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Si sente chiamare il nome Christian e si riconosce la voce della Musso che stavolta interpreta Monica, giovane madre e moglie devota, intenta a rimproverare il figlio. Un faro si accende sulla sinistra del proscenio, come ad indicare la presenza in quel punto del bambino, la donna si alza e si dirige verso la luce, accompagnata dalla musica di sottofondo: la sua voce è acuta, squillante, per non dire fastidiosa, avverte il figlio di non allontanarsi troppo; dalle parole rivolte a Christian si può ipotizzare che la scena si svolga all’esterno, in un parco. Monica-Musso rivolge lo sguardo al pubblico, rimanendo in silenzio e cercando di riguadagnare il centro del proscenio a piccoli passi, mentre la luce si estende anche al resto del proscenio, con una forte intensità, e poi dice: “Io credo che nella vita se vuoi raggiungere degli scopi, se hai delle ambizioni, devi fare dei sacrifici”; intanto la sua mano sinistra si accinge a stringere, con forza, il braccio destro e viene inteso come un gesto sintomatico, ovvero che indica un atteggiamento di rigidità e di chiusura, mentre i suoi occhi si perdono nel vuoto. Il personaggio sembra parlare con sé stesso, con un volume di voce medio, anche quando afferma come per una donna siano importanti la sicurezza e la solidità del rapporto di coppia; il musicista resta in penombra, come se lui non fosse compreso in scena, infatti il rapporto tra la donna ed Igi è inesistente, come se il personaggio non lo vedesse e non si accorgesse della musica di sottofondo che accompagna le sue parole. A mento alto e sguardo inflessibile, il personaggio dimostra sicurezza e sorride per cortesia al pubblico; pur avendo il braccio destro bloccato dalla mano sinistra, riesce comunque a muovere l’avambraccio per enfatizzare il suo discorso verbale, compiendo così gesti paralleli. Monica chiama il figlio per la seconda volta, con la stessa voce acuta e fastidiosa di prima, e di nuovo si dirige verso il lato sinistro del proscenio, guardando in un punto lontano: il Meggiorin, che resta ad una distanza sociale dalla donna, risponde a quel suono stridulo, da lei emesso, con alcuni accordi discordanti. Questo personaggio, come Silvana, non dimostra una forte inflessione dialettale, anche se la sua pronuncia è chiaramente riconducibile al nord Italia. Monica-Musso riconquista il centro del palco e introduce il tema del sesso, a suo dire, sopravvalutato all’interno della coppia e non necessario alla donna; poi esclama:

53 “Rido, quando leggo sui settimanali le inchieste sulle donne che simulano l’orgasmo. Titolo ‘La vostra donna a letto finge. Vero o falso?’”. Momento di suspense, con tanto di motivetto, suonato dal chitarrista, per sottolineare la domanda; gli spettatori ridono divertiti dall’atmosfera di attesa creatasi in scena. Monica, mantenendo la sua serietà, risponde “vero”, trovando sconcertante come siano cambiati i tempi per il gentil sesso: dal commettere peccato, prima, nel provar piacere sessuale, al risultare come fallite, oggi, nel non provarlo. Il volto dell’attrice mostra l’espressione perplessa del personaggio che poi riprende a parlare lentamente, sempre ferma nella sua posizione, mentre fissa gli spettatori, con il braccio ancora trattenuto dalla inflessibile stretta della mano sinistra.

Per la terza volta Monica richiama il figlio, dirigendosi ancora verso sinistra, e, ritornando in posizione centrale, si sofferma sul tema della prostituzione affermando, con un principio di pianto: “Il corpo non è una merce. Il corpo è un’altra cosa. Il corpo è sacro”. Ma Monica non piange, non si lascia andare, anzi, addirittura si altera nel dire: “Deve intervenire lo Stato. Bisogna portarle via dalle strade, metterle in un istituto, rieducarle, insegnare loro un lavoro e se alla fine proprio non vogliono lavorare, allora, e solo in quel caso, le rimandiamo al loro paese”. La giovane madre, dopo un silenzio, si calma, abbassa il volume della voce e parla delle prostitute di lusso che, senza essere costrette da nessuno, si prostituiscono ben volentieri e, indignandosi nuovamente, dice: “In galera la prostituta e, se necessario, anche il cliente!! Sì, mi dispiace, anche il cliente. Perché non è normale tutta questa carne da macello sulle nostre strade! Ma pensate ai nostri bambini, a quello che vedono, tutti i giorni!! Mi dispiace, ma deve intervenire lo Stato!”. Monica ricorda anche un fatto di cronaca, risalente all’anno duemila, avvenuto nel trevigiano: il suicidio di un ragazzo che era stato appena denunciato dalle forze dell’ordine, per essere stato trovato in compagnia di una prostituta; questo fatto fa alterare di nuovo il personaggio che alza la voce, irrigidisce il collo e spalanca gli occhi: “Mi dispiace, ma lo vedi che se intervieni le cose cominciano a venire a galla? Perché se ti ammazzi per una cosa del genere significa che non sei contento di averla fatta, che non andava bene, che non era una cosa normale!!”

Il nome del bambino viene gridato per la quinta volta dalla madre (il cui nome non viene mai rivelato al pubblico): di nuovo Monica si sposta verso sinistra sempre più irritata nei confronti del figlio. La donna, riavvicinandosi al centro del proscenio, si tranquillizza solo per poco, poiché subito dopo il suo nervosismo cresce ancora più di prima: urla e cerca di dimenare il braccio destro, ancora bloccato dall’altra mano che non lascia la presa. Se le prostitute vogliono continuare a praticare il loro mestiere per Monica non ci sono problemi, però esclama: “[…] lontano da casa mia, dai miei figli, dalla mia comunità. E che paghino le tasse allora come tutti!!”. La donna interrompe il suo discorso per un attimo, giusto il tempo di rimproverare il figlioletto ancora una volta e per

54 andargli nuovamente incontro, pronunciando così il suo nome per la sesta volta, ma subito riprende: “E anche certi uomini, mi dispiace, dovrebbero cominciare a vergognarsi. Quanti se ne sente che a cinquanta, sessant’anni lasciano la moglie e i figli per andarsene con una ventenne, magari straniera”. Monica cambia argomento ed espressione non appena nomina suo marito, da lei descritto come persona seria, responsabile e molto legato alla famiglia: dal volto disgustato di prima, assume un’espressione compiaciuta e sicura. Il nome del bambino viene gridato per due volte di seguito, con un volume molto alto, poi la donna si volta di scatto e si allontana sul fondo più oscurato della scena, concludendo così il suo monologo. L’attrice, dismessi i panni della giovane madre, intraprende la sua trasformazione nel nuovo personaggio a vista: seduta sulla sedia a gambe aperte e rivolta verso lo schienale, dando così le spalle al pubblico. La luce sul palco si abbassa leggermente, per suggerire la fine del quarto quadro scenico.