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La chiesa anglicana di Gerusalemme e il ruolo dei missionar

2. Emancipazione femminile, il pungolo dei missionar

2.1. Uno sguardo di genere

Le donne arabe, quando non considerate come semplici appendici degli antichi scenari biblici, rappresentavano per le missionarie protestanti una florida fonte di ispirazione per giudizi di carattere morale. “Their conviction”, ha notato Enaya Othman a proposito delle missionarie americane giunte a Ramallah nella seconda metà dell’Ottocento, “of the American woman as the model for other ‘unfortunate’ women prevented these missionaries from integrating in the Palestinian cultural context”.327 Tale atteggiamento

paternalista, con prese di posizione in alcuni casi al limite del razzismo verbale, era rintracciabile in una certa misura anche nel loro modo di rapportarsi alle donne ebree.328 Ciò a dispetto del fatto che tanto in America quanto nella gran parte dei paesi europei l’“ingrained lower status” delle donne fosse all’epoca comunemente accettato.329

324 Cit. in G. M

ENICUCCI, “Gendering the Palestinian Landscape”, in I. ABU-LUGHOD, R. HEACOCK, K. NASHEF (eds.), The Landscape of Palestine, Birzeit University Publication, Birzeit 1999, p. 82.

325 A

L-MAWSU’AH AL-FILASTINIYYAH [L’Enciclopedia Palestinese], Palestinian Encyclopedia Committee, Damasco 1984, p. 212.

326 Dopo aver comparato le culture presenti nel Mediterraneo Orientale ad altre ad esso esterne Keddie ha

concluso che le differenze nelle relazioni tra i generi “were in most ways smaller in the past than in modern times. Muslim resistence to Western-sanctioned change is tied to a centuries-old hostility between the Muslim Middle East and the West, which had increased in modern times. The home has become a last line of defence against a West that has won out in political and economic spheres”. N.R. KEDDIE, “Introduction”, in KEDDIE, BARON (eds.), Women cit., p. 2.

327 E. O

THMAN, “Meeting at Middle Ground: American Quaker Women’s Two Palestinians Encounters”, in “Jerusalem Quarterly”, n. 50, estate 2012, p. 47.

328 Le missionarie rimarcarono anche l’ignoranza delle donne ebree: “Add to the common Oriental idea –

scrisse l’1 settembre 1850 Miss C. Cooper (?-1859), associata alla LJS – that women are below education, the fetters of Talmudical superstition, and you will see how ignorant and degraded Jewish females are likely to be”. BOL – CMJ – D. 58, n. 1. Per ovviare al “problema” Miss Cooper aprì nel 1848 una “working school, where, after being taught the use of the needle, they might earn a respectable livelihood”. Circa cinquanta donne furono impiegate in questa scuola, dove veniva “explained to them, in prayeful hope that they may be savingly to know, and to believe upon, their Messiah”. Accanto alla “working school” venne aperta una “Girls’ Boarding and Day School” per l’educazione delle figlie di genitori ebrei. Alle 82 bambine iscritte, comprese tra i tre e quattordici anni, veniva impartita una rigida “Christian instruction, together with a good secular education”. BOL – CMJ – D. 58, n. 1. C.H. Banning, feb. 1871.

329 S.S. R

OGERS, Inventing the Holy Land. American Protestant Pilgrimage to Palestine, 1865-1941, Lexington, Plymouth 2011, p. 75. Le donne provenienti dal vecchio continente e dall’America tendevano a

In questo contesto è di particolare interesse soffermarsi sul ruolo svolto dalla Female Education Society (FES), non ultimo con l’intento di porre l’attenzione su un lavoro tanto poco visibile e difficile da definire330 quanto influente nell’indirizzare alcune linee guida intraprese dal governo di Sua Maestà nel Mediterraneo Orientale. Nello specifico la FES, fondata a Londra nel 1834, fu inizialmente impegnata in missioni in Cina, per poi espandersi presto anche in India, Sud Africa, Singapore, Giappone, Sri Lanka, Siria, Palestina (dal 1863)331 ed Egitto. In quest’ultimo si impose all’attenzione generale il ruolo

svolto da Miss Holliday, un’agente della FES al Cairo sposata con John Lieder (?-1865), un noto missionario della CMS.

