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Tra protezione e conversione Il consolato britannico di Gerusalemme

1. Lord Ashley e il consolato

Il 1838 rappresenta una data spartiacque nella storia della Palestina moderna. Foucault (1926-1984) avrebbe parlato di una fase di rottura, “il punto di inflessione di una curva”.99

In quell’anno, lo stesso in cui venne incoronata la regina Vittoria e in cui Lord Linsday affrontò il tema del ritorno degli ebrei nell’influente libro Letters on Egypt, Edom, and the Holy Land,100

la Gran Bretagna fu il primo paese a ricevere dalla Sublime Porta il permesso di aprire un consolato a Gerusalemme.101

Venne ufficialmente inaugurato nel marzo del 1839102

e operò continuativamente per oltre settant’anni, fino al novembre del 1914, quando sarebbe stato chiuso allo scoppio della guerra contro la

98 Z. B

AUMAN, Modernity and the Holocaust, Polity Press, Cambridge 1989, p. 72.

99 M. F

OUCAULT, L’archeologia del sapere, Bur, Milano 1997, p. 13.

100 Lindsay riteneva che la Palestina non attendesse altro che il ritorno degli ebrei: “Many [...] entertain the

idea that an actual curse rests on the soil of Palestine, and many be startled therefore at the testimony I have borne to its actual richness. No other curse, I coceive, rests upon it, than that induced by the removal of the ancient inhabitants, and the will of the Almighty that the modern occupants should never be so numerous as to invalidate the prophecy that the land should enjoy her Sabbaths so long the rightful heirs remain in the land of their enemies [...] the land still enjoys her Sabbaths, and only waits the return of her banished children”. A.C.L. CRAWFORD, Letters on Egypt, Edom, and the Holy Land , Colburn, Londra 1847, p. 251.

101 Si ha tuttavia notizia che già nel 1583 fu nominato un console inglese, Richard Forster, “in the parts of

Aleppo, Damasco, Aman, Tripolis, Jerusalem, ect.”. In “Foreign Service Journal”, v. IV, Washington 1927, p. 110. Nel 1621 anche la Francia aprì per breve tempo un consolato a difesa dei monaci.

102 Scrive Johnson: “Between 1827 and 1839, largely through British efforts, the population of Jerusalem

rose from 550 to 5,500 and in all Palestine it topped 10,000 - the real beginning of the Jewish return to the Promised Land”. P. JOHNSON, A History of the Jews, Phoenix, Londra 2004, p. 321

Turchia.103 Prima dell’apertura dello stesso, i rappresentanti consolari delle potenze del vecchio continente erano stati di solito semplici agenti locali (confinati nelle città costiere di Haifa, Acri, Ramla e Giaffa) con funzioni commerciali più che politiche.

Il primo diplomatico chiamato a ricoprire la carica di vice-console britannico a Gerualemme fu William T. Young.104

Quest’ultimo, elevato allo status di console nel 1841,105

fu sin da subito esortato da Londra a fornire informazioni riguardanti il commercio, l’agricoltura, il traffico marittimo. Tuttavia, già dal 31 gennaio 1839, venne sollecitato anche “to afford protection to the Jews generally”106 e, successivamente, di estenderla ai cittadini europei sprovvisti di tutele consolari. Le istruzioni ricevute da Young confermarono l’intreccio inestricabile tra i propositi politici e l’esigenza di garantire gli ebrei.107

Esse si traducevano tra l’altro nell’impegno affinchè tutte le dispute riguardanti gli ebrei non-britannici venissero presentate alle autorità ottomane attraverso l’ambasciata di Sua Maestà a Costantinopoli. Non si trattò dunque di una protezione diretta, come accadeva invece con gli ebrei aventi cittadinanza britannica, i cui reclami venivano depositati direttamente al Pasha di Gerusalemme sotto la tutela e la rappresentanza del console di Sua Maestà. Il passo era in ogni caso denso di significati e destinato a creare malumori nel cuore dell’Impero turco. Nel corso degli anni tali pratiche furono infatti percepite dalle autorità ottomane come indebite intromissioni nei propri affari interni, attuate da “alcuni consoli privi di coscienza i quali spingono queste persone

103 A.M. HYAMSON, The British consulate in Jerusalem in relation to the Jews of Palestine, 1838-1914, v. I,

Goldston, New York 1939, p. ix.

