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Il Meggiorin va a sedersi sul suo sgabello nella semioscurità e da lì intona la melodia di una canzone da lui composta, dedicata al personaggio che sta per entrare in scena: parla dell’incontro tra una donna (presumibilmente una prostituta) e un settantenne; intanto la luce comincia a posarsi sul musicista, per indicare l’inizio di una nuova scena, e rivela la sua figura rivolta al pubblico di tre quarti. Sul finire del brano il palco appare completamente illuminato e privo di una significativa scenografia, infatti sullo sfondo appare solo il fondale nero. Il chitarrista termina il suo canto, ma non interrompe di suonare il motivo del brano, che va ad introdurre l’entrata del primo personaggio. Dal lato sinistro della scena, dal quale poco prima era uscita, Giuliana Musso fa il suo ingresso: l’attrice si è calata nei panni di un uomo anziano, ovvero il pensionato Dino, infatti ha la schiena curva in avanti, le gambe un po’ divaricate e le braccia dietro la schiena con le mani giunte. A piccoli passi pesanti e leggermente trascinati Dino-Musso si dirige verso il musicista che, incurante dell’arrivo del nuovo ospite, continua a ripetere alcuni accordi. Il pensionato, del quale il pubblico scorge solo la figura di profilo, inizia a fissare il chitarrista per qualche istante, abbassando di tanto in tanto le palpebre come se non riuscisse a tenerle aperte, e poco dopo gli rivolge parola: “Ma fa sempre così questa musica non cambia mai un pochino?” e il chitarrista: “Questo è un esercizio.” Dino: “Ah, studi?! Alla tua età? No, bravo, fai bene, perché non si è mai finito di imparare”. Questo scambio di battute si svolge sulla scena, ma non è previsto nel testo; solo dopo questo piccolo dialogo inizia il monologo del primo personaggio. La Musso usa l’inflessione veneta e adotta una tonalità vocale più bassa e cupa con un leggero sentore di affaticamento nell’emissione del suono. Al contrario del testo drammaturgico, dove non è previsto l’intervento del musicista, nella messa in scena il Meggiorin risponde alle domande che il pensionato gli pone e non risponde solo verbalmente, ma anche annuendo con la testa o alzando le sopracciglia o attraverso uno sguardo complice oppure con un sorrisetto appena accennato. Da segnalare il fatto che la musica non si interrompe mai, ma, con discrezione, è sempre presente e accompagna le parole dell’attrice: il chitarrista si ferma solo quando Dino-Musso rivolge a lui o al pubblico una domanda. A questo punto l’attrice si volta verso la sala e con il braccio teso e l’indice alzato indica al Meggiorin il percorso che ha fatto per arrivare fin lì: il personaggio compie gesti paralleli ideografici in questo caso, dal momento che descrive con il suo dito il tragitto appena compiuto. A seconda di quanto detto (“Vengo giù da Viale Roma, attraverso la piazzetta, il giardino, poi faccio la riva, salto il ponte e torno a casa”) si può ipotizzare che la scena si svolga all’aperto, probabilmente in un parco. L’attrice dimostra le sue notevoli capacità attoriali nel cimentarsi in un ruolo maschile, dal momento che cura nel dettaglio la tonalità vocale, l’andatura, la mimica e la gestualità del

45 personaggio, e questo risulta ancora più evidente e sorprendente data l’assenza di abbigliamento e di acconciatura appropriati. La Musso utilizza un registro vocale, ovviamente, forzato per impersonare una voce maschile e, oltre tutto, anziana. La mimica usata dall’attrice, invece, rispecchia un tipico volto invecchiato, smunto e spento: la testa non è dritta, anzi è adagiata sulle spalle e compie lievi movimenti a destra e a sinistra; la figura del pensionato appare visibilmente rassegnata e, spesso, compie pause più lunghe del previsto, come se fossero solo i ricordi a parlare e non più lui. L’espressione del personaggio ricorda quella di Pantalone23, una delle maschere della Commedia dell’Arte, mentre i suoi gesti mimici sono convenzionali, dal momento che sorride quando dimostra allegria, come se il suo fosse il volto di un bambino che s’illumina quando è felice. Dino elenca le tre regole della salute (“[ … ] camminare tutti i giorni [ … ] a tavola con moderazione [ … ] e la compagnia delle donne”), con il mento alto e il braccio destro alzato, trattenendo la tensione muscolare nell’unione tra il polpastrello dell’indice e quello del pollice della mano destra, come ad affermare un concetto essenziale che non può essere messo in discussione. Dino parla all’intera platea che scruta passeggiando, prima verso la sinistra poi verso la destra del palco, per osservare meglio gli spettatori ai quali si rivolge, ma interloquisce pure con il chitarrista dal quale cerca di non allontanarsi mai troppo, adottando una distanza personale. Alla domanda del pensionato: “Sei sposato tu?” Igi risponde: “No” e questo dà modo a Dino di scagliarsi verbalmente contro il chitarrista con l’insulto: “Maledetto schifoso”, che viene pronunciato né con indignazione né con disprezzo, ma con severità e un mezzo sorriso sulle labbra. Il pensionato rivela un atteggiamento scherzoso prendendo di mira il musicista, che veste i panni del capro espiatorio sulla scena; infatti, Dino rappresenta lo stereotipo dell’anziano brontolone, saccente e permaloso, anche se va riconosciuta una certa autoironia, da cui deriva il suo lato comico. Nel riportare una frase della moglie, riguardo al fatto di non volere altri figli (“Dino basta”), il pubblico viene a conoscenza del nome del personaggio, che fino a quel momento era rimasto ignoto. Il chitarrista viene di nuovo chiamato in causa da una domanda trabocchetto del pensionato, alla quale il Meggiorin risponde affermativamente con gli occhi: “Tu la moglie la vuoi un po’ maiala, come Cicciolina? Sì o sì? Ha detto di sì! Visto?!”; i due ricordano un duo clownesco costituito dal Bianco (Dino) e dall’Augusto (Igi), dove il primo capace, preciso e severo con austerità rimprovera il secondo, che è esattamente l’opposto, percuotendogli la coscia destra non appena quest’ultimo risponde in modo scorretto alle sue domande.