Holliday, al pari delle mogli, delle sorelle e delle figlie di altre figure di primo piano attive nella regione per conto di società missionarie o del governo di Sua Maestà,332

ad esempio le già citate Elizabeth Finn e Deborah Levi, ma anche Mary Eliza Rogers (1828- 1910)333 e Isabel Burton (1831-1896),334 si trovò in una posizione privilegiata per sollecitare un interesse per l’area in questione da parte delle istituzioni britanniche. Una volta avviata nel suo lavoro e dopo essersi sposata, Miss Holliday ebbe l’opportunità di entrare a contatto diretto con Mohammad Alì e la sua corte: “I was officially waited on

soffermarsi sui modi di vestire e sulle acconciature delle donne arabe, senza tralasciare aspetti più seri come gli abusi fisici e l’educazione. In uno studio focalizzato sul modo in cui le donne di Palestina vennero rappresentate negli scritti delle viaggiatrici americane tra il 1832 e il ‘99, è stato notato che esse erano “truly motivated in correcting what they believed to be problems facing Palestinian women. More often than not, American travelers blamed the poor status of Palestine’s women on the fact that Palestine was not modern as the United States”. J. ROSS-NAZZAL in T. ADAM, N.H. ROEMER, Crossing the Atlantic, The Univ. of Texas, Arlington 2011, pp. 211-212.

330 B. M

ELMAN, Women’s Orients. English Women and the Middle East, 1718-1918, Macmillan, Londra 1992, p. 175.

331 La FES fu attiva in Palestina a Nazaret (dal 1863), a Betlemme (dal 1878) e a Shafā ‘Amr (1889). In

particolare nella prima delle tre riuscì ad aprire un orfanotrofio, utilizzato ai giorni nostri come hotel per sole donne. Il suo organo ufficiale era il “Female Missionary Intelligencer”.

332 Il discorso potrebbe essere allargato alle consorti di influenti diplomatici americani. Sarah Barclay

Johnson (1837-1885), moglie del console statunitense a Beirut J. Augustus Johnson, cercò ad esempio di avvicinare il lettore alle problematiche delle donne locali: “However widely they [le donne] all may differ in blood, manners, customs, and appearance; they all more or less resemble each other in at least this common point – they are the abject slaves of the ‘lords of creation’”. S. BARCLAY JOHNSON, Hadji in Syria: or, Three years in Jerusalem, Challen, Philadelphia 1858, pp. 297-298.

333 Mary Eliza Rogers (1828-1910), autrice di Domestic Life in Palestine, era la sorella di Edward Thomas

Rogers (1831-1884). Oltre a ricoprire incarichi diplomatici a Gerusalemme e ad Haifa, egli fu anche console generale in Siria e al Cairo. All’età di 27 anni Mary Eliza viaggiò per la Palestina in compagnia del fratello. Quando nel 1859 tornò a Londra riportò le sue osservazioni nel libro che la rese celebre.

334 Isabel Burton sposò nel 1861 Richard Francis Burton (1821-1890), noto per i suoi libri ma anche per

esser stato console britannico in varie città, Damasco compresa. Anche Isabel Burton fu autrice di vari libri: “I wish I were a man – scrisse la scrittrice – If I were, I would be Richard Burton; but being only a woman, I would be Richard Burton’s wife”. J. BURTON, Sir Richard Burton’s wife, Knopf, New York 1941, p. 3.

