• Non ci sono risultati.

Tra protezione e conversione Il consolato britannico di Gerusalemme

2. Gli ebrei nel cuore dell’Islam

Con dhimma si indica un sistema di protezione posto in essere dai non-musulmani residenti nelle aree governate dal diritto islamico.137

Le radici storiche dello stesso

131 Ibid.

132 “The soil and climate of Palestine are singularly adapted to the growth of produce required for the

exigencies of Great Britain; the finest cotton may be obtained in alost unlimited abundance; silk and madder are the staple of the country, and olive oil is now as it ever was, the very fatness of the land”. Ivi, p. p. 188.

133 Scrive Ashley: ”We now hail for the dawn of a better day, a day of regeneration and deliverance, which

raising them alike from neology and rabbinism, shall set them at large in the glorious liberty of the Gospel”. Ivi, p. 182.

134 Ivi, p. 177.

135 “Dr. Wolff [cfr. cap. III] (Journal 1833) heard these sentiments from their lips in the remotest countries

of Asia.” Ivi, p. 179.

136 Ibid.

137 Tale concetto trae origine dal Corano: “Combatti contro coloro a cui è stata data la Scrittura ma non

risalgono al 636, quando il califfo Omar Ibn al-Khattāb (586c.–644) prese il controllo di Gerusalemme dalle mani del patriarca bizantino Sofronio (560-638), rendendo pubblici una serie di privilegi e restrizioni in seguito passati alla storia con il nome di Al-‘Uhda Al-‘Umariyya (Il Patto di Omar). Se quest’ultimo sia un documento storicamente autentico non è accertato. Gli studiosi che lo considerano tale concordano sul fatto che l’approccio del califfo Omar abbia ispirato il sistema del dhimma.

Gli ebrei residenti nell’Impero ottomano, in quanto Ahl al-dhimma (Gente della dhimma), erano organizzati in millet.138 Rappresentavano quindi una tra le diverse comunità religiose che, sia pur libera di amministrare autonomamente le proprie questioni interne, era vincolata al pagamento della jizya (una tassa richiesta solo agli uomini abili e di condizione libera)139

e, tramite un ḥakham bāshī (rabbino capo),140

al rispetto delle regole imposte dalla Porta. Sotto l’autorità di quest’ultima, ovvero nel cuore dell’Islam sunnita, gli ebrei furono tendenzialmente trattati in modo tollerabile, in quanto percepiti come Ahl al-Khitāb (Gente del Libro), i seguaci originali del monoteismo abramitico. A differenza dei cristiani, gli ebrei erano fedeli allo stato islamico nel quale risiedevano. Inoltre erano umili e relativamente soddisfatti della loro condizione apolitica.141

In altre parole non rappresentavano una minaccia politica alla sicurezza dei paesi che componevano la dār al-Islām (“casa dell’Islam”): “I believe – scrisse nel 1857 il console britannico a Gerusalemme James Finn (1806-1872) – there are few countries in the world where in spite of appearances to the contrary, there is so much of practical religious tolerance as in

sottomissione”. Sura At-Tawbah, 29. Fin dalle prime fasi della diffusione dell’Islam l’attitudine musulmana nei riguardi di Ahl al-Kitāb (Gente del Libro), vale a dire ebrei, cristiani e zoroastriani, non si rivelò all’insegna dell’equità, ma offrì loro un livello di dignità e tolleranza non comune per l’epoca. A. FATTAL, Le status légal des non-musulman en pays d’Islam, Imprimerie Catholique, Beirut 1958.

138 Grazie al sistema del millet ogni comunità era libera di amministrare i propri affari interni. Nel contesto

ottomano esso includeva i credenti appartenenti alla stessa confessione religiosa, la quale prendeva la forma di una umma (comunità) unita nella fede, mantenendo un’ampia diversità nelle caratteristiche etno- linguistiche. Quello dei musulmani era il millet-i hākime (“millet dominante”), in contrapposizione al millet-i muhakkime (“millet dominato”, ovvero gli altri gruppi religiosi riconosciuti).