104 Prima della nomina di Young erano presenti dei rappresentanti consolari britannici in alcuni dei più

importanti porti del Mediterraneo Orientale. Nel 1810 a San Giovanni d’Acri tale incarico fu assunto da Pasquale Malagamba, seguito nel 1820 da Peter Abbot e nel 1837 da Moses Abraham Finzi. TNA FO 226/68.

105 A Young, segnalato per la carica dal neoconsole a Beirut Niven Moore (1795-1889), venne tra l’altro

chiesto di avere un ruolo che andasse oltre le sue competenze: “It is probable [...] that many of the Consuls General in Alexandria will request you to afford protection to the numerous subjects of their Country of the Hebrew persuasion resident there”. Campbell a Young, Il Cairo, 21 nov. 1838. TNA FO 78/368.

106 Palmerston chiese a Young “to afford protection to the Jews generally; and you will take an early

opportunity of reporting to His Lordship upon the present state of the Jews population of Palestine”. TNA FO 78/368.

107 Secondo Vereté il consolato andrebbe inquadrato nel contesto “of Palmerston’s policy to set up a

network of Consulates in the Sultan’s dominions for the purpose of introducing new, or defending existing British interests, and resisting those of other Powers”. M. VERETÉ, “Why was a British Consulate established in Jerusalem?”, in “Zion”, v. XXVI, Gerusalemme 1961, pp. 215-237.

a farsi mettere sotto protezione”.108 Nello specifico le autorità ottomane lamentarono a più riprese che non fosse possibile tollerare che un’intera popolazione passasse dalla giurisdizione degli agenti consolari russi a quella dei rappresentanti britannici e che tale pratica fosse da un punto di vista giuridico “défectueuse”.109

A Young – definito da Salo Wittmayer Baron (1895–1989) e Alexander Marx (1878– 1953) un “ardent exponent of the idea of Jewish restoration for both missionary and political purposes”110 – venne anche chiesto di sviluppare relazioni amichevoli con gli

arabi locali, stimolando, per quanto possibile, un atteggiamento positivo di questi ultimi nei riguardi del governo di Sua Maestà. Un obiettivo che, come conferma l’assenza nei suoi dispacci di dettagli riguardanti le opinioni della maggioranza musulmana e gli aggettivi utilizzati da Young per descrivere i contadini locali (“Fellahs, whose insolence and temerity know no bounds”),111

fallì in modo evidente: “I have on every occasion – lamentò Young a Palmerston – been met by the local authorities, in the most unconciliating and often the most vexatious spirit”.112

La più influente personalità pubblica, non associata a partiti politici, a sostenere il progetto di inviare un vice-console britannico a Gerusamme fu Anthony Ashley-Cooper, settimo conte di Shaftesbury, una figura coinvolta in così tante iniziative a scopo umanitario che le cronache del tempo lo descrivono come il fulcro di ogni progetto che avesse come fine l’avanzamento della specie umana.

Sposato con Emily Cowper (1810-1872), Lord Ashley divenne genero di Lord Palmerston (1784-1865) quando quest’ultimo sposò (1830) in seconde nozze Emily Mary Cowper (1787-1869). L’influenza che ebbe sul ministro degli Esteri nonchè futuro Primo Ministro inglese fu quindi tanto diretta quanto essenziale; al punto che a Londra correva la voce che egli non avesse mai nominato “a bishop except on Ashley’s recommendation”.113

Membro del parlamento inglese dal 1826 e per molti anni presidente (1848-1885) del

108 ISA RG83/17. Rapporto ottomano non firmato focalizzato sulle attività dei principali consoli di stanza a

Constantinopoli, 4 dic. 1872.

109 BOA HMŞ.IŞO 157/22. Rapporto non firmato prodotto dalle autorità ottomane in data 11 lug. 1882. 110 S. W

ITTMAYER BARON, A. MARX, G.A. KOHUT, Jewish studies in memory of George A. Kohut, Kohut Foundation, New York 1935, p. 77.

