesso tempo considera i clienti alla stregua di “polli da spennare”; e per finire Monica rinchiuderebbe i clienti e le prostitute in galera. Igor, invece, chiama in causa solo i suoi coetanei, dai quali prende le distanze, mentre Sandro si concentra sui propri problemi e mostra di provare disprezzo soltanto per sé stesso. Il testo drammaturgico, quindi, si presenta come un copione di scena, costituito dalle battute dei personaggi e da un numero limitato di didascalie, che indicano il volume di voce da usare, nel pronunciare una certa battuta, oppure suggeriscono a chi è rivolta la frase (o al musicista o al pubblico). Inoltre, questo testo è il risultato ultimo di quattro fasi di lavoro: analisi del tema principale (il mercato del sesso), individuazione dei personaggi (l’autrice si pone due interrogativi durante la ricerca di queste sei figure: “Di che cosa parlano? Quali sono le loro caratteristiche?”), improvvisazione dell’attrice

106 con il musicista Gianluigi Meggiorin e, infine, stesura dei monologhi. Dunque, è la sola attrice- autrice Musso a ideare e a realizzare la sua opera teatrale, desiderosa di conoscere le ragioni e le dinamiche che spingono alcuni uomini a cercare la figura della prostituta; con questo però non intendo sminuire il contributo del chitarrista vicentino alla creazione dello spettacolo, un interprete e autore esperto e di talento, che accompagna con garbo i diversi personaggi che si susseguono sul palco. La colonna sonora della messinscena, infatti, nasce proprio dalla collaborazione tra i due artisti, durante le prove, e si sviluppa insieme alle parole, alle modulazioni e alterazioni vocali della Musso, puntualmente registrate e riascoltate per cercare di migliorare di volta in volta la performance. La parola scritta, quindi, è solo l’ultima fase della creazione dell’opera per la drammaturga vicentina, anche se le rifiniture definitive del testo vengono eseguite solo dopo aver registrato gli esiti delle prime rappresentazioni, attraverso la relazione con il pubblico: infatti, solo in quel momento è possibile constatare quali battute “funzionano”, come si usa dire in gergo teatrale, e quali no.

Variabili Umane è il risultato di un laboratorio di incontro e di studio sull'identità di genere, con persone transessuali e non, tenuto dalla drammaturga argentina. Marcela Serli, ispirandosi anche al testo di Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale, inizia a scrivere la prima scena, della durata di venti minuti circa, e chiede ai suoi “attori”, uomini e donne transessuali, di improvvisarvi; a tal proposito la regista rivela: “Ho creato uno spazio vuoto, tutti in piedi, con l’instabilità che dà un non luogo. Di volta in volta ho creato situazioni dove le variabili potessero muoversi e ritrovarsi e perdersi. Una struttura che segnala una esposizione diretta senza orpelli, un lavoro su di sé e su un altro da sé. Perché non si può definire qualcosa se non si definisce anche il suo ‘contrario’”31. Le scene nate dalle improvvisazioni con gli attori sono le prima, quella delle presentazioni, e la quinta, il momento in cui arrivano le “sciure”, mentre le altre scene sono state prima scritte dalla drammaturga e in un secondo momento provate dagli attori della compagnia, perché “è l’attore che finisce di creare” come l’autrice stessa ammette. Dunque, a differenza di Sexmachine, quest’opera teatrale non è solo il prodotto di un singolo (sia pure abbinato a un musicista), ma è frutto di un lavoro di gruppo. Anche in questo caso il testo drammaturgico non è altro che un copione, scaturito delle molteplici prove degli attori della compagnia, e, soprattutto, riadattato dopo le prime rappresentazioni: si presenta suddiviso in sei scene precedute da un breve Prologo. La Serli descrive, nella sua opera, le fasi più importanti nella vita di un essere umano (l’infanzia, l’adolescenza e la maturità), raccontando le ulteriori difficoltà che una persona transessuale può trovare, durante questo percorso: la diversità rispetto agli altri coetanei scoperta nell’infanzia, l’accettazione della propria diversità attraverso una transizione non solo fisica, ma prima di tutto

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107 psicologica e infine l’età adulta, con il desiderio di creare una famiglia. Il testo è costituito dalle battute dei personaggi e soprattutto è ricco di didascalie e note registiche, importanti per comprendere al meglio le azioni svolte dai personaggi sul palco. A questo punto è bene fare una distinzione tra le note registiche e quelle didascaliche qui presenti: le prime sono scritte dalla drammaturga per sé stessa regista (nella prima scena: “Accendo tre neon” e nella quarta scena: “Nel frattempo prendo Cesare e lo butto in scena”), mentre le altre sono scritte dalla drammaturga per il fonico (nel Prologo: “Pausa quando fotogramma nero. Metti cartoncino” nella sesta scena: “Spegni le luci quando spegni musica”). Le didascalie, invece, sono riferite ai gesti e alle azioni degli attori, ma indicano anche la presenza di colonne sonore e di proiezioni video che, come si è visto, hanno una funzione non solo drammaturgica, ma anche grammaticale, dal momento che separano una scena dall’altra.