by one of the officers of state – scrisse la Holliday in una lettera inviata dal Cairo il 22 marzo 1838 – and formally asked if I would take in charge the education of the royal females [...] I find it involve anything contrary to Christian principle”.335 Si trattò di un incarico denso di significati, in quanto mise in contatto diretto la società civile inglese e la Church Missionary Society con l’élite al potere in Egitto. Dimock si è spinta ad argomentare che ciò ha contribuito ad accrescere gli interessi britannici in Egitto.336 Lisa Pollard337 e, più di recente, Ela Greenberg hanno sostenuto che gli europei residenti in Egitto nella seconda metà del XIX secolo, cresciuti esponenzialmente come risultato delle politiche volute da Muhammad Alì, produssero “travelogues and other writings full of negative images of debauchery, perversion, and female denigration within Egyptian homes, giving impulse to the British occupation of 1882”.338 Secondo tale punto di vista la creazione di un Egitto moderno che attraverso delle riforme modificasse alcune consuetudini radicate tra le stesse mura domestiche, ad esempio la ghettizzazione delle donne o la poligamia,339 “became central to British policies in Egypt, and echoed throughout writings by missionaries in the region as well”.340

Le motivazioni alla base del coinvolgimento britannico in Egitto, e da qui nel resto della regione, furono certamente più strategico-politiche che filantropiche. È però un fatto che la combinazione tra le nuove condizioni create dalle Tanzimât e l’opera dei missionari e le missionarie protestanti, queste ultime tendenzialmente più esposte a subire intimidazioni e atti di violenza,341

ebbero un ruolo non ininfluente nell’avvio del processo

335 S

OCIETY FOR PROMOTING FEMALE EDUCATION IN THE EAST, History of the Society for promoting female education in the East, Edward Suter, Londra 1847, pp. 97-98.

336 E. D

IMOCK, “Women, Missions and Modernity. From Anti-Slavery to Missionary Zeal, 1780s to 1840s”, in “Itinerario”, v. XXXIV, n. 3, 2010, p. 61. Sui dettagli del lavoro intrapreso da Miss Holliday per ciò che veniva definita “the illumination of the benighted female part of this bigoted Mahomedan Population!” cfr. “Missionary Register”, v. XXVII, Londra 1839, pp. 98-99.

337 L. P

OLLARD, Nurturing the nation: the family politics of modernizing, colonizing and liberating Egypt, 1805-1923, Univ. of California Press, Berkeley 2005, pp. 1-99.

338 E. G

REENBERG, Preparing the mothers of tomorrow: education and Islam in mandate Palestine, Univ. of Texas Press, Austin 2010, p. 1.

339 La situazione in Egitto o in Palestina non era tuttavia equiparabile con altre aree dell’Impero. Julia

Pardone (1806-1862), figlia del maggiore Thomas Pardoe, con il quale si recò nel 1835 nell’odierna Turchia per quindici mesi, testimoniò che il ruolo della donna ottomana fosse molto più gratificante di quanto ritenuto in Occidente. A. SANCAR, Ottoman Women. Myth and Reality, The Light, Somerset 2007.

340 G

REENBERG, Preparing cit., p. 1.

341 Esemplare il caso di Miss Hamilton, una missionaria afferente alla Syrian Protestant Institution. Venne

molestata il 2 novembre 1869 nel tragitto Beirut-Damasco. Da un rapporto inviato dal missionario della Irish Presbyterian Church James Orr Scott sappiamo che il molestatore fu “a man calling himself Persian

che nei decenni successivi portò alcune fasce della popolazione femminile presente in Palestina – in particolare le donne appartenenti all’élite locale – a ricoprire ruoli progressivamente più definiti nell’ambito delle sfide che investirono la regione.

