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La terra di chi?

2. La classificazione della terra nella Palestina tardo-ottomana

2.2. Fellaḥin, l’anello debole

Fino all’introduzione della “Legge del Tapu [titolo di proprietà]” del 1858, quella che per l’appunto rese obbligatoria l’iscrizione di tutte le terre in un apposito fascicolo, le registrazioni erano state dunque volontarie. La gran parte della popolazione rurale locale era fortemente restìa a registrare i propri possedimenti o le terre in usufrutto. Fino ad allora la tradizione, consolidata di generazione in generazione, era stata sufficiente a garantire le rivendicazioni di ciascuno. Inoltre gli autoctoni – sovente del tutto all’oscuro del reale significato di concetti come “proprietà privata”703

– temevano gli ‘effetti collaterali’ che sarebbero seguiti alla registrazione: tasse e coscrizioni nell’esercito.704

Tale commistione di sospetti e ostilità verso le nuove disposizioni introdotte fu testimoniata in modo dettaglio da Samuel Bergheim in un articolo apparso nel 1894 sul QSPEF:705

The Turkish laws which have been introduced within the last few years in Palestine with reference to land tenure, and which are being rigorously

701 Come conferma Ruedy: “From a social and psychological point of view [....] and as a reflection of the

dependence of the individual upon the group for every security during a disorganized period of history, masha’a represents an appropriate adaptation”. RUEDY, Dynamics cit., p. 123.

702 S. S

AYIGH, The Palestinians, Zed Books, Londra 2007, p. 27.

703 È opportunò sottolinere che i fellaḥin non avevano alcun accesso diretto alle “stanze del potere” a

Costantinopoli. Inoltre, parafrasando un classico di Rosemary Sayigh, essi “did not grasp the meaning of the new laws, nor the concept ‘ownership’, so foreign was it to their own concept of rights”. IVI, p. 30.

704 Lo stesso Zionistisches Zentralbureau sottolineò che gli arabi “have almost always registered their

property below the real area in order to reduce the payment of taxes”. CZA Z3/7/16. Giaffa, 10 lug. 1919.

705 L’opionione di Bergheim venne confermata anche da Phillip J. Baldensperger (1871–1958), un

antropologo nato a Gerusalemme da padre missionario alsaziano: “The villagers of the plains of Sharon and Philistia are usually co-proprietors of all the lands, but when the new law to establish deeds was promulgated, the poorer denied owning any land in order to avoid paying the cost of the deed, and thus became deprived of their lands; in others they sold their rights for a trifle”. S. BALDENSPERGER in QSPEF, v. XXXVIII, Londra 1906, p. 192.

enforced, are changing all these ancient laws and customs, much against the will and wish of the people. The lands are divided by an Imperial Commissioner into various portions and given to individual villagers. They receive title-deeds for individual ownership, and each one is at liberty to sell his portion to whomever he pleases, either to a member of the village or to a stranger. The villager then sells his Hak el Muzara’a (right of cultivation) in the land; not as mülk, but as ameeriyeh (miri), and subject to taxes as such; the object of the government being to break down the old custom of musha’a.706

Le nuove normative del 1858/1867, articolate in un “complex bundle of capitalist and precapitalist features” di stampo europeo,707

erano parte integrante di un processo più ampio, riconducibile alle stesse Tanzimât e ai relativi sforzi di centralizzare e occidentalizzare la sempre più fragile ‘macchina ottomana’. Attraverso esse, oltre a provare a valorizzare le terre inutilizzate, la Porta cercava di individuare e dunque di esercitare il proprio controllo diretto sui coltivatori,708

in modo da aumentare le entrate erariali, assumere il controllo di quanta più “terra statale” (mîrî) possibile e saldare parte dei debiti contratti con le potenze europee.

Il processo di registrazione venne effettuato in modo approssimativo – non era previsto alcun sistema di mappatura e misurazione dei terreni, bensì solo descrizioni legate ai confini dei vari appezzamenti – e solo a seguito di una lunga gestazione. I primi rilevamenti sul posto furono compiuti da una commissione inviata dalla Porta a cavallo del 1870. Oggetto dell’attenzione erano i terreni agricoli, che i membri della commissione avevano il compito di suddividere in categorie; non furono registrate le aree “abbandonate”, e le zone ad “uso pubblico”, ad esempio le foreste e le strade.709

In gran parte dell’Impero – ad esempio nelle provincie dell’odierno Iraq nonchè in una vasta percentuale della regione palestinese (l’area di Gerusalemme, anche per la sua

706 S. B

ERGHEIM in QSPEF, v. XXVI, Londra 1894, pp. 191-199.