Dunque, la Musso e la Serli, come abbiamo visto, seguono due modalità di esecuzione differenti, durante la composizione delle loro opere: la prima affronta una fase iniziale di ricerca e studio sul tema da trattare, e su come trattarlo, poi solo successivamente prova il lavoro svolto sino a quel momento in scena; mentre la seconda inizia il suo percorso a partire dalla scena, anzi da chi è in scena e da cosa nasce in quel dato spazio tra diversi individui. Comunque, messe da parte le dovute differenze, i testi drammaturgici si presentano come due copioni, frutto delle sperimentazioni compiute in fase di prova e delle variazioni apportate sia prima che dopo il debutto. Questo è il motivo per cui entrambe le pièces (Sexmachine e Variabili Umane) sono un esempio di ‘drammaturgia consuntiva’32

, ovvero di drammaturgia “viva”, rielaborata a posteriori dello spettacolo e soprattutto costruita a partire dall’attore: Giuliana Musso si cuce addosso i suoi personaggi, mentre Marcella Serli sfrutta le caratteristiche dei suoi attori (i tre ballerini, Noemi, Cesare e Alessio, si esprimono con la danza, mentre tre delle attrici professioniste, Marta, Nicole e Gaia, grazie alla forma del monologo, mettono in evidenza le loro capacità vocali).

In merito alla messa in scena di Sexmachine la Musso è l’unica interprete a dare voce e corpo ai sei personaggi che si avvicendano sul palcoscenico, sul quale è presente anche il musicista Gianluigi Meggiorin, intento a suonare dal vivo la colonna sonora dello spettacolo, con la sua chitarra. Nella parte iniziale della rappresentazione l’attrice interpreta una prostituta, mentre il Prologo si presenta come una cornice introduttiva, quasi gridata al microfono, dove la Musso illustra il fenomeno del sesso a pagamento, scaldando la sala e invitando il pubblico a “provare” il piacere sessuale, assumendo la voce volutamente sgraziata di un Lucignolo33, che invita ad entrare nel ‘Paese dei

32 Cfr. Siro Ferrone, Non cala il sipario. Lo stato del teatro, a cura di J. Jacobelli, Roma-Bari, Laterza, 1992, pp. 97-

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33 Cfr. Paolo Puppa, La voce solitaria. Monologhi d’attore nella scena italiana tra vecchio e nuovo millennio, Roma,

108 Balocchi’. Nei sei monologhi, invece, l’autrice dimostra le sue capacità attoriali, soprattutto nell’interpretazione delle quattro figure maschili, ovvero i clienti delle prostitute. L’artista vicentina incentra il suo spettacolo sulla parola e sull’uso della voce unito al gesto, per caratterizzare le sei personalità; inoltre, dal momento che viene presa in esame la zona del Triveneto, l’inflessione dialettale usata da tutti i personaggi è appunto quella veneta. Naturalmente la parola (intesa come codice che comprende la linguistica e la paralinguistica) in teatro si trasforma in linguaggio scenico e, in questo caso, l’uso del “dialetto” è connesso sia al territorio sia alle origini dell’attrice (vicentina di nascita, udinese di adozione), che si diverte a giocare con la sua “lingua” reinventandola. Inoltre, attraverso i suoi personaggi la Musso cerca sempre un dialogo con il pubblico, abbattendo la quarta parete proprio come una one woman show, che scruta la sala e a caso interroga alcuni dei presenti, provocandoli e punzecchiandoli: sono frequenti i “ponti beffardi e irriverenti”34

lanciati alla platea, nella tradizione del motto di spirito aggressivo, come quando l’attrice, interpretando Igor, definisce depressa una spettatrice, da lei interpellata, per aver detto che a Milano c’è un solo locale a luci rosse. È bene poi ricordare il trascorso formativo della Musso, che affonda le sue radici nel teatro di narrazione, in quanto allieva di Marco Paolini, e non a caso questo, come altri suoi spettacoli che si occupano di indagini territoriali (mi riferisco alla trilogia Nati in casa, Sexmachine, Tanti saluti), si colloca nell’ambito del ‘teatro d’inchiesta’.

