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1.3 Gli effetti della comunicazione finanziaria

1.3.2 Gli effetti sul costo del capitale

presenta una componente non diversificabile e, essendo trascurato dalle analisi tradizionali circa le scelte ottimali di portafoglio, non è compreso nel beta.

Il secondo indirizzo di studi teorici focalizza l’attenzione sul profilo dei costi di transazione, sostenendo che gli investitori sono disposti a investire meno nelle azioni che presentano costi di transazione più alti, il che si traduce in un costo del capitale più elevato per le aziende. Molti studi collegano poi i costi di transazione alle asimmetrie informative presenti tra l’azienda e i potenziali investitori, già esaminate con riferimento al problema dei limoni87, e alla scarsa liquidità del mercato, per cui una scarsa informativa al mercato e una ridotta liquidità delle azioni comportano costi di transazione più elevati, e di conseguenza un maggior costo del capitale88.

In questa prospettiva, le aziende comunicano più informazioni circa la loro situazione economico-finanziaria per ridurre i costi di transazione per gli investitori e di conseguenza possono ottenere un costo del capitale inferiore rispetto alle aziende che offrono un’informativa più scarna.

Questi studi, spesso implicitamente, si fondano sull’assunzione che la divulgazione di informazioni al mercato abbia come conseguenza una riduzione delle asimmetrie informative, effetto per molti versi intuitivo, ma in alcune condizioni messo in dubbio dalla teoria e non sempre supportato dall’evidenza89.

In