707 D. Q

UATAERT, “Rural unrest in the Ottoman Empire, 1830-1914”, in F. KAZEMI, J. WATERBURY (eds.), Peasants&Politics in the Modern Middle East, Florida UP, Miami 1991, p. 39. Scrive Edmund Burke III: “Private property on the European model was introduced and loosened the bonds between cultivator and land and between cultivator and village community”. Ivi, p. 29.

708 Sul tentativo implicito nelle riforme di creare una connessione e dunque un controllo il più possibile

specificità, rappresentò un’eccezione alla regola) – le nuove normative non ottennero gli effetti sperati.710

Al contrario, i fellaḥin, temendo di esporsi in prima persona, decisero in numerosi casi di registrare le loro terre con nomi di parenti deceduti o con quelli di notabili residenti nelle maggiori città.711 Non solo, le nuove normative fissarono altri due

aspetti di particolare rilevanza: il principio della trasmissione delle proprietà per via ereditaria e la prassi secondo cui chiunque usufruisse di terra mîrî per più di cinque anni avendone pagato le relative tasse, potesse automaticamente mantenerla nelle proprie mani.

A breve termine gli effetti di tali pratiche non furono rilevanti: i contadini continuarono infatti a coltivare le proprie terre. Le conseguenze a lungo termine furono invece destabilizzanti.712

In primis in quanto l’iscrizione degli appezzamenti a nome di singoli contribuenti minava alle fondamenta – come peraltro rilevò lo stesso Bergheim e come chiarì in modo esplicito l’articolo 8 del Codice del 1858 – il sistema del mushâ, basato appunto sulla redistribuzione annuale della terra. In secondo luogo in virtù della perdita da parte dei discendenti di quegli stessi contadini della facoltà di utilizzare terre sovente coltivate senza soluzione di continuità da molte generazioni. Ciò innescò un fenomeno paradossale. Chi coltivava la terra non la possedeva e chi la possedeva non la coltivava.713

Nelle parole di Kenneth Stein:

Where owner-occupiers did not initially lose the right to use their land, they lost control over their land’s future disposition. They became increasingly less independent and more the wards of notables [...] In particular, the inhabitants of 709 ISA – RG67/439. J. Serapion (segretario di M. Arutin, console americano a Gerualemme) a T. von

Münchhausen (console prussiano a Gerusalemme), 12 giu. 1874.

710 Karpat chiarì che il Codice del 1858 iniziò come una misura tesa a riaffermare “the state’s right to land

through the establishment of a regime of state ownership and ended by enlarging the scope of private land ownership”. K.H. KARPAT, “Land Regime, Social Structure, and Modernization”, in POLK, CHAMBERS

(eds.), Beginnings cit., p. 86.

711 A. S

A’ID, At-thawra al-Arabiya al-kubra fi Filastīn, 1936-1939 [La grande rivolta araba in Palestina, 1936-1939], Isa al-Babi al-Arabi, Cairo 1989, pp. 134-135. Ciò non esclude il fatto che ci siano stati casi in cui i fellaḥin residenti nelle zone collinari e montuose, ovvero le aree dove la grande maggioranza di essi erano concentrati, abbiano registrato le terre a loro nome. L’entità esatta del fenomeno è tuttavia difficile, se non impossibile, da stimare con precisione.

712 Polk sull’impatto delle normative imposte nel 1858: “Long before the Balfour Declaration, which is

often seen as the fount of all contention over Palestine, the inarticulate but ancient peasantry had slipped a rung on the ladder which was to lead them down into the refugee camps in 1948”. W.R. POLK, D.H. STAMLER, E.ASFOUR (eds.), Backdrop to tragedy: the struggle for Palestine, Beacon, Boston 1957, p. 236.