In Variabili Umane la Serli interpreta sé stessa, la regista appunto, intenta a dirigere il suo spettacolo, richiamando più volte all’ordine i suoi personaggi, che si presentano al pubblico non come attori, ma come persone, pronunciando il proprio nome anagrafico e parlando di sé. Dunque, il teatro nel teatro, dove l’importante è rivelare l’artificio, mettendo a nudo la verità, senza ingannare lo spettatore, contrastando così la finzione su cui si fonda il teatro stesso; non a caso, la drammaturga argentina, fin dal principio, dichiara che il suo è “teatro documentario”. Nella prima scena, infatti, si crea una situazione metateatrale, dal momento che gli attori, dopo aver eseguito una breve coreografia durante l’ingresso sul palco, sollecitati dalla regista, si presentano al pubblico; mentre nelle scene successive ogni personaggio, chi attraverso la parola e chi attraverso la danza, recita la sua parte. L’atmosfera di metateatro si ricrea di nuovo prima della fine dello spettacolo, con l’arrivo, dalla platea sul palco, di una coppia transessuale, desiderosa di raccontare la propria storia di transizione. Nel breve Prologo iniziale, invece, viene presentata la vestizione di un attore con abiti femminili, per sottolineare il tema del cambiamento d’identità, di cui tratta l’opera, appunto. Questa rappresentazione, pur ricorrendo spesso all’uso della parola, si incentra più sulla coreografia corale e singola, quindi sulle azioni o, meglio, rel-azioni tra i personaggi. A differenza della Musso, qui gli attori non si rivolgono direttamente ai presenti, anche se agiscono, in alcune

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109 occasioni, proprio accanto a loro: infatti, la platea viene utilizzata spesso come luogo di azione scenica sia dalla regista che dai personaggi.

In entrambi gli spettacoli è presente un elemento comune, ovvero l’esortazione al rispetto della figura umana e della sua dignità. In Sexmachine, nella parte introduttiva e nel finale, la Musso, in veste di prostituta, provoca gli uomini a rispettarla e a rispettare le donne che svolgono il suo mestiere, spesso reificate come donne-oggetto (“Io vorrei che tu scrivi che non sono diversa dagli altri, che non sono diversa proprio da nessuno, che non è giusto che tutti ci dicano porche, arruse, schifose ma poi vengono a cercarci, o siamo porche schifiate, allora basta fateci morire, oppure noi vi bisogniamo e allora ditelo”). In Variabili Umane, invece, il primo personaggio a chiedere rispetto è Laura, donna transessuale, che nella seconda scena chiede di essere apprezzata per quello che è e non per il modo in cui si veste. Irene definisce la trans di cui si è innamorata “una persona”, sottolineando la differenza tra persona e “troia” (in riferimento alle transessuali che si prostituiscono in strada). Gaia, nella quarta scena, domanda alla fine del suo monologo: “Cosa devo fare per farmi amare?”, come se l’amore del prossimo fosse un traguardo irraggiungibile per alcuni. La richiesta non ottiene risposta e, forse, una risposta non c’è, per il semplice fatto che non è necessario fare niente per farsi amare o, meglio, per farsi accettare, dal momento che la diversità non è una giustificazione plausibile per negare l’amore e il rispetto all’altro. A questo proposito è bene ricordare ciò che Laura dice nella seconda scena: “La gente mi deve apprezzare per quello che sono, non deve essere importante se ho gli orecchini, i piercing, i capelli o i vestiti strani…deve apprezzarmi perché io sono io”. Sempre nella quarta scena Cesare, a conclusione della sua danza, esclama: “Le parole sono importanti”, in merito al fatto di non sottovalutare il potere delle parole, spesso utilizzate come armi, fendenti scagliati con violenza che colpiscono e feriscono l’altro nel profondo. La Serli allude soprattutto alle parole discriminatorie e dispregiative nei confronti delle persone transessuali, che colpiscono la loro identità e sessualità. Da notare che questa frase viene pronunciata dal danzatore, prima dell’entrata in scena delle “sciure”, interpretate dal gruppo “femminile”, le quali iniziano ad inveire verbalmente contro i transgender. Entrambi gli spettacoli inviano un messaggio ben preciso al pubblico, cioè chiedono, anzi pretendono rispetto, un rispetto che in una società civile non dovrebbe essere garantito per legge, ma dovrebbe essere normale provare per altri esseri umani e altre realtà diverse dalla nostra. Un rispetto che molto spesso viene negato a chi non si vergogna di rivelare la sua professione, la sua identità di genere o il suo orientamento sessuale e a chi esibisce con fierezza la propria diversità e per questo viene definito non normale. Soffermiamoci un attimo su quest’ultima parola.

