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La negazione degli arabi di Palestina “Il modello del mito di conquista”

1. Chi sono i palestinesi?

Sette parole servirono al poeta palestinese Mahmoud Darwish (1941-2008) per chiarire indirettamente gran parte degli ‘equivoci’ finora menzionati: “Chi sono? – domandò nella sua Une rime pour les Mu‘allaqāt a proposito delle popolazioni autoctone soggette all’autorità ottomana – È un problema degli altri”.553

Per molti aspetti era in effetti un problema solo degli ‘altri’, degli ‘esterni’. Per gli ‘interni’ a fare la differenza, oltre alla religione, erano infatti la provenienza da un dato villaggio (che sovente rappresentava una sorta di “protonazione nella protonazione”),554

l’appartenenza a uno specifico ḥamūla (clan familiare), l’uso di un particolare dialetto, un

551 Scrive Yael Zerubavel: “The portrayal of the landscape as a ‘desolate desert’ was clearly based on a

selective view of the reality at the time. These descriptions focused on unproductive lands, barren areas, and the malaria-spreading marshlands while ignoring Arab villages and towns and other settlements built by European settlers, as well as the existence of cultivated fields, plantations, and orchards around various settlements. Other sources, however, indicate that the settlers clearly saw the inhabited and cultivated fields parts of the land and developed realtionships with members of other communities around whom they live. [...] The construction of the desert and the settlement oppositional symbolic landscapes were clearly influenced by predominantly European views of the Orient, which European Zionist immigrants brought with them to the Middle East”. Y. ZERUBAVEL in J. BRAUCH, A. LIPPHARDT, A. NOCKE (eds.), Jewish topographies, Ashgate, Aldershot 2008, pp. 207-208.

552 S

AND, L’invenzione cit., p. 283.

553 M. D

ARWISH, La terre nous est étroite et autres poèmes, 1966-1999, Gallimard, Parigi 2000.

554 “The Fellahin – notava nel 1905 il missionario della CMS C.T. Wilson – have a great love for their

modo di vestire, un prodotto della terra, un festival religioso,555

una danza (dabkeh):556

tutti fattori peraltro ben presenti anche ai giorni nostri. In altre parole non era l’identità politica la discriminante principale,557

bensì l’appartenenza religiosa, nonchè quella culturale e sociale.

Sebbene l’identità palestinese abbia avuto negli anni successivi all’occupazione britannica della Palestina (1917) un periodo formativo cruciale, una parte rilevante dei suoi elementi culturali e sociali di base, i “rudimenti della nazione” nella concezione di Anthony Smith,558

sono riconducibili a un passato molto più radicato che pochi sentivano l’esigenza di interrogare: “The whole game of identity definition – ha notato Meron Benvenisti – reflects the immigrant’s lack of connection. Natives don’t question their identity”.559

Ma quanti erano e chi erano i palestinesi? Prima di rispondere alla domanda è opportuno menzionare che da più parti è stato fatto presente che il termine Palestina non fosse esclusivo appannaggio degli arabi e che dunque una distinzione puntuale dovrebbe fare riferimento a due distinte realtà: gli arabo-palestinesi e gli ebrei-palestinesi. In questo senso è stato sottolineato che dal 1932 al ‘50 il quotidiano ebraico in lingua inglese Jerusalem Post prese il nome di The Palestine Post. La puntualizzazione è pertinente, e infatti gli ebrei rimasti in loco nel corso dei secoli possono essere definiti, qualora si senta l’esigenza di farlo, ebrei-palestinesi. La stessa carta dell’Organizzazione di Liberazione della Palestina (OLP), un documento di certo poco incline al compromesso, ricononobbe

Holy Land, Murray, Londra 1906, p. 85. Ciò spiega la ragione per la quale non pochi cognomi palestinesi includono il villaggio di provenienza: Nābulsī, Ramlī, Rāntissī e via discorrendo.