111 ISA RG 160/2881-P. Young a Rose. Gerusalemme, 7 mag. 1845. 112 TNA FO 78/413. Young a Palmerston, 30 giu. 1840.

113 B. T

consiglio della London Society for Promoting Christianity among the Jew e della British and Foreign Bible Society,114

Lord Ashely era un aristocratico puritano. Aristocratico nella sua convinzione che uomini di lignaggio e rango come il suo fossero meglio qualificati per giudicare cosa fosse o meno opportuno per quanti appartenevano a classi inferiori. Puritano nella sua certezza che la vita moderna dovesse essere guidata esclusivamente da una speciale interpretazione dei precetti biblici.115

Incarnazione di quella versione evangelica del protestantesimo116

che tanto slancio avrebbe registrato in quegli anni in Inghilterra e negli Stati Uniti, Ashley aveva una marcata tendenza ad accettare i precetti biblici in maniera testuale: “Nothing – sosteneva – but Scripture can interprete Scripture. I should reject it, if announced to me by man. I accept it, believe it, bless it, as announced in Holy Writ. The text that says ‘God is Love’ – the pure, perfect spirit of Love itself – explains it all: and, like the Israelites, I bow the head and worship”.117

Come molti cristiani del tempo, anch’egli era esaltato dall’idea di convertire gli ebrei al protestantesimo anglicano, in quanto persuaso che da ciò dipendesse la seconda venuta del Messia.118

Era così convinto dell’imminenza del secondo avvento da confidare al suo biografo Edwin Hodder (1837-1904) di percepire “tutto ciò che accade nel mondo come subordinato a questo grande evento”.119

Fu proprio lo studio delle profezie bibliche, con le quali era entrato in contatto sin dall’infanzia grazie al ruolo svolto dalla sua bambinaia Maria Mills,120 a spingerlo ad associare il ritorno degli ebrei con il secondo avvento del

Messia.

114 L’obiettivo principale della British and Foreign Bible Society, fondata nel 1804, era quello di rendere

accessibile la Bibbia cristiana al maggior numero possibile di credenti. Nel primo articolo del regolamento della società è scritto che “the sole object shall be to encourage a wider circulaton of the Holy Scriptures, without note or comment”. P. HOARE, Memoirs of Granville Sharp, Colburn, Londra 1820, p. 431.

115 Introduzione di Basil Williams al libro J.L. H

AMMOND, B. HAMMOND, Lord Shaftesbury, New World

Book Manufacturing, Hallandale 1923, p. X.

116 Secondo Bebbington, uno dei massimi esperti del movimento evangelico, “(t)he Evangelical version of

Protestantism was created by the Enlightenment”. D.W. BEBBINGTON, Evangelicalism in Modern Britain, Routledge, Londra 1989, p. 74.

117 Cit. in E. H

ODDER, The life and work of the Seventh Earl of Shaftesbury, Cassell, Londra 1888, p. 525.

118 Un necrologio apparso appena dopo la morte di Ashley notò che egli fosse il più onesto rappresentante

del puritanesimo. J. KIRTON, True nobility; or, The golden deeds of an earnest life. A Record of the Career and Labour of Anthony Ashley Cooper, Seventh Earl of Shaftesbury, Ward, Londra 1886, p. 370.

119 H

ODDER, The life cit., p. 10.

120 La centralità del ruolo di Maria è ormai acclarata: “Maria Mills [...] gave young Ashley affection, and,

what was even better still, a knowledge of, and a relish for, the truths of the Gospel as she knew them”. J.J. ELLIS, Lord Shaftesbury, Whittaker, New York 1892, p.4.

Tale auspicato ritorno in Terra Santa era, secondo la testimonianza di Hodder, al centro delle sue preghiere quotidiane. La scelta di inviare un rappresentante ufficiale di Sua Maestà a Gerusalemme, una decisione rivendicata anche nei suoi diari privati, andava inquadrata proprio in questo contesto, in quanto essa, ai suoi occhi, avrebbe avuto come risvolto diretto il ritorno degli ebrei a Sion e la loro successiva conversione. Di seguito le parole che lo stesso Ashley scrisse per commentare la nomina di Young:

Took leave this morning of Young, who has just been appointed Her Majesty’s Vice-Consul at Jerusalem! [...] what a wonderful event it is! The ancient city of the people of God is about to resume a place among the nations, and England is the first of Gentile Kingdoms that ceases to ‘tread her down’. [...] God put it into my heart to conceive the plan for His honour, gave me influence to prevail with Palmerstone and provided a man for the situation who ‘can remember Jerusalem in his mirth’.121