In Sexmachine Vittorio, dopo aver intrattenuto dei rapporti, unicamente di natura sessuale, con una donna transessuale, ha pensato di non essere normale: questo fatto si collega alla messa in scena

110 della Serli, poiché viene riconfermato che transessualità è sinonimo di anormalità. Ancora in Sexmachine Silvana rivela che gli altri la considerano una pazza, per la sua professione, mentre Monica, dopo aver dichiarato di far parte della “gente normale”, definisce non normale il cliente che si apparta con la prostituta, giustificando così il suicidio di un ragazzo, avvenuto quindici anni fa nel trevigiano, dopo essere stato sorpreso in auto dalle forze dell’ordine in compagnia di una passeggiatrice. Igor, invece, dice di diventare “matto” non appena vede una bella ragazza, dunque l’eccitazione e il sesso portano automaticamente alla pazzia nel suo caso, ovvero ad un atteggiamento non più nella norma. Da una parte c’è il cliente che deve sfogare i propri impulsi sessuali e dall’altra c’è la prostituta che vende il suo corpo per soldi, ma l’atto di pagare, come la stessa Musso suggerisce, degrada entrambi e li fa apparire agli occhi della “gente normale” come dei pervertiti.

In Variabili Umane la parola “normale” viene usata per definire le donne e gli uomini biologici, in opposizione a quelli di genere transessuale. Noemi, nella prima scena, si ritiene normale, rispetto agli altri personaggi, trans appunto, che si erano appena presentati; mentre Gaia, nella quarta scena, precisa di essere una “donna normale”, per risolvere l’equivoco creatosi poco prima, quando la regista l’aveva definita una donna transessuale. Anche le “sciure”, con i loro commenti transfobici, dipingono i trans come persone non normali, perché non identificabili né con il modello maschile né con quello femminile, e, di conseguenza, considerati dei veri e propri mostri. Dunque, che cosa è normale e cosa invece non lo è? Chi ha il potere di stabilire il confine tra queste due parti? Vittorio, ad esempio, ritiene normale intrattenere rapporti sessuali con prostitute donne, ma anormale intrattenerli con donne transessuali, in quanto appartenenti ad un genere non del tutto definito, metà uomini e metà donne, mentre lui, ossessionato dal sesso, si considera, invece, un uomo perfettamente normale (“Io sono uno normale, molto più normale di voi”). Così l’individuo anomalo prende le distanze dalla sua anomalia e si permette di additare l’altro come anormale, per la scelta che ha fatto; dunque, accettare la costante eccitazione sessuale di un uomo, ritenendola normale, perché in linea con la natura del maschio predominante, ovvero la sua parte istintiva, è più facile che accettare la scelta ponderata e complicata di una persona, di cambiare la sua identità biologica per il suo benessere psicologico, perché considerata innaturale e di conseguenza anormale. Ma se la stessa natura è imperfetta, come possiamo essere perfetti noi?

L’apertura e la chiusura delle due messinscene presentano delle caratteristiche simili. In Sexmachine Giuliana Musso, nella parte introduttiva, interpreta una prostituta: è in piedi, di fronte all’asta del microfono, vestita in modo neutro e pronuncia una battuta, tratta dal film di Aurelio Grimaldi, Le Buttane. Lo stesso si ripete nel finale: di nuovo l’attrice, aggiungendo al suo abbigliamento una parrucca rossa e un paio di scarpe con i tacchi, veste i panni della prostituta,

111 diventando però questa volta a tutti gli effetti lo stereotipo, che passeggia e si sporge a guardare con la mano sul fianco, in attesa della preda di turno. In Variabili Umane la prima scena si apre con una coreografia corale, che vede coinvolti quasi tutti i personaggi, accompagnati da una colonna sonora, ovvero un assolo di batteria, che annuncia l’inizio della battaglia, ed è la battaglia dei transgender contro la società: gli attori si trasformano in zombie, attraverso movenze ed espressioni mostruose, per poi riassumere le sembianze umane. Nel finale viene riproposta la medesima colonna sonora e di nuovo una coreografia corale, però diversa da quella dell’inizio: infatti, ogni personaggio lentamente si denuda dei propri abiti, restando solo con la biancheria intima, ed inizia a “strapparsi” il corpo di dosso, con gesti e urla liberatorie riconducibili più ad un’arte marziale che ad una danza, mentre nel video proiettato si distinguono alcune immagini correlate alla figura dello zombie. Sembra quindi che, in entrambi gli spettacoli, il leitmotiv sia costituito dalla presenza dello stereotipo che, oltre ad aprire e chiudere la messa in scena, viene attaccato e messo in discussione, nel tentativo di abbatterlo definitivamente, per restituire umanità a quelle categorie più facilmente etichettabili attraverso i pregiudizi, perché diverse ma soprattutto perché poco conosciute. Da notare il fatto che la trasformazione dell’essere umano in stereotipo inizia a svilupparsi nella parte introduttiva dei due spettacoli e a completarsi in quella conclusiva, quando la Musso diventa, a tutti gli effetti, la prostituta da marciapiede e quando gli attori della Serli, accompagnati dalla colonna musicale della prima scena, riprendono le sembianze mostruose. Queste “variabili umane”, attraverso l’atto di spogliarsi, non intendono solo gettare, simbolicamente, via il proprio involucro