In questo senso non è un caso che il precursore nonchè la figura che forse più di ogni altra ha influenzato il processo di emancipazione della donna araba abbia lavorato a stretto contatto con missionari americani ed europei. Il riferimento è a Butrus al-Bustani (1819-1893), noto anche per essere stato il primo intellettuale della regione ad aver intercettato e affrontato le problematiche connesse al tema del nazionalismo siriano. Al Bustani, nato in una famiglia cristiano maronita originaria dell’attuale Libano, insegnò a lungo arabo al seguito di molteplici missioni provenienti dall’America: un impegno che ebbe tra le sue conseguenze quello di spingerlo a convertirsi al protestantesimo. Autore del primo dizionario-enciclopedico arabo (Muḥīṭ al Muḥīṭ, “L’oceano degli oceani”), nel 1849 pubblicò un trattato nel quale perorò con enfasi la causa dell’educazione femminile. Le problematiche sollevate ricevettero un marcato interesse, benchè tendenzialmente gli sforzi dello scrittore libanese fossero indirizzati a benificio quasi esclusivo di arabi cristiani e cittadini europei impegnati nella regione.342

In particolare lo scrittore egiziano Rifāʿa Tahtāwī (1801-1873) – il quale nel 1826 era stato non a caso incluso in un gruppo di studenti inviati per volere di Muhammad Alì a Parigi – sviluppò (1872) i temi proposti da al-Bustani nel suo influente al-Murshid al-amīn li ‘l-banāt wa ‘l-banīn (“L’affidabile guida per ragazze e ragazzi”): un testo che, correlando l’educazione femminile alla stabilità della nazione (Tahtāwī tradusse il termine francese patrie con l’arabo watan), rivelò il profondo impatto impresso dalla sua formazione nel vecchio continente.

Gli aspetti evidenziati da al-Bustani, da Tahtāwī, ma anche dal giurista egiziano Qasim Amin (1865-1908),343

da Muhammad ʻAbduh (1849-1905)344

e da un ristretto numero di

Consul General for Egypt”. Scott notò “that the meanest arab mother would not send her daughter on such a journey alone”. Del caso s’interessò Burton, console britannico a Damasco. L’accusato venne in seguito arrestato. TNA FO 195/965.

342 Nel 1847 al-Bustani, con l’ausilio dell’autore libanese Nasif al-Yaziji (1800-1871; al-Yaziji apparteneva

alla Chiesa cattolica di rito greco) e l’assistenza di alcuni missionari americani, fondò la prima società letteraria del mondo arabo: Jamiyyat al-Adab wal-Ulum (“La società scientifica e letteraria”). Quest’ultima, i cui membri erano arabi cristiani e figure appartenenti agli ambiti missionari e diplomatici provenienti dall’Occidente, fu sostituita nel 1857 da al-Jamiyya al-‘Ilmiyya al-Suriyya (“La società scientifica siriana”), nella quale figuravano anche drusi nonchè alcuni musulmani educati in Occidente.

343 Amin è sovente indicato come il “primo femminista arabo” della storia. Nato in una famiglia

altri intellettuali legati al Nahda (“Rinascimento” islamico), entrarono all’inizio del XX secolo al centro del dibattito pubblico dell’intera regione, con un particolare fermento registrato in Egitto, dove nel 1892 l’autrice libanese Hind Nawfal (1860–1920) pubblicò il primo mensile per sole donne (al-Fatah, “La giovane”): “Non pensiate – puntualizzò la Nawfal nel primo numero del giornale in distribuzione ad Alessandria – che una donna che scrive su un giornale stia compromettendo il suo pudore o violando la sua purezza e il suo agire rettamente”.345

Si noti per inciso che il tono difensivo di Nawfal è uno specchio degli effetti controproducenti che l’influenza occidentale ha avuto, per alcuni aspetti, nei contesti coloniali. A differenza della Turchia, non soggetta all’influenza coloniale, il tema dell’emancipazione femminile ha conosciuto in contesti come l’Egitto – così come nelle altre realtà invischiate nella rete del colonialismo – un percorso particolarmente sofferto. I colonizzatori promossero attivamente, con toni sovente paternalistici, il miglioramento della condizione delle donne musulmane, spingendo queste ultime ad utilizzare il più possibile vestiti, espressioni, abitudini, utili a provare la propria indipendenza e “autenticità” nei confronti del resto della comunità di appartenenza. Anche per tali ragioni, come ha notato Nadje S. Al-Ali, lo spazio di manovra dei movimenti impegnati nei progetti in favore dell’emancipazione delle donne locali “has been subject to considerable limits in Egypt up to the present day”.346