L’idea di inviare un vice-console britannico a Gerusamme era stata abbozzata per ragioni politiche e commerciali già nel 1834 dal console-generale britannico a Damasco John W.P. Farren (?-1864). Uno dei primi documenti rintracciabili negli archivi di Londra a sostegno del progetto è datato 11 novembre 1837. Si tratta di un accenno contenuto in un dispaccio inviato da Palmerston all’ambasciatore britannico a Costantinopoli John Ponsonby (1770-1855).122 Palmerston proseguì la missiva ragguagliando l’ambasciatore sui “frequent complaints [that] have been made to H.M.G. by English travellers who have been at Jerusalem”. I viaggiatori lamentavano in particolare il fatto che “in a place which they felt so much interest in visiting there was no British consular”.123

Nel richiedere alla Porta l’ottenimento del firman (decreto) necessario per l’apertura del consolato, a Ponsonby venne richiesto di rimarcare proprio tale aspetto. Benchè la Palestina fosse al tempo sono la dominazione di Muhammad Alì, Londra aveva infatti bisogno del placet del sultano Mahmud II, l’unico rivestito dell’autorità necessaria per avallare un simile passo.

L’ottenimento del firman – un risultato storico raggiunto anche grazie alle pressioni

121 29 set. 1838, Ashley commenta la nomina di Young nel suo Diario. H

ODDER, The life cit., p. 233.

indirette esercitate dagli influenti leader delle società missionarie – venne effettivamente registrato nel luglio del 1838 e, come ipotizzato da Abdul-Latif Tibawi, fu proprio per via del fatto che il sultano non avesse allora un effettivo controllo sulla Palestina “that his ministers were prepared to accept a British consul in Jerusalem”.124 Nell’arco dei

sucessivi due decenni, seguendo l’esempio di Londra, tutte le principali potenze occidentali, Stati Uniti compresi (1844),125

fissarono le loro rispettive sedi consolari nella Città Santa: corpi estranei destinati a diventare veri e propri stati nello stato.

Ashley, il quale pur non avendo mai messo piede nella regione era cosciente della presenza in loco di una maggioranza araba, si aspettava che con la nomina di Young gli ebrei sarebbero tornati in Terra Santa “in yet greater numbers, and become once more the husbandmen of Judea and Galilee”.126

Una previsione peraltro favorita e condivisa anche da Moses Montefiore (1784-1885), il celebre filantropo italiano naturalizzato britannico eletto nel 1837 sceriffo di Londra e impegnato l’anno successivo nel secondo dei suoi sette viaggi in Terra Santa. Montefiore era, al contrario di Ashley, un sionista ante- litteram. Il primo desiderava che essi lottassero per preservare la propria identità; il secondo voleva che la perdessero divenendo cristiani: “I hope – chiarì Montefiore – to induce the return of thousands of our brerthren to the Land of Israel. I am sure they would be happy in the enjoyment of the observance of our holy religion, in a manner which is impossible in Europe”.127

Una figura ufficiale che avesse la funzione di mediatore tra la Porta e gli ebrei era considerata da molti una garanzia necessaria per il miglioramento delle loro condizioni. Queste ultime, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto aspettare in virtù delle novità introdotte dalla dominazione egiziana, non erano infatti migliorate più di tanto. Di tali 123 Ibid.

124 T

IBAWI, British interests in Palestine cit., p. 33.

125 Nel 1844 W.M. Thackeray (1811–1863) incontrò Warder Cresson (1798-1860), neoconsole americano a

Gerusalemme. Cresson, notò Thackeray, “expects to see the Millennium in three years, and has accepted the office of consul at Jerusalem, so as to be on the spot in readiness”. W.M. THACKERAY, Notes of a journey from Cornhill to Grand Cairo, Wiley, New York 1846, p. 109. Thackeray aggiunse che Cresson non aveva “other knowledge of Syria but what he derives from the prophecy; and this (as he takes the office gratis) has been considered a sufficient reason for his appointment by the United States Government”. Ivi, p. 131. La nomina di Cresson, in seguito convertitosi all’ebraismo, fu quasi subito revocata dal ministro degli Esteri americano John C. Calhoun (1782–1850) a causa del suo estremismo; nel 1857 si registrò l’arrivo del primo ‘console ufficiale’ americano a Gerusalemme, John W. Gorham.