555 Il festival di Nabi Musa, che ogni anno raccoglieva migliaia di persone da tutta la Palestina, era un

evento peculiare della culturale palestinese, nonchè un chiaro esempio di “coesione protonazionale”. Il festival era pensato per commemorare i traumatici eventi legati alle Crociate. K. AL-ASALI, Mawsim al- Nabi Musa fi Filastīn: tārīkh al-mawsim wal-maqam [Il festival di Nabi Musa in Palestina: la storia del festival e del santuario], Dar al-Karmil, Amman 1990.

556 La dabkeh e le altre danze caratteristiche della Palestina tardo ottomana erano più che semplici

celebrazioni. Rappresentavano tra l’altro espressioni di una “collectivization of trauma”. N. ROWE, Raising Dust. A Cultural History of Dance in Palestine, I.B. Tauris, Londra 2010, p. 53. George Ibrahim, direttore del teatro Al-Kasaba di Ramallah ritiene che la danza e la recitazione siano anche e soprattutto degli strumenti per esprimere il “malessere collettivo di una nazione”. Int. con l’autore. Ramallah, 13 feb. 2010.

557 Non è un caso che i centri del nazionalismo arabo furono via via Damasco, Baghdad e Il Cairo (città di

paesi colonizzati) e non Riyad o La Mecca (città di paesi indipendenti).

558 Cfr. A.D. S

MITH, Ethno-symbolism and Nationalism, Londra 2009, pp. 25 e 72 e A.D. SMITH, The Ethnic Origins of Nations, Blackwell, Oxford 1999, p. 11. Si veda anche A. ICHIJO, Nationalism and Multiple Modernities: Europe and Beyond, Palgrave, Londra 2013.

559 M. B

all’articolo 6 che “the Jews who had normally resided in Palestine until the beginning of the Zionist invasion are considered Palestinians”. Ciò significa che prima dell’ascesa del nazionalismo e l’affermazione della “logica dell’avodah ivrit” (“lavoro ebraico”; cfr. cap. VIII) non esisteva alcuna impellenza di definire in modo netto la propria appartenenza etnica.560 Inoltre, anche volendo utilizzare un approccio etnocentrico, tale aspetto non

cambia in modo sostanziale, quantomeno da una prospettiva storicamente a noi più familiare, i termini della questione. Riferirsi a una schiacciante “maggioranza arabo- palestinese”, o a una schiacciante “maggioranza palestinese”, rispetto a una possibile minoranza “ebraico-palestinese” o ebraica, è poco più di una disquisizione semantica. Un primo censimento ufficiale venne effettuato in Palestina solo nel 1922, dal governo mandatario britannico. In quell’occasione venne rilevata una popolazione totale di 757.182 individui, di cui 590.390 musulmani, 83.694 ebrei, 73,024 cristiani. Le precedenti rilevazioni presentavano evidenti difficoltà. Le autorità ottomane erano solite contare, per fini legati alle tasse e al servizio militare, quasi esclusivamente i maschi adulti o i capifamiglia. Le diverse confessioni cristiane, come anche il millet ebraico e i consolati viavia creati, mantenevano i propri rispettivi registri.

Le stime più attendibili riguardanti il secolo precedente rilevano che nel 1800 la popolazione totale della Palestina contasse 250.000 individui, per poi raggiungere quota 500.000 nel 1890.561 McCarthy, il decano dei demografi attivi su questo tema, ha indicato

560 Un gruppo etnico può, ma non deve necessariamente, coincidere con una nazione. Per Smith un’etnia è

“a named and self-defined human community whose members possess a myth of common acenstry, shared memories, one or more elements of common culture, including a link with a territory, and a measure of solidarity, at least among the upper strata”. SMITH, Ethno-symbolism cit., p. 27. Fabietti ha rimarcato la connotazione storicamente “difettiva” del termine “ethnos”. Per i greci “polis connotava la comunità omogenea per leggi e costumi, mentre ethnos designava sia i greci che non erano organizzati in villaggi (per esempio i pastori), sia i ‘barbari’”. FABIETTI, L’identità cit., p. 29. Secondo Eriksen: “For ethnicity to come about, the groups must have a minimum of contact with each other, and they must entartain ideas of each other as being culturally different from themselves. If these conditions are not fulfilled, there is no ethnicity, for ethnicity is essentially an aspect of a relationship, not a property of a group”. T.H. ERIKSEN, Ethnicity and Nationalism, Pluto Press, Sterling 1993, p. 12. John Armstrong (1922-2010) notò che “only extreme ways of life appear to lead to ethnic consciousness”. J.A. ARMSTRONG, Nations before

Nationalism, North Carolina Press, Chapel Hill, 1982, p. 14.