Nel contesto di questo paragrafo non è rilevante fornire una periodizzazione dettagliata delle opere e degli intellettuali che, a dispetto degli effetti collaterali, più hanno contribuito a far acquisire una progressiva rilevanza alla questione del ruolo delle donne arabe. Qui l’interesse è focalizzato sul processo attraverso il quale le attività missionarie e le relative scuole ad esse afferenti contribuirono a creare le condizioni affinchè le donne –

liberazione della donna”) e l’anno successivo Al mara’a al jadīda (“La nuova donna”). In essi pose in risalto il ruolo nevralgico delle donne nel processo di miglioramento della “nazione egiziana”. Gli scritti di Amin sono stati criticati in modo convincente da Leila Ahmed, la quale ha evidenziato che le generalizzazioni del ruolo della donna in Egitto e il suo elogio della società europea mirava a sostituire l’androcentrismo egiziano con l’androcentrismo occidentale, relegando il femminismo a una pura facciata. L. AHMED, Women and gender in Islam: historical roots of a modern debate, Yale UP, New Haven 1992.

344 Muhammad ‘Abduh, giurista egiziano, si concentrò sul tema dell’istruzione femminile e sul tentativo di

cercare una via per riformare alcuni aspetti dell’Islam. C. ADAMS, Islam and Modernism in Egypt: A Study of the Modern Reform Movement Inaugurated by Muhammad ‘Abduh, Oxford UP, Londra 1933.

in particolare quelle di fede cristiana residenti nelle città – entrassero in maggiore relazione con il mondo esterno, tanto in Palestina quanto nel resto del Mediterraneo Orientale. Tale influenza, in alcuni casi convogliata dalle missionarie attraverso piccole ritualità domestiche, ebbe infatti un ruolo non trascurabile nell’incentivare le donne ad esprimersi pubblicamente sui temi che le riguardavano. Il tutto avvenne anche attraverso interventi diretti pubblicati su rubriche a loro dedicate. Rubriche che pur essendo fortemente condizionate dai dibattiti che avvenivano nei paesi occidentali, erano strutturate in modo da proporre modelli locali funzionali a promuovere l’emancipazione femminile.

Quello della Palestina è in questo senso un caso rilevante. In essa si parlò, comparativamente più che altrove,347

di al-nahda an-nisa’iyya (“risveglio delle donne”), che fu poi anche il titolo di un giornale pubblicato in Egitto nel 1922 dalla scrittrice copta Balsam Abd al-Malik. Il tema, con le sue ramificazioni legate al velo,348

all’educazione femminile, ai diritti sociali, alle responsabilità domestiche, ai matrimoni e al ruolo della donna nella storia islamica, fu affrontato con una certa attenzione già nel 1909 sul neonato periodico palestinese al-Nafa’is al-Asriyyah (“Tesori moderni”), per poi diventare un tema costante, grazie a Matiel Mughannam (1900-1992), Mary Shihada, Asma Tubi (1905-1983) e diverse altre donne, su giornali quali Filastīn, al-Nafir (“il clarion”), al-Hayat (“Vita”), al-Karmil (“Il Carmelo”). Su quest’ultimo, un settimanale fondato ad Haifa nel 1908 con il precipuo obiettivo di “opporsi alla colonizzazione sionista”, la segretaria della Haifa Women’s Unions Sadhij Nassar (1900-1970) creò la rubrica Safhat an-nisa (“Pagina delle donne”), battendosi tra le altre cose affinchè 346 N.S. A

L-ALI, The Women’s Movement in Egypt, with Selected References to Turkey, United Nations Research Institute for Social Development, n. 5, Ginevra 2002, pp. 29-30.