cambiamenti, al di là dei proclami ufficiali, avevano beneficiato soprattutto i cristiani, come ben testimoniò il diplomatico inglese John Bowring (1792–1872), assai consapevole dell’eccezionalità ebraica in un contesto che gli pareva caratterizzato dall’“egoismo e dall’ignoranza” della componente musulmana.128Una simile percezione

fu in seguito espressa anche dal console Young: “It is a fact – scrisse nel gennaio 1842 – that the Jewish Subjects of the Porte although legally on a level with the other rayahs throughout the Empire, especially in Palestine, do not enjoy the privileges granted to them by the Hattischerif of Gulhane”.129

Ashley era sempre più convinto della necessità che le cinque grandi potenze d’Occidente fornissero delle garanzie pratiche agli ebrei così anche da favorire il loro ritorno in massa in Palestina. Elaborò a tale scopo un documento da presentare a Palmerston.130

Queste le parole usate dallo stesso Ashley nel suo diario per descrivere l’aura di solennità che circondò l’incontro:

August 1st

, 1840. Dined with Palmerston. After dinner left alone with him. Propounded my scheme, which seemed to strike his fancy; he asked some questions, and readily promised to consider it. How singular is the order of Providence! Singular, that is if estimated by man’s ways! Palmerston had already been chosen by God to be an instrument of good to His ancient people, to do homage, as it were, to their inheritance, and to recognise their rights without believing their destiny. And it seems he will yet do more. But though the motive be kind, it is not sound. I am forced to argue politically, 127 M. H. M

ONTEFIORE, J.C. MONTEFIORE, Diaries of Sir Moses and Lady Montefiore, Belford, Chicago 1890, p. 167.

128 Scrive Bowring: “Pride, selfishness, and ignorance, may be said to be the characteristic of a Mussulman

[...]. The condition of the Jews forms, perhaps, an exception, and cannot be said to have improved comparatevely with that of other sects: this is owing to a personal feeling both of Mahomet Ali and Ibrahim Pasha, as also of all the Christians and other sects in Syria, against them: they are, however, protected in the open and full execise of their religion, and have justice in all their civil cases [...]. An English Jew of Jamaica, residing in Jerusalem, told me that the Jews had every cause to be satisfied with Ibrahim Pacha”. J. BOWRING, Report on the commercial statistics of Syria, Clowes, Londra 1840, pp. 136-137.

129 TNA FO 78/501. Young all’ambasciatore a Costantinopoli Stratford Canning (1786-1880), 13 gen.

1842.

130 Stando al suo biografo, Ashley si mostrò ansioso “about the hopes and destinies of the Jewish people.

Everything seems ripe for their return to Palestine; [...] I will prepare a document, fortify it by all the evidence I can accomulate, and, confiding to the wisdom and mercy of the Almighty, lay it before the Secretary of State for Foreign Affairs”. HODDER, The life cit., p. 310.

financially, commercially; this considerations strike him home.131

Lord Ashley, che in passato più volte si era opposto alla possibiltà che gli ebrei britannici potessero essere eletti nel parlamento di Sua Maestà, colse l’occasione, già un anno e mezzo prima che avvenisse l’incontro con Palmerston, per rendere pubbliche le sue idee sul tema della “Restoration” attraverso una recensione apparsa sull’autorevole rivista letteraria Quarterly Review. Il libro oggetto della sua attenzione era il già citato Letters on Egypt, Edom, and the Holy Land di Lord Linsday. Ashley, ancora una volta attento a bilanciare argomentazioni religiose con aspetti più concretamente strategici, fece presente che il reinsediamento degli ebrei in Palestina era in perfetto accordo con gli interessi economici britannici.132 Nella stessa recensione erano tuttavia evidenziati due aspetti ben

più preminenti. Il primo era riferito al fatto che un “mighty change has come over the hearts of the Gentiles”, in quanto questi ultimi “seek now”, attraverso la loro evangelizzazione,133

“the temporal and eternal peace of the Hebrew people”.134

Il secondo rimandava a una crescente attesa per un’imminente rinascita d’Israele, rintracciabile tanto tra gli ebrei residenti in paesi lontani135

quanto tra quelli già presenti in Palestina: a Gerusalemme – notò Joseph Wolff (1795-1862) nel 1933 – gli ebrei “being assembled in the valley of Jehoshaphat, bewail the overthrow of their city and temple, and pray for a revival of its glory”.136