713 W

the coastal plain, who were reckoned as the small proprietors of the country and who sometimes practices the musha‘ system, strenuously denied that they had any landed property whatever, simply to save the cost of title deeds. Others parted with their property for a nominal sum to landowners. In this way, many fellaheen lost legal control of their patrimony.714

Espedienti in linea con quelli appena descritti non erano del tutto nuovi nella storia della regione. In percentuali molto più contenute già all’inizio del Settecento si era assistito a processi simili. Già allora, a causa delle ingenti tasse e di un progressivo indebitamento, alcuni fellaḥin si rivolsero a ricchi notabili locali, perdendo a distanza di tempo la facoltà di reclamare le loro terre. L’entità del fenomeno innescato dalle disposizioni del 1858 non ebbe tuttavia alcun precedente storico.715

Ciò fu dovuto in primis al sistema imposto dalla Porta e ai relativi timori (tasse e coscrizioni), ma anche al nuovo contesto che in quegli stessi anni si venne a creare in Palestina; quest’ultima scoprì infatti un’economia fondata sull’esportazione dei propri prodotti, a partire da un “increased grain export for Europe, especially for England”.716

La connessione tra mercato e sistema agricolo contribuì a creare distinzioni sempre più marcate all’interno dei villaggi locali, favorendo così il logoramento del sistema alla base del mushâ.717

È nel quadro finora delineato che andrebbe letta la scelta presa da un numero crescente di contadini di vendere, a prezzi nominali, i loro diritti alla coltivazione della terra: decisioni sovente dettate dall’impossibilità di onorare i debiti contratti a causa di quelle stesse tasse che proprio i fellaḥin, a differenza dei beduini e dei commercianti nei centri urbani, non potevano esimersi dal pagare.718

A beneficiare di queste acquisizioni furono per lo più

714 K. S

TEIN, The Land Question in Palestine, Univ. of California Press, Chapel Hill 1984, pp. 20-21.

715 Ciò a dispetto del fatto che, come sottolineato da Doumani, “the emergence of a market in land and the

rise of an urban-based large landowning class were rooted in long-term transformations that preceded the promulgation of the 1858 Land Code [...] the purchase and sale of nominally miri, or state land was taking place as early as the late 1830s”. B. DOUMANI, “Rediscovering Ottoman Palestine: writing Palestinians into

history”, in I. PAPPÉ, The Israel/Palestine question, Routledge, Londra 1999, p. 19.

716 ISA RG 160/2881-P. Finn, 29 nov. 1851. 717 G. B

AER, Population and society in the Arab East, Routledge, Londra 2003, p. 149.

718 I contadini erano particolarmente esposti al vessante sistema tributario ottomano. A differenza dei

beduini, essi erano infatti legati a specifiche località. Inoltre, a differenza dei commercianti presenti nei centri urbani, essi non disponevano dei mezzi necessari per corrompere i funzionari preposti.

grandi proprietari terrieri “assenteisti”, ovvero clan familiari non residenti in loco.719

La presenza di tali latifondisti (effendi), concentrati in particolare sulla fertile zona costiera, facilitava il compito di chiunque avesse avuto interesse ad acquistare grandi appezzamenti di terreno. Ciò permetteva infatti di evitare di contrattare con i singoli coltivatori, eludendo gli inevitabili conflitti che ciò avrebbe comportato. Benchè i grandi proprietari terrieri “assenteisti” fossero meno numerosi nel contesto palestinese rispetto ad altre regioni del Mediterraneo Orientale,720

furono proprio loro a vendere negli anni a seguire la marcata maggioranza (tra l’80 e il 90 percento del totale)721

dei terreni acquistati sul posto dalle organizzazioni sioniste – la percetuale restante venne venduta per lo più grazie ai “samasirah”, personalità arabe che, come il sindaco di Tulkarem ‘Abd al-Rahman Hajj Ibrahim, lavorarono a scopo di lucro come intermediari tra venditori e acquirenti – nonchè da gruppi correlati alle diverse confessioni cristiane. Tibawi descrisse tale processo nei seguenti termini:

The peasants [...] were easily persuaded to sell their prescriptive rights to the land they cultivated for nominal prices, to the rich who grew richer in the process. It was members of this rich class of absentee landlords who made large profits by selling to the early Zionists extensive land acquired in this way or by other means.722

Il resoconto fornito da Tibawi permette di introdurre un aspetto sovente poco sviluppato nelle analisi dedicate al tema. Il riferimento è alla tanto comune quanto inesatta percezione che la storiografia sull’argomento ha mostrato in relazione alla popolazione rurale musulmana, ovvero quegli stessi fellaḥin che vendettero la percentuale maggioritaria delle terre entrate nell’orbita degli effendi, “assenteisti” e no. Non di rado si è infatti dato per scontato che, essendo in stragrande maggioranza musulmani, i fellaḥin fossero in qualche modo più tutelati rispetto alle minoranze presenti in loco (ad esempio

719 Grossman ha sottolineato che nel giudicare le speculazioni dei “proprietari assenteisti” è opportuno

tenere in conto i gravi rischi “that occasionally left them bankrupt”. GROSSMAN, Rural Arab cit., p. 89.