561 S. D

ELLA PERGOLA, 2001. Democraphy in Israel/Palestine, IUSSP XXIV General Population Conference Paper, http://212.95.240.146/Brazil2001/s60/S64_02_dellapergola.pdf. Diverse fonte israeliane indicano “tra un quarto e metà milione” la popolazione totale presente sul posto nel 1880. D. GILADI, M. NAOR, Rothschild. “Avi ha-Yishuv” ve-mifalo be-Eretz Israel [Rothschild. “Il padre dell’Yishuv” e le sue attività nella Terra di Israele], Keter, Gerusalemme 1982, p. 18.

in 411.000 il numero dei residenti in Palestina nel 1860,562 la stragrande maggioranza dei quali (circa il 90 percento) arabi.

In un’ottica eurocentrica tali cifre potrebbero apparire irrisorie. Per rendere l’idea basti pensare che quando Parigi nel 1846 toccò quota un milione di abitanti, Gerusalemme ed Haifa ne contavavo rispettivamente poco più di 18mila e poco meno di 3mila. Sarebbe tuttavia ancora una volta scorretto scegliere i paesi del vecchio continente e non quelli del Mediterraneo Orientale quali termini per una comparazione attendibile. In questo senso è più sensato confrontare l’Egitto di inizio Ottocento con la Palestina dello stesso periodo. Il primo si stima avesse ai tempi una popolazione di circa tre milioni di abitanti: ogni ne conta 77 milioni.563 La seconda, abitata ai tempi da 250.000/300.000 persone (quindi 225.000/270.000 arabi), registra oggi poco più di cinque milioni di individui.564 In rapporto si tratta quindi di dati che mostrano un sostanziale accordo tra la Palestina e quello che storicamente è il più importante nonchè il più popoloso tra i paesi arabi.

Pur essendo presenti importanti minoranze, in particolare cristiane (la minoranza piú numerosa), sciite e druse, la maggioranza (l’85%) di quei circa 300.000 arabi che vivevano in Palestina a metà del XIX secolo erano musulmani sunniti. Utilizzavano come moneta la lira ottomana (prima del 1844, quando la Porta cominciò a stampare la lira ottomana, are utilizzata un’altra moneta, il kuruş), parlavano l’arabo e vivevano in una società molto gerarchizzata. Vitale era l’appartenenza ai clan. Oltre i due terzi di essi erano agricoltori “hypercivilisé”, per usare una definizione di Weulersse (1905-1946),565

562 J. M

CCARTHY, The Population of Palestine, Columbia UP, New York 1990, p. 26. In una sua precedente pubblicazione McCarthy indicò una cifra più contenuta, nell’ordine di 369.000 unità. Un recente lavoro di Grossman ha sostanzialmente confermato i dati, indicando in circa 400.000 anime la popolazione totale (beduini inclusi) presente in Palestina a metà dell’Ottocento. D. GROSSMAN, Rural Arab Demography and Early Jewish Settlement in Palestine, Transaction, New Brunswick 2011, p. 89.

563 L’Egitto, come la Palestina, conobbe nel corso dei secoli una decrescita demografica. Si stima che ai

tempi dei romani l’Egitto avesse circa otto milioni di abitanti, per poi calare a quattro nel XIV secolo e a tre intorno al 1800. La religione, vissuta in modo sempre più dogmatico a partire dalla fase post-Crociate, ebbe in questo senso un ruolo peculiare. Secondo Gibb e Bowen la conquista ottomana rallentò tale decrescita. H.A.R. GIBB, H. BOWEN, Islamic society and the West, Oxford UP, Oxford 1950, p. 209.

564 Il conteggio tiene conto solo dei palestinesi presenti in Israele, nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.