139 La tassa era imposta ai dhimmi al fine di vedersi garantita la propria sicurezza. Ne erano esentate le

donne, i bambini, gli infermi e i vecchi. Thomas Walker Arnold chiarì che la jizya veniva pagata da soggetti “whose religion precluded them from serving in the army, in return for the protection secured for them by the arms of the Muslims”. T.W. ARNOLD, The Preaching of Islam, Ashraf, Lahore 1961, p. 61.

140 Ogni provincia ottomana aveva il proprio ḥakham bashi. Il rabbino capo della comunita sefardita di

Palestina aveva il titolo di Rishon le-Zion (Primo a Sion). In quanto tale era riconosciuto come rappresentante della comunità ebraica di Terra Santa all’interno del sistema dei millet.

Palestine”.142

Non mancarono alcune testimonianze in senso opposto. Nel 1839 Young scrisse ad esempio che un ebreo a Gerusalemme non era considerato “much above a dog”.143 Anche Young dovette tuttavia ammettere che nel caso di necessità un ebreo

avrebbe trovato riparo “sooner in a Mussulman’s house than in that of a Christian”.144 La “tendenza alla tolleranza” alla quale fece riferimento Finn si è sovente declinata nell’Islam sciita – oggi rappresentante il 10 percento dei musulmani – in feroci persecuzioni. L’imam fatimide egiziano al-Hakim bi-amr Allah all’inizio dell’XI secolo, la dinastia Almohada in Nord Africa e in Spagna nel XII secolo, quella dei Safavidi nell’Iran compreso tra il XVI e il XIX secolo, il ramo zaydista al potere nello Yemen nel XVII secolo e il Mahdi che regnò in Sudan nel XIX secolo, si macchiarono di truci persecuzioni nei riguardi degli ebrei. Il mondo sciita, soggetto a una combinazione tra teologia e fanatismo politico, considerava gli ebrei come esseri impuri.

Tali estremismi furono decisamente più contenuti e sporadici in Palestina così come nel resto dell’Islam sunnita. Ciò non implica che agli ebrei fossero riconosciuti i medesimi diritti del millet-i hākime (“millet dominante”). Per secoli essi furono considerati cittadini di seconda o terza classe.145

Già nel 772 d.C., quasi un secolo e mezzo dopo Al-‘Uhda Al- ‘Umariyya, il califfo abbaside al-Manṣūr (712-775) ordinò nel corso di una sua visita a Gerusalemme che ad ebrei e cristiani venisse stampato sulle mani un segno distintivo. Una pratica simile venne adottata sotto i califfati di Hārūn al-Rashīd (763c.-809) e Al- Mutawakkil (821–861), quando i seguaci delle altre due religioni monoteiste vennero costretti a indossare una toppa gialla sui loro indumenti, alimentando in questo modo il fenomeno del ghiyār: discriminazioni dalle quali avrebbero in seguito attinto Papa Innocenzo II (?-1143) e, un secolo fa, i nazisti.

142 ISA RG 160/2881-P. Finn, Gerusalemme, 1 gen. 1857. 143 Cit. in H

YAMSON, The British cit. p. 6.

144 Ibid.

145 Se gli ebrei e gli altri millet fossero trattati usando gli stessi parametri è oggetto di controversie. La

Sharī‘ah non faceva distinzioni tra ebrei e cristiani nel loro status di dhimmi. Il seguente passo, scritto nel 1865 da Cevdet Pasha (alto ufficiale ottomano) per commentare le riforme del 1856, merita attenzione: “Whereas in former times, in the Ottoman State, the communities were ranked, with the Muslims first, then the Greeks, then the Armenians, then the Jews, now all of them were put on the same level”. Cit. in B. LEWIS in J.L. BACQUÉ-GRAMMONT, P. DUMONT (eds.), Économie et sociétés dans l’Empire ottoman, CNRS, Parigi 1983, p. 53. Talbi ha posto l’accento sui pregiudizi in senso opposto: “Gli ebrei distinguevano tra loro stessi e tutti gli altri popoli che non avevano ricevuto il Libro rivelato, chiamandoli, non senza disprezzo, goim (pl. di goy), L’usura per esempio, che tra loro era vietata, veniva invece permessa con gli stranieri”. M. TALBI, Universalità del Corano, Jaca Book, Milano 2007, pp. 13-14.