347 Nel contesto del mondo arabo solo in Egitto e nell’attuale Libano si ebbe un numero maggiore di

pubblicazioni legate all’emancipazione femminile. Rispetto ad esse la Palestina registrò un deficit in termini di istituzioni educative all’avanguardia e un numero più circoscritto di potenziali lettori. Inoltre all’inizio del XX secolo le restrizioni (ergo censura) imposte dalla Porta furono più accentuate in Palestina rispetto ad altre aree soggette all’autorità ottomana. Tuttavia, comparando gli articoli pubblicati su questi temi e la popolazione presente in Palestina salta agli occhi in modo evidente il dinamismo registrato in quest’area in rapporto al resto del mondo arabo. Cfr. E. FLEISCHMANN, The nation and its “new” women:

the Palestinian women’s movement, 1920-1948, Univ. of California Press, Berkeley 2003, pp. 72-73.

348 Il tema era oggetto di particolare interesse anche in considerazione del fatto che “al-hijāb laysa min al-

dīn fī shay” (“il velo non ha niente a che fare con la religione”). Si noti che al termine di una dimostrazione avvenuta a Gerusalemme nel 1929 circa duecento donne si fermarono dinnanzi alla casa del governatore britannico gridando: “To serve our homeland we shall take off our veil!”. Cit. in N. ABU-ZU’BI, Family, Women and Social Change in the Middle East: The Palestinian Case, Scholar’s Press, Toronto 1987, p. 21.

comprendessero il vitale ruolo da esse ricoperto nel processo di preservazione della loro terra: “Voi [donne] – scrisse Sadhij Nassar – siete responsabili. Sì, voi donne arabo- palestinesi, musulmane e cristiane, siete responsabili dell’integrità della nazione [watan] e della preservazione del carattere arabo della Palestina, [così da mantenerla] come è stata fino ad ora”.349

Sadhij Nassar era la moglie del fondatore nonchè editore di al-Karmil, Najib Nassar (1865-1948). Quest’ultimo era stato educato in una famiglia cristiana greco- ortodossa, per poi lavorare quindici anni nell’ospedale missionario della Free Church of Scotland presso Tiberiade. Come nel caso di al-Bustani, anche Najib Nassar si era convertito al protestantesimo.350

Fu proprio Sadhij Nassar la prima donna palestinese ad essere arrestata a seguito delle Emergency Regulations implementate dal governo britannico ai tempi della Grande rivolta araba. La detenzione, durata undici mesi e comminata senza fornire capi di imputazione, venne scontata in un carcere di Betlemme. Correva l’anno 1939, una fase storica in cui Nassar così come migliaia di altre donne arabe di Palestina351

erano in prima linea per combattere ciò che ai loro occhi rappresentava una inaccettabile ingiustizia:

We strongly detest the leniency shown by [the British] Government towards illegal [Jews] immigration! The control it is exercising is nothing but a comedy. [...] We strongly detest the Government’s partiality shown towards the Jews [...] Everyday has shown us extremely wonderful examples of such partiality. [...] Only the other day some Arab women, all of whom had lost either a father, a brother, a husband or a son, left their home to give expression to their grievances, and soon the resolute [British] Government directed dirty water against them. Some days later, Jewish women formed a big procession and went through many roads to Government House (sic) in

349 MDC – “al-Karmil”, 16 ott. 1929.

350 Najib Nassar lavorò per un breve periodo anche come agente terriero per una società impegnata ad

acquistare terreni per conto di un’organizzazione sionista. Già nel 1900 si impegnò tuttavia per contrastare tale fenomeno, divenendo nel tempo uno dei più acuti nonchè influenti denunciatori della “minaccia