Un conteggio includente anche la diaspora sparsa per il mondo porterebbe il totale a poco meno di 11 milioni di individui. Per la popolazione dell’Egitto nel XIX secolo cfr. J. MCCARTHY, “Nineteenth-Century

Egyptian Population”, in “Middle Eastern Studies”, v. XII, n. 3, ott. 1976, p. 1.

565 J. W

EULERSSE, Paysans de Syrie et du Proche-Orient, Gallimard, Parigi 1946, p. 55. Così Weurlesse spiegò l’evoluzione della popolazione rurale in relazione alle molteplici civiltà susseguitesi nella regione: “Hittetes, Araméens, Assyriens, Peuples de la mer [...] ne firent che passer; ils changèrent les capitales, modifièrent parfois langues et coutumes, ils ne touchèrent guère au peuplement rural, déjà lié au sol”. Ivi, p. 56. Ancora nel 1922, a processo di urbanizzazione già avviato, il primo censimento britannico indicò che

dediti alla coltivazione dei cereali, della frutta e della verdura, nonchè alla produzione della lana e del cotone. Era presente anche una discreta classe di professionisti e intellettuali, benchè la grande maggioranza della popolazione fosse composta da analfabeti.566 Il settore industriale registrava una fase embionale, mentre il comparto

manifatturiero – connesso soprattutto alla raccolta delle olive e alla relativa produzione di olii e saponi – rappresentava una risorsa, spesso esportata, degna di particolare nota. Non è esagerato sostenere che proprio le olive rappresentassero la ‘spina dorsale’ della vita economica e sociale locale. Non a caso i matrimoni e le celebrazioni erano sovente organizzate nel periodo dedicato alla loro raccolta, quando venivano intonate speciali canzoni composte per l’occasione.567

568

Un potere tangibile, sotto diversi aspetti accresciuto a seguito delle Tanzimât, era concentrato nelle mani dei grandi possidenti rappresentati da influenti ḥamāyyil (pl. di ḥamūla) come gli Ḥusaynī, i Khālidī, i Nashāshībī, i Dajāni, i Nusseībeh, i Jārāllah, i Touqān, e i Nābulsi. La Porta, che in Palestina poteva contare su un numero assai esiguo di ufficiali ottomani, doveva affidarsi agli a‘yān (notabili) locali per mantenere un sia pur

circa il 65 percento (451,816 persone) degli arabi musulmani presenti in loco risiedevano in aree rurali. Gli ebrei residenti nelle zone rurali erano 15,172, mentre sotto la voce “cristiani e altri” furono indicate 25,877 persone. JOHN HOPE SIMPSON REPORT (da ora JHSR), “Palestine: Report on immigration, land settlement and development”, v. I, 1930, p. 24.

566 Il censimento effettuato nel 1931 dal maggiore Eric Mills per conto del governo britannico (fu il secondo

nonchè l’ultimo ad essere condotto nel periodo mandatario) fu il primo a fornire dati precisi sull’analfabetismo. Il rapporto mostrò che tra i musulmani di Palestina solo il 25 percento dei maschi e il 3 percento delle femmine era alfabetizzato. Tra i cristiani la percentuale saliva al 72 percento per i maschi e al 44 percento per le femmine. Tra gli ebrei si attestava al 93 percento per i maschi e al 73 per cento tra le femmine. GOVERNMENT OF PALESTINE, Census of Palestine 1931, v. II, Gerusalemme 1932, p. 110.

567 Prima dell’avvento dell’elettricità le olive erano usate anche come combustibile liquido per illuminare le

lucerne durante la notte. Si stima che nei soli dodici mesi del 1913 vennero esportati dall’area di Nablus circa 130.000 chilogrammi di olive. J.S. RAJAB, Palestinian Costume, Kegan, Londra 1989, pp. 29-31.