Non di rado le restrizioni imposte dai califfi citati, nonchè quelle prescritte da Omar ibn ‘Abd al-‘Azīz (682c.–720)146

e da altre figure posteriori, sono state inserite in una prospettiva legata all’antisemitismo. Si tratta tuttavia di una tesi fuorviante. L’antisemitismo fu importato nel mondo islamico solo molti secoli dopo e per mano dei cristiani.147

Lo stesso blood libel, l’accusa rivolta agli ebrei di praticare omicidi allo scopo di utilizzare il sangue a scopo rituale, si suppone che abbia avuto origine durante la Prima Crociata (1096), dai rapporti scritti all’epoca dai cristiani per descrivere i comportamenti tenuti dagli ebrei. In questo senso non è un caso che quando nel XII sec. il filosofo ebreo Maimonide (1138-1204) fu costretto ad abbandonare la Spagna non abbia cercato riparo in Europa, bensì alla corte di Ṣalāḥ al-Dīn (1138-1193) al Cairo.

Le discriminazioni subite dagli ebrei in Oriente – che nelle limitazioni imposte, ma anche nelle parziali garanzie fornite alle minoranze, richiamavano alla mente alcuni aspetti del Codice teodosiano (438) e del Codice giustinianeo (529)148

– non erano dunque ascrivibili all’antisemitismo. Andavano invece inquadrate nella dhimmitudine, un sistema di marcato assoggettamento, in alcuni casi sfociato in atti di violenza149

e in “great abuses”,150

che tuttavia non aveva nulla a che vedere con le persecuzioni che infestarono il vecchio continente. Le suddette minoranze non potevano costruire nuovi luoghi di culto e restaurare quelli distrutti. Era proibito loro accedere alle cariche pubbliche, portare armi, andare a cavallo e professare la loro religione in pubblico. Dovevano altresì differenziarsi per la loro lingua e i loro vestiti. Ciononostante, come ha sottolineato Brenner:

146 Omar ibn Abd ‘al-‘Azīz, al potere in Siria dal 717 al 720, fu il primo califfo ad aver emanato

disposizioni discriminatorie per distinguere i non-musulmani e per proibire la costruzione di sinagoghe e chiese. F. SKOLNIK, M. BERENBAUM (eds.), in “Encyclopaedia Judaica”, v. XV, Macmillan, 2007, p. 416.

147 Sull’erronea interpretazione del massacro di Khaybar (629) come primordiale esempio di “antisemitismo

islamico” cfr. W.M. WATT, Muhammad at Medina, Oxford UP, Oxford 1956, pp. 34-37.

148 Cfr. J. T

OLAN, “The legal status of religious minorities in the medieval Mediterranean world: a

comparative study”, in M. BORGOLTE, B. SCHNEIDMÜLLER (eds.), Hybride Kulturen im mittelalterlichen Europa, Verlag, Berlino 2010, pp. 141-143.

149 Un massacro si verificò a Granada nel 1066 (il primo ad avvenire durante la dominazione islamica della

penisola, dove in precedenza gli ebrei avevano goduto di una edad de oro, che tuttavia non significava uguaglianza di trattamento). A Fez si registrarono reiterate persecuzioni (1033, 1276, 1465), così come anche a Baghdad (1828). Dopo il blood libel di Damasco (1840) gli episodi di intolleranza nei riguardi degli ebrei si allargarono ad altre città del Maghreb e del Mashreq: “Massacres such as in Granada in 1066 are of rare occurrence in Islamic history”. B. LEWIS, Jews of Islam, Princeton Press, Chichester 1984, p. 45.