720 W

ARRINER, Land and poverty cit., p. 65.

721 90 percento secondo il “Rapporto Shaw” del 1930, il quale citò al riguardo fonti del KKL. Negli anni

seguenti la percentuale scese all’80 percento. POLK, Backdrop cit., p. 236.

722 A. T

IBAWI, A Modern history of Syria, including Lebanon and Palestine, Macmillan, New York 1969, p. 176. Sul processo che portò nelle mani dei “proprietari assenteisti” ampi appezzamenti di terra cfr. W.

gli ebrei, i cristiani, i protestanti, inclusi i Templari giunti in Palestina nel 1868).723

Si tratta tuttavia di una semplificazione che, in relazione alle ultime decadi del XIX secolo, le fonti primarie tendono a rigettare. Quando negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento la Palestina si trovò alle prese con una stagnazione avvertita da ogni settore della popolazione locale – aggravata da carestie, riduzione dei raccolti, aumento esponenziale dei prezzi, nonchè dalle coscrizioni in massa imposte a tutti gli uomini disponibili a supporto delle guerra combattute dalla Porta (a cominciare dalla Guerra russo-ottomana del 1877-1878) – furono proprio i fellaḥin l’anello più debole, quello più ricattabile ed esposto a possibili soprusi. Essi, i quali fino al decennio a cavallo del XX secolo rappresentavano la grande maggioranza della popolazione locale, erano infatti gli unici a non avere alle proprie spalle una grande potenza alla quale appellarsi e sulla quale contare. Non solo i fellaḥin non avevano alcun accesso diretto alle ‘stanze del potere’ a Costantinopoli, ma in più, proprio a causa della loro peculiare fragilità, furono i primi a soffrire la corruzione e il dispotismo della Porta. Ad avere una chiara percezione di quanto appena sostenuto non furono solo i diretti interessati. Al contrario, una delle analisi più accurate al riguardo venne prodotta nel 1879 dal console Noel Temple Moore. Per la sua chiarezza concettuale essa merita un rilievo particolare:

[...] Wheat and grain are at double their normal prices [..] instead of combating these evils by remedial measures, the conduct of those in authority greatly aggravates them. The corruption and endless abuses in every branch of Turkish provincial administration are too well known [..] the greatest sufferers thereby are incontestably the Mussulman rural population, the bone and sinew of the country, and whose numbers, as compared with that of the non-Mussulman inhabitants is as four to one. Whilst every other community can, and does, in case of need, appeal to the protection and symphathy of powerful advocates, the Mussulman has no one to look to. The actual governor Arifi Pasha is [...] deficient in energy and

KHALIDI, Palestine Reborn, Tauris, Londra 1992, p. 70.

723 L’arrivo dei Templari in Palestina rappresentò uno dei fenomeni più significativi nel processo legato alla

penetrazione europea nella regione. In contrasto con il comune modo di operare delle potenze europee, le quali si affidavano per lo più alla costruzione di chiese, ospedali e scuole, i Templari si insediarono in loco creando comunità e colonie destinate a un rapido radicamento.

initiative [..] In strong contrast with this inertia of the rulers of the country is the activity deployed by foreigners [...] the several German settlements are prospering, whilst the influx continue of foreign Jews, mostly Polish and German, who, availing themselves of the right now professed by foreigners of holding real estate in Turkey, are buying land and building houses in all directions [corsivi aggiunti].724

Con il passare dei decenni – in particolare dopo la Prima guerra mondiale – quegli stessi acquisti effettuati “in all directions” ai quali accennò Moore vennero pianificati in modo molto più massiccio e soprattutto sempre più oculato. Un’ampia percentuale delle “proprietà fondiarie degli ebrei” presenti in Palestina, passate dai 22,500 dūnum (un dūnum corrisponde a circa mille metri quadrati) del 1882 ai 1,734,000 del 1947,725

furono ad esempio scelte nelle aeree in cui sussisteva – nelle parole di Avraham Granott (1890- 1962), direttore del Keren Kayemeth le-Israel (Fondo Nazionale Ebraico; da ora KKL)726 dal 1922 al 1945 – il “danger of a political change in favour of the Arabs”.727

Più nel dettaglio gli acquisti vennero effettuati “precisely on distant frontiers to the east and the north”,728

con il dichiarato scopo di creare “faits accomplis”729

in previsione della nascita di uno Stato ebraico.