568 La raccolta delle olive nell’area di Nablus. C.E. R

relativo controllo della regione.569 In questo senso essi ebbero a lungo un ruolo di intermediari tra il governo centrale e la gente del posto. Nella seconda metà dell’Ottocento, con l’incedere delle riforme e delle nuove scuole pubbliche create da Costantinopoli, il potere dei notabili rurali si ridimensionò in favore di quelli basati nei centri urbani (Gerusalemme in primis), i quali trovarono nelle Tanzimât le condizioni ideali per aumentare la concentrazione di terra sotto il loro controllo.570 Tali famiglie,

beneficiarie di un prestigio ereditato di generazione in generazione, un prestigio radicato dunque nei centri urbani e da lì irradiato sull’entroterra rurale,571

erano poste al vertice di un organigramma che annoverava all’estremo opposto i contadini (fellaḥin) e i beduini.

572

A dispetto del loro potere, le famiglie dei notabili rappresentavano una piccola percentuale della popolazione. La maggior parte della gente di Palestina viveva sparsa tra circa settecento piccoli villaggi, i quali fino all’epoca delle seconde Tanzimât erano economicamente indipendenti in relazione alle città. Tali individui, i quali come notò Elizabeth Finn mostravano di essere legati alla loro terra “with the tenacity of aboriginal inhabitants”,573

erano dislocati per lo più nelle zone collinari e montagnose (jebel) che si

569 Cfr. J. H

ILAL, Takwin al-nukhba al-Filastiniyya [La formazione dell’élite palestinese], Muwatin, Ramallah 2002.

570 A. H

OURANI, “Ottoman Reforms and the Politics of Notables”, in POLK, CHAMBERS (eds.), Beginnings cit., p. 48. Nella seconda metà dell’Ottocento ci fu una progressiva trasformazione delle élite urbane: da notabili e funzionari religiosi a proprietari terrieri e pubblici ufficiali educati nelle nuove scuole ottomane.

571 Mentre la condizione dei notabili nel Mediterraneo Orientale era connessa in qualche modo alla terra,

quella della borghesia europea dipendeva dal commercio e, in seguito, dal comparto industriale.

572 Nablus nel 1857. F. F

RITH, Egypt and Palestine Photographed and Described, 2 v., Londra 1858-9.

573 E. F

INN, “The fellaheen of Palestine”, in THE COMMITTEE OF THE PEF, The Surveys cit., p. 333. Finn sottolineò la mancanza di una “coesione nazionale” tra i fellaḥin. Aggiunse tuttavia che “no clan has for a

snodano da Nord a Sud tra la Galilea e Jabal al-Khalil (Hebron). Ciò era dovuto a motivi legati alla sicurezza e alla salute: le zone pianeggianti come l’area costiera (sahel) erano infatti più esposte alle periodiche razzie dei beduini, nonchè alla proliferazione di malattie come la malaria.

Il resto della popopolazione risiedeva in città a popolazione mista come Gerusalemme, Haifa, Tiberiade, Jaffa e Safad. Oppure in città esclusivamente arabe come Nazareth, Shefar’am, Nablus (nel XVIII e XIX sec. era stata la città piú prospera della regione),574

Jaffa, Beisan, Lydda, Ramla, Ramallah, Beersheba, Beit Jala, Jenin e Khan Yunis, Gaza, Betlemme, San Giovanni d’Acri, Tulkarem.575

I beduini, benchè contraddistinti da un nomadismo più o meno spiccato,576

peraltro sempre più raro a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, erano ben radicati in quello che da millenni erano noto come il deserto del Naqab (Negev) e rappresentavano meno di un ventesimo della popolazione totale.577

L’interrogazione sull’identità è un fenomeno “largamente occidentale”578

che si è sviluppato a partire dal XVIII secolo. L’approccio costruttivista insegna che le identità sono basate su relazioni sociali che si modificano nel tempo e nei diversi contesti. In

long time overpassed the boundaries of its own district, and they show no disposition to do so [...]. Nothing but the strong arm of government can ever induce a Fellah to quit his native village [...]. They are influenced by no patriotism for Turkey. The very name is unknown to them”. Ibid.

574 “The immediate vicinity of Nabloos is […] one of the most beautiful and fertile spots in all Palestine”. J.

THOMAS, Travels in Egypt and Palestine, Lippincott, Philadelphia 1853, p. 113.