150 ISA RG 160/2881-P. Johann Schmidt (vice-console britannico ad Haifa) al ministro degli Esteri

[Benchè] agli ebrei fosse vietato muoversi a cavallo, l’esilarca attraversava Baghdad a cavallo in una fastosa cerimonia pubblica per il suo insediamento. I documenti giunti fino a noi del X, XI e XII secolo fanno supporre che gli ebrei si vestissero proprio come i vicini musulmani. Nuove sinagoghe furono costruite quasi ovunque vivessero gli ebrei, e anche molte chiese non avrebbero dovuto essere ricostruite secondo il dettato della legge. La legislazione islamica conobbe però interpretazioni che lo permisero.151

Tre aspetti rilevanti aiutano a comprendere la ragione per la quale le condizioni degli ebrei nel vecchio continente fossero molto più vessatorie e avessero un carattere differente rispetto a quelle dei correligionari presenti in Oriente. In primis ciò è da collegare all’assenza nel mondo islamico del concetto di deicidio ebraico: una tesi rigettata nel Corano alla stregua di un’assurda e illusoria blasfemia.152 In secondo luogo al fatto che il Corano non veniva presentato come il compimento del giudaismo: una certezza che stroncava a monte ogni possibile scontro interpretativo tra le due religioni. Infine, il profeta Muḥammad (570c.-632) e i suoi primi seguaci non erano ebrei, non si presentavano come il ‘vero Israele’ e non temevano il ‘vecchio Israele’.

È in sostanza solo nel contesto della dhimmitudine – caratterizzata da un senso di superiorità che tendenzialmente, come conferma il caso della Palestina,153

non imponeva alcuna conversione alla religione dei dominatori (“lā ikrāh fī dīn”)154

– che è a esempio possibile spiegare per quale ragione proprio Hārūn al-Rashīd, lo stesso califfo che costrinse la Ahl al-Kitāb a indossare segni discriminatori di riconoscimento, abbia

151 M. B

RENNER, Breve Storia degli Ebrei, Donzelli, Roma 2009, p. 64. Lewis ha chiarito che la “tolerance is by modern standards an essentially intolerant idea”. B. LEWIS, The New Anti-Semitism, in “The American Scholar”, v. LXXV, n. 1, inverno 2006, pp. 25-36. Gli ebrei vissuti sotto il dominio islamico “non sono mai stati immuni da discriminazioni, ma che solo raramente sono stati vittime di persecuzioni [...] Gli ebrei, come i cristiani, erano sia in teoria sia in pratica dei cittadini di secondo rango. Ma tale posizione non era in alcun modo così scomoda come il significato moderno di questa espressione potrebbe far credere”. B. LEWIS, Semiti e Antisemiti, Rizzoli, Milano 2003, pp. 132-134.

152 Corano 4, 157-158: “They killed him not, nor crucified him, but so it was made to appear to them [...]

for of a surety they killed him not”. L’accusa di deicidio è stato rigettata dalla Chiesa Cattolica il 27 ottobre 1965 nel documento Nostra aetate.

153 Non a caso fino all’inizio dell’XI secolo la maggioranza della popolazione in Palestina (ma anche in

Egitto, Siria e in altre aree) rimase in maggioranza cristiana; ciò conferma che la religione islamica non fu imposta alle popolazioni locali. La lingua araba penetrò sul posto molto prima della religione islamica.

154 “Lā ikrāh fī dīn” (“non vi sia costrizione nella fede”) è un passo contenuto nel Corano (2: 256). Ciò non

significa che in quattordici secoli di storia non si siano verificati episodi in senso opposto; ancora una volta questi ultimi furono concentrati nell’Islam sciita (si veda il cosidetto Allahdad incident nell’Iran del 1829).

inserito gli stessi in posizioni di rilievo all’interno della sua ristretta cerchia: una prassi peraltro destinata a ripetersi più volte nel cuore dell’Islam dei secoli a venire.