Sovente, per ragioni del tutto differenti, anche alcune delle principali organizzazioni cristiane interessate all’acquisto dei terreni si concentrarono su specifiche aree. Un caso esemplare fu quello della Palestine Model Farm (PMF), attiva dal 1857 – l’anno in cui la Porta emise un invito ufficiale ai cittadini europei interessati ad insediarsi nelle regioni dell’Impero scarsamente popolate – con lo scopo di fornire lavoro agli ebrei convertiti dai missionari protestanti. Benchè parte degli appezzamenti acquistati dalla PMF fossero

724 ISA RG 160/2881-P. N.T. Moore. Gerusalemme, 30 lug. 1879. 725 A. G

RANOTT, La Politique Agraire Mondiale et l’expérience d’Israël, Presses Universitaires de France, Parigi 1957, p. 18. I terreni in questione vennero acquistati dal KKL, dalla PICA e da “acquirenti privati”.

726 Il KKL, organizzazione “incorporated in England and registered as a foreign company and having a

registered office in Palestine”, era per l’appunto impegnata a sostenere i “Jewish settlers in Palestine”. ISA RG 31/34/1-PNK. A. Granott, 1 nov. 1934.

727 A. G

RANOTT, Agrarian reform and the record of Israel, Eyre, Londra 1956, p. 37. Granott chiarì che “the course of events subsequently completely justified these activities, which called for great exertion and accurate foresight [...]. All those parts to which the Jewish settler had penetrated were included within the state, whereas those where they were not strong enough, or did non have time to plant stakes, remained for the most part outside”. Ibid.

dichiarati “non coltivati”, numerosi dispacci mostrano la grande attenzione da loro riservata alle terre “profitably cultivated by arabs”, le quali, anche grazie alle fragili condizioni in cui versavano i venditori, potevano essere rilevate a condizioni vantaggiose.730 A questo riguardo già nel 1855, al termine di quella che può essere

considerata la riunione fondativa del PMF, venne rilasciata la seguente “dichiarazione di intenti”:

It appears advisable to purchase private property as a basis of operations [...] The neighbourhood of Jaffa or Ramla seems to be most advisable for the commencement of a moderate settlement. Near Cesarea, and on the plain of Esdraelon, are extensive and fertile plans very profitably cultivated by Arabs [corsivo aggiunto], and also between Tiberias and Nazareth are very useful tracts which it is believed might be obtained on favourable terms. 731

Proprio la piana di Esdraelon (valle di Jezreel, o Marj Ibn Amer), una delle cinque principali distese pianeggianti presenti nella regione,732

da secoli nota come il “granaio della Palestina”, fu l’area che registrò un numero consistente delle operazioni intraprese dai “proprietari assenteisti”,733 nonchè quella che catalizzò gran parte degli sforzi della

Palestine Jewish Colonization Association (PICA),734

del KKL e della Palestine Land Development Company (fondata nel 1908 da Arthur Ruppin nell’ambito dell’Organizzazione sionista): un’ampia percentuale della terra entrata in possesso di tali 729 Ibid.

730 L’interesse non venne focalizzato solo sulle terre coltivate dagli arabi, bensì più in generale sugli

appezzamenti che si prestavano con più facilità allo scopo: “The work that could be most easily taken up – riporta un rapporto dalla Free Church of Scotland nel maggio 1895 – and that would be most likely to pay, is the cultivation of land. The soil is reach in more than historic associations”. BOL – CMJ – 63/8.

731 BOL – CMJ – D62/15. La riunione venne effettuata a casa di Samuel Gobat, a Gerusalemme. Oltre allo

stesso Gobat, la delibera venne firmata anche da J. Bowen, al tempo vescovo in Sierra Leone.

732 Le altre sono la piana costiera tra Rafah e il Monte Carmelo (la quale nella parte settentrionale

comprende la Piana di Sharon), la Piana di San Giovanni d’Acri (a nord di Haifa), la Valle di Hula (a est