575 Nelle ultime quattro la componente della popolazione ebraica era inferione all’1 percento: Gaza (0,4

percento), Betlemme (0,1 percento), San Giovanni d’Acri (0,7 percento), Tulkarem (0,14 percento).

576 Soffermandosi sulle differenze tra i beduini Constantin-François Volney (1757-1820) notò che quelli “in

the valley of Bekaa, in that of the Jordan, and in Palestine, approach nearer to the conditions of the peasants; but these [tribes] are despised by the others, who look upon them as bastard Arabs [Arabes bâtards]”. C.F. VOLNEY, Voyage en Égypte et en Syrie, pendant les années 1783, 1784 et 1785, v. I, Bossanges Frères, Parigi 1822, p. 360.

577 I beduini presenti in Palestina erano comparativamente meno rispetto a quelli presenti in Iraq, Siria e

Giordania. Nel corso dell’Ottocento i beduini del Negev passarono da una fase di nomadismo ad una di progressivo seminomadismo. Secondo Oren Yiftachel l’attaccamento dei beduini alla loro terra è stato molto più sentito di quanto sovente sostenuto. Avinoam Meir ha aggiunto che già alla fine del Settecento essi erano impegnati in attività agricole nel nord del Negev. Cfr. A. SHEMU’ELI, Hitnahlut ha-Bevim shel Midbar Yehudah [La sedentarizzazione dei beduini nel deserto di Giudea], Gome, Tel Aviv 1970, p. 50. Secondo un rapporto del ministero degli Esteri statunitense datato primo gennaio 1949 la popolazione complessiva del Negev era compresa, negli anni subito antecedenti, tra le 60 e le 70 mila persone. NARA, RG 59, Palestine-Israel 1945-49, LM 163, Roll 18.

578 A.

DE BENOIST, Identità e comunità, Guida, Napoli 2005, p. 12. La questione dell’identità si sviluppa “sulla base del nascente individualismo, derivato dalla valorizzazione cristiana del foro interiore, dal razionalismo cartesiano […] infine dalla teoria di Locke […]”. Ivi., p. 15. Kimmerling ha notato che “a collective identity is not necessarily a national identity; however, it is a necessary precondition for it”. B. KIMMERLING, Clash of Identities, Columbia UP, New York 2008, p. 59.

quanto relazioni, le identità non sono dunque immutabili: “People produce and reproduce them rather than being born with them”.579

Le tradizioni e le consuetudini che sono alla base della moderna identità arabo- palestinese – un’identità che, nel suo processo di definizione, è stata in parte “immaginata” e “costruita” come ogni altra identità della storia580 (cfr. cap. XIII) –

affondano le proprie radici in un passato remoto molto antecedente al 637 d.C. Quest’ultima data viene spesso percepita come il momento storico della grande invasione/occupazione araba della Palestina, la quale a partire da questo periodo sarebbe stata popolata da abitanti prima di allora estranei alla zona.581

La realtà è molto piú articolata e viene sovente ‘silenziata’ usando metri di giudizio selettivi. L’ipotesi che esista un qualche filo conduttore tra gli iracheni e gli antichi babilonesi o tra i libanesi e i fenici (nome con cui i greci identificavano i cananei) è accettata il più delle volte senza ostruzionismi, o comunque discussa senza livore. Lo stesso non accade quando si prova a utilizzare il medesimo approccio per quanto concerne gli arabo-palestinesi.

Gli arabo-palestinesi sono il risultato finale della combinazione di genti con origini etniche varie, persone influenzate e plasmate dai popoli che nel corso dei secoli si sono succeduti nelle vesti di conquistatori. Il medico palestinese Tawfīq Kanʻān (1882–1964), prolifico etnografo e primo pastore arabo della Chiesa luterana locale, fu l’antesignano nonchè il più autorevole studioso delle tradizioni e dei riti della popolazione autoctona. La sua ampia produzione scientifica, scritta in gran parte in inglese e tedesco, è ancora oggi una fonte ineasauribile di informazioni. A seguito di decennali studi condotti casa