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Dalle profezie all’impero

1. L’inclusione della Palestina

La Guerra di Crimea fu un evento storico dai molteplici risvolti, alcuni dei quali epocali. Ad essa è infatti possibile associare i primi movimenti e le prime riforme di orientamento democratico a essere introdotte in alcuni paesi a maggioranza musulmana. Nel 1861 il bey (“signore”) di Tunisi introdusse per la prima volta nel mondo islamico una costituzione scritta; cinque anni dopo vennero effettuate in Egitto le prime elezioni e nel 1876 fu promulgata la prima costituzione ottomana – tutti eventi collegati al fatto che essa rappresentò la prima guerra in cui soldati ottomani ed europei combatterono fianco a fianco contro un nemico comune. Oltre a ciò, esso costituì il primo conflitto in cui le notizie dai fronti vennero comunicate via telegrafo e stampate quasi in presa diretta dai quotidiani dell’epoca. Una novità che, anche grazie alle prime foto scattate sui campi di battaglia, diede un’eco senza precedenti alle vittorie delle sia pur incompiute democrazie occidentali ai danni del dispotico Impero russo.428

Nel contesto più circoscritto della Palestina, la Guerra di Crimea rappresentò una svolta non meno decisiva. Fu infatti da allora che s’impose a Londra l’idea secondo cui “a Jewish client state in Palestine” fosse vitale per gli interessi coloniali britannici, “particularly to India”.429

Fu sempre allora, precisamente nel maggio del 1854, che in una richiesta straordinaria inviata dal ministro degli Esteri britannico George Villiers (1800- 1870) alle autorità ottomane venne richiesto al sultano un permesso affinchè fosse accordata agli ebrei la facoltà di possedere dei terreni nella “Grande Siria”.

Per alcuni studiosi questa guerra fu poco più che un tentativo anglo-francesce di opporsi alla politica aggressiva della Russia nello stretto dei Dardanelli. La risposta, tuttavia, è più complessa e va ricollegata all’annosa questione dei “Lieux Saints”, secondo

428 Durante il conflitto i missionari furono molto attivi nella distribuzione delle Scritture. Edmund Hornby

(1825-1896), nominato nel 1857 giudice-capo della Corte Suprema Britannica di Costantinopoli notò che durante la Guerra di Crimea “the British and Foreign Bible Societies and several missionary bodies were extremely active amongst the Turkish soldiers especially amongst the non-commissioned officers, in distributing copies of the New Testament, thus when the term of service of these soldiers expired, many Bibles found their way into Turkish families throughout the Country”. TNA FO 78/1851. Hornby all’allora ministro degli Esteri John Russell (1792–1878). Costantinopoli, 26 lug. 1864.

l’espressione adottata dalla diplomazia europea durante le lunghe trattative che precedettero lo scoppio del conflitto. Più precisamente le pretese francesi e russe sul diritto a detenere la custodia delle chiese di Terra Santa – non implicante alcun possesso, in quanto negato ai cristiani in accordo con il Corano – si andavano a sommare a strategie sempre più invasive per garantire la protezione dei sudditi ottomani di fede cattolica (Francia)430

e ortodossa (Russia). In particolare la Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme si era progressivamente trasformata in una sorta di mosaico nel quale trovavano spazio le diverse confessioni cristiane. Latini, greci, copti, armeni, abissini e siri, tutti articolati in innumerevoli sottodivisioni,431

erano visti dai sovrani del vecchio continente come strumenti in ultima analisi funzionali alle loro rivendicazioni politiche. Queste ultime erano più che mai prioritarie ora che l’Impero ottomano – secondo un’opinione sempre più diffusa – era vicino al collasso. Una tale commistione di interessi fece sì che luoghi sacri come la Basilica della Natività di Betlemme, o lo stesso Santo Sepolcro, fossero non di rado teatro di risse efferate per motivi apparentemente futili. Di seguito un resoconto scritto al riguardo da Karl Marx nell’aprile del 1854:

Imagine all these conflicting peoples beleaguering the Holy Sepulchre, the battle conducted by the monks, and the ostensible object of their rivalry being a star from the grotto of Bethlehem, a tapestry, a key of a sanctuary, an altar, a shrine, a chair, a cushion – any ridiculous precedence!432

Le cause immediate dello scoppio della guerra furono dunque le tensioni franco-russe, cattolico-ortodosse, legate ai luoghi santi in Palestina. Il rinnovato interesse di Parigi per 429 G.M. L

EVINE, The Merchant of Modernism, Routledge, New York 2003, p. 48.