La Musso va a posizionarsi sul proscenio per rivolgersi meglio alla platea, senza dimenticare la presenza del musicista dietro di lei, sempre seduto sul suo sgabello con la chitarra in spalla e,

23 Cfr. Paolo Puppa, La voce solitaria. Monologhi d’attore nella scena italiana tra vecchio e nuovo millennio, Roma,

46 parlando dei momenti d’intimità con la moglie dà un avvertimento: “Attenzione, sturatevi le orecchie. La moglie: se ha voglia lei, (…e lo capisci, spero), allora regolamentare [ … ] Se non ha voglia (…e lo capisci!), ti giri dall’altra parte, ‘obbedisco!’ e pensi alla squadra, al campionato, a quello che vuoi tu. Chiaro?!”; poi voltandosi verso Igi: “Ti sei incastonato queste perle di saggezza nella testa? Ma cosa vuoi incastonare che è tutto vuoto lì dentro...”. In questo caso il personaggio, indica il chitarrista, compiendo un gesto deittico; il musicista risponde al pensionato con alcuni ammiccamenti: strizza l’occhio sinistro, fa un sorrisetto complice, alza le sopracciglia e, grazie alla sua fisionomia e alle sue capacità mimiche, si rivela fin da subito un personaggio comico spesso vittima dei rimproveri di Dino, che non perde occasione di sbeffeggiarlo (lo si nota nell’ultima battuta). Intanto l’anziano, con la schiena ricurva e la testa ciondolante, sposta l’attenzione nuovamente sul pubblico e, riferendosi ai danni causati da una lunga astensione sessuale nel matrimonio, chiede conferma ad uno spettatore della prima fila che chiama “dottore”, per poi indirizzare ancora lo sguardo sul musicista, al quale domanda come comportarsi durante i lunghi periodi di mal di testa della moglie. Dopo un attimo di pausa è Dino a rispondere, spazientito e alzando la voce, di andare a cercare conforto tra le braccia delle prostitute. Il Meggiorin, colto prima impreparato, mostra successivamente un mezzo sorriso di approvazione alle parole del pensionato, che subito gli indica, con il braccio sollevato, verso la sinistra del palco, il palazzo dentro al quale un tempo si trovava un bordello, mentre adesso c’è l’ufficio del notaio Rigoni. Il volto dell’attrice è attraversato dalle differenti emozioni del personaggio: dall’entusiasmo trasmesso nel racconto delle esperienze di gioventù vissute nelle ex case chiuse, alla tristezza provocata dalla loro chiusura forzata, accompagnata pure da una melodia malinconica. La musica oltre ad avere funzione decorativa, segue il ritmo della parola del personaggio e segue pure le emozioni che il personaggio affronta e, di conseguenza, trasmette. Il personaggio passa da un’iniziale distanza sociale ad una personale con il chitarrista, poiché spesso posa una mano sul suo braccio o sulla sua coscia.

Dalle prostitute frequentate in gioventù Dino passa a parlare di quelle frequentate in vecchiaia, e si sofferma a raccontare le sue vicissitudini con Silvana; nel parlarne riacquista l’entusiasmo che prima aveva perduto, tanto che ironizza pure sui genitali del musicista: “Che animale hai tu?”, il musicista risponde imitando i versi di una belva feroce e di nuovo l’anziano: “La rana hai tu…”. L’allegria di Dino ha breve durata, infatti dopo aver chiesto al chitarrista che giorno sia rammenta d’improvviso che la figlia, “la zingol” (storpiatura della parola inglese “single”, nel significato di persona sola, non impegnata sentimentalmente), come la chiama lui, verrà a pranzo a casa sua e ciò basta a fargli cambiare umore. Il pensionato è scocciato e continua a ripetere: “È cattiva, cattiva, cattiva. Non la sopporto” e ricordando un litigio avvenuto qualche giorno prima proprio con la figlia

47 si innervosisce. Il Meggiorin smette di suonare: l’attrice corruga la fronte, i muscoli del collo le si irrigidiscono, gli occhi le si spalancano, le labbra si contraggono e scarica tutta la sua tensione nell’indice della mano destra, che deciso fende l’aria davanti a sé come fosse un’arma. Dino-Musso fa esplodere la sua rabbia alzando la voce e, dopo aver pronunciato l’ultima parola, la più offensiva (“Puttana”), a denti stretti, si zittisce e si allontana dando le spalle al pubblico, ma la musica riprende e riporta indietro l’anziano. D’un tratto questi cerca gli occhi del Meggiorin, scusandosi per aver perso il controllo, e con un “arrivederci” saluta sia la platea che il musicista, per poi uscire di scena, mentre la luce si affievolisce, per segnalare la fine del secondo quadro scenico. Dunque, la luce ha una funzione di ordine grammaticale, dal momento che qui il buio in dissolvenza indica la conclusione di una scena.