430 Anche la Spagna divenne sempre più insistente nei decenni a seguire, al punto che la Porta decise di

esporsi in maniera perentoria per chiarire di non aver “jamais accepté un droit de protectorate quelconque en faveur de la Couronne d’Espagne sur des Establishments religueux ou de bienfaisance étrangers de nationalité tierce”. BOA HR.HMŞ.IŞO 89/24. Said Halim Pasha (1865-1921) alla delegazione spagnola. 7 feb. 1915.

431 Si pensi ad esempio al caso dei latini e degli ortodossi. I primi erano articolati in cattolici romani,

maroniti e greco-cattolici. Gli ortodossi erano ancora più frazionati. La ‘galassia’ greco-ortodossa riconosceva l’autorità del patriarca di Costantinopoli, fedele al sultano; quella russa-ortodossa aveva nello zar il proprio leader spirituale; la comunità ellenico-ortodossa del Fener (quartiere di Costantinopoli/Istanbul a maggioranza greca) aveva come propria autorità di riferimento il monarca greco e il sinodo di Atene. A dispetto delle evidenti divisioni già dal 1774, a seguito del trattato di pace di Küçük Kaynarca, Caterina II di Russia (1729-1796) interpretò il trattato come un diritto a proteggere i cristiani ortodossi sudditi della Porta, inaugurando una pretesta mai sopita.

432 M

la questione era stato innescato dalla volontà di Luigi Bonaparte (1808-1873) di conquistarsi l’appoggio dei cattolici conservatori nelle fasi antecedenti al colpo di stato che lo portò ad essere nominato imperatore nel 1851 con il nome di Napoleone III. In particolare quest’ultimo – interessato a spostare l’attenzione dell’opinione pubblica francese lontano dalla politica interna – richiese al sultano (1850) l’applicazione del firman del 1740, grazie al quale i cattolici si erano visti confermare433

dalla Porta una serie di privilegi tra cui la custodia del Santo Sepolcro, della Tomba della Vergine, del Getsemani e della Basilica della Natività. Tale fragile status quo434

venne tuttavia presto violato. Nel 1767 gli ortodossi, a seguito dell’ennesimo violento scontro avvenuto con i francescani nei pressi del Santo Sepolcro, riuscirono infatti a corrompere il visir ottomano e a ricevere dal sultano un nuovo firman grazie al quale ottennero la custodia di gran parte della Chiesa del Santo Sepolcro, nonchè la Basilica della Natività e la Tomba della Vergine. Con il passare del tempo i privilegi accordati ai cattolici nel 1740 vennero ulteriormente erosi per via della schiacciante supremazia numerica dei pellegrini ortodossi diretti in Terra Santa. Negli anni Quaranta dell’Ottocento si stima che essi avessero superato la controparte cattolica di circa cinquecento volte: uno squilibrio che aveva ovviamente anche evidenti risvolti economici e politici.

Il sultano ‛Abdul-Mejīd (1823-1861) – che il giudice-capo della Corte Suprema Britannica di Costantinopoli Edmund Hornby definì “weak and indifferent”435

– si trovò dunque tra due fuochi, offrendo garanzie spesso conflittuali le une con le altre. La Francia, ovvero il Paese che per primo aveva issato pochi anni prima (1843) una propria

433 Si parla di “conferma” in quanto già nel 1690 un apposito firman indicò i francescani come legittimi

custodi del Santo Sepolcro. Tale decisione venne presa al culmine di molti decenni di “rovesciamenti di fronte” tra cattolici e ortodossi. Si pensi solo che tra il 1630 e il 1637, sotto il dominio di Murad IV (1623- 1640), varie parti de Santo Sepolcro passarono in sei occasioni dal controllo di una confessione all'altra.

434 Con l’espressione status quo s’intende la situazione in cui si trovavano e si trovano le comunità cristiane

nei luoghi santi presenti in Terra Santa e la loro relazione con le autorità politiche locali. Esso regola all’interno dei vari santuari il modo in cui le varie confessioni si divisono gli orari e la durata delle funzioni, gli spazi a loro disposizione, nonchè i percorsi e i modi in cui sono officiate le funzioni. Ancora oggi lo status quo è regolato dai firmani settecenteschi. In particolare il firman del 1767 – il quale decretava che lo status quo, cioè la situazione vigente dal 1767, dovesse essere mantenuto – venne confermato dalla Porta nel 1852 e rimane tuttora la base delle attuali disposizioni in materia.

435 TNA FO 78/1851. Hornby a Russell. Costantinopoli, 26 lug. 1864. Secondo Hornby il sultano era “too

bandiera nazionale a Gerusalemme,436

premeva per affermare il suo ruolo strategico, arrivando a minacciare un intervento armato se Costantinopoli non avesse assecondato le sue pretese. Lo zar Nicola I (1796-1855) non solo esigeva il diritto di proteggere la Chiesa ortodossa, bensì l’intera popolazione ortodossa residente nell’Impero ottomano, ovvero circa un terzo del totale dei suoi abitanti. Per imporre le proprie strategie e opporsi alle mire francesi, lo zar optò per una serie di azioni aggressive nei Balcani e nel Mar Nero, poi sfociate nella battaglia di Sinope, il conflitto che segnò l’avvio della Guerra di Crimea, nonchè l’annientamento della flotta turca per mano della flotta navale russa. A fianco del sultano, in seguito a tale schiacciante vittoria, intervennero Gran Bretagna e Francia. Un Impero russo con un tale peso marittimo e con accesso diretto al Mediterraneo era considerato un pericolo sufficiente a giustificare l’entrata in guerra di una potenza protestante (la Gran Bretagna)437

a fianco di un impero musulmano (quello ottomano). Il tutto in chiave anti-russa, dunque contro un impero cristiano.

1.1. “Jewish client state”

Nel contesto della presente analisi non è necessario approfondire ulteriormente le contingenze legate alla Guerra di Crimea. Ci interessa invece il ruolo ricoperto nella questione da Londra, nonchè le ricadute dirette sul contesto palestinese. In particolare sono i due fattori citati in precedenza – la prospettiva di un “Jewish client state” in Palestina funzionale al governo di Sua Maestà e le pressioni sulla Porta affinchè fosse concessa agli ebrei la facoltà di possedere dei terreni nella “Grande Siria” – a destare interesse. Il primo era in qualche modo legato agli stessi obiettivi della Guerra di Crimea: “The real causes [of the Crimean War] – notò lo storico Philip Warner – were simple enough. Britain had an empire stretching round the world. One of its most valued parts was India. If any country threatened the line of communication through the east, that country must be checked”.438

436 Young commentò la disposizione delle bandiere “on the French Agents’ houses” sottolinenado che non

ci fosse alcun precedente “for hoisting a flag in Jerusalem, and there appears to be no local advantage to be gained [...]”. ISA RG 160/2881-P. Young a Rose, 24 lug. 1843.

437 Al termine della guerra il primo ministro Aberdeen fu costretto a dimettersi a causa del modo in cui essa

venne condotta. Gli successe Palmerston, nonostante quest’ultimo avesse avuto un ruolo nell’entrata in guerra della Gran Bretagna.

438 P. W

Ma quali motivazioni pratiche supportavano l’idea che un “Jewish client state” in Palestina fosse la giusta chiave d’accesso per l’India? L’Inghilterra, scrisse Gawler nel 1849, “most urgently need the shortest and safest lines of communications to the territories already possessed”.439 Nel medesimo articolo Gawler sottolineò altresì che “a

foreign hostile power [...] would soon endanger British trade”, sollecitando dunque Londra ad affidarsi ai “real children of the soil, the sons of Israel”, al fine di scongiurare una tale evenienza. Gawler – sempre più influenzato dalle tesi di John Thomas (1805- 1871),440

suo punto di riferimento in America – faceva in questo modo eco a una convinzione piuttosto diffusa nei corridoi di Londra.

L’opportunità che la Palestina potesse ospitare “the old tenant [the Jews] with a new landlord [Great Britain]”441

era suffragata dalla convinzione, condivisa anche dal già citato Edward L. Mitford, che il reinsediamento degli ebrei avrebbe posto il controllo delle comunicazioni delle navi a vapore britanniche interamente nelle mani di Londra. Le navi a vapore – che proprio negli anni Quaranta conobbero un decisivo sviluppo – andavano a quei tempi a carbone; le imbarcazioni necessitavano dunque di un numero elevato di porti nei quali attraccare per fare rifornimenti. Ciò fece ben presto accantonare le rotte che circumnavigavano l’Africa in favore del tragitto Mediterraneo-Mar Rosso, presso cui era utilizzato il metodo del trasbordo a Suez (il canale di Suez venne aperto solo nel 1869).

Furono centinaia le personalità britanniche che intimarono al governo di Sua Maestà l’urgenza di prendere possesso dei corridoi verso l’India.442 L’Inghilterra sembrava in

questo senso predestinata a ‘educare’ i popoli dell’Est: “The genius of England – notò nel 1853 Charles Henry Churchill – which seems so peculiarly fitted to lead and govern the

439 Cit. in “The Scottish Christian Journal”, v. I, Edimburgo 1853, p. 217.

440 Thomas, fondatore del movimento dei cristadelfiani e convinto millenarista, pubblicò nel 1849 Elpis

Israel (“La speranza di Israele”). In esso preannunciò la nascita dello Stato d’Israele e il ruolo che la Gran Bretagna avrebbe avuto in tale processo: “I know not whether the men, who at present contrive the foreign policy of Britain, entertain the idea of assuming the sovereignty of the Holy Land, and of promoting its colonization by the Jews; their present intentions, however, are of no importance one way or the other, because they will be compelled, by events soon to happen, to do what, under existing circumstances, heaven and earth combined could not move them to attempt. [...] The finger of God has indicated a course to be pursued by Britain which cannot be evaded”. J. THOMAS, The coming struggle among the nations of the earth, Maclear, Toronto 1853, p. 93.

441 T

populations of the East [...]”.443

Il popolo ebraico era considerato un mezzo più che mai utile per mettere Londra in condizione di esercitare tale ruolo. Nelle parole di Thomas Clarke:

If England, again, is [...] relying upon its commerce as the cornerstone of its greatness; if one of the nearest and best channels of that commerce is across the axis of the three great continents; and if the Jews are essentially a trading [...] people, what so natural as that they should be planted along that great highway of ancient traffic?444

Da strumento utile ad avverare le profezie bibliche, gli ebrei diventarono sempre più un potenziale mezzo per garantire le rotte e i propositi geostrategici britannici. Ciò comprendeva anche il possibile sostegno che essi avrebbero potuto garantire ai soldati di Sua Maestà “in the event of another aggressive movement of the Emperor of Russia”.445

Considerazioni pratiche, le stesse che tra gli anni Settanta e gli Ottanta permisero a Londra di acquisire nel mondo il controllo di un milione e duecentocinquantamila miglia quadrate, si sovrapposero dunque ai falliti propositi di evangelizzare gli ebrei. Tale graduale cambio di percezione non cancellò ovviamente le radicate convinzioni – alcune ricollegabili all’antisemitismo, altre a ragioni umanitarie, altre ancora a motivazioni religiose – che avevano scandito i decenni e i secoli precedenti. Tuttavia la mutata attitudine dello stesso Ashley/Shaftesbury, ovvero la personalità più eminente tra quelle che nei decenni precedenti si erano impegnate per convertire “l’antico Popolo di Dio”, 442 “Any power – ammonì in un discorso tenuto nel 1853 alla Camera dei Comuni Austen Hennry Layard

(1817-1894) – holding those countries [Egitto e “Grande Siria”] would command India”. THE

PARLIAMENTARY DEBATES, v. 129, Londra 1853, p. 1775.

443 C

HURCHILL, Mount Lebanon cit., pp. v-vi.

444 S

OKOLOW, History cit., p. 139.

445 BLMS – AP – v. CCXVIII – add. 43256. William Gosling ad Aberdeen, 6 mag. 1854. Gosling era un

noto librario originario del Kent; la sua opinione è interessante nella misura in cui fotografa una percezione al tempo diffusa: “In an advertisement recently published by the ‘Palestine Land Company’ which appeared in the Hebrew Observer it is stated that there are 100,000 Jews ready at a moment’s notice to go back to their fatherland for the purpose of colonization, if they can be guaranteed protection from the Arabs and other wandering tribes. Now, as that country, especially Jaffa and its neighbourhood is ecceeding fertile, and abounds in minerals they could well afford to support the whole of the British Army for the protection which they would afford them and I believe so anxious are the Jews to return that in a few months they would be able to support an army of 100,000 men. My Lord, by adopting some such plan, our country would be financially relieved (!). A quiet and peaceable people, would be placed in their own land, and the army would be at hand in the event of another aggressive movement of the Emperor of Russia”.

era una prova emblematica a conferma del nuovo atteggiamento. Nelle analisi da lui espresse nel 1876 – attribuitegli da Barbara Tachman, Isaiah Friedman e da decine di ricercatori più o meno noti446

– c’è solo un flebile eco degli sforzi e delle convinzioni di un’intera vita:

Is there no other destiny for Palestine but to remain desolate or to become the appendage of an ambitious foreign power? The country wants capital and population. The Jews can give it both. And has not England a special interest in promiting such a restoration? It would be a blow to England if either of her rivals should get hold of Syria. She must preserve Syria for herself. Does not policy then – if that were all – exhort England to foster the nationality of the Jews and aid them, as opportunity may offer, to return as a leaving power to their old country? England is the great trading and maritime power of the world. To England, then, naturally belongs the role of favouring the settlement of the Jews in Palestine.447

L’evangelismo protestante non era dunque scomparso. Aveva cambiato in parte pelle, trasformandosi in un approccio tendenzialmente più razionale e confluendo in un fenomeno destinato a scandire l’intera seconda metà dell’Ottocento: l’imperialismo politico, con le sue inevitabili ricadute in ambito culturale. Un link nevralgico in questo processo fu rappresentato dal Palestine Exploration Fund, uno dei simboli più persuasivi di quella medesima strategia del voler standardizzare la complessità dell’“altro” che ha dato il là a questo lavoro.

2. L’imperialismo culturale. L’influenza del Palestine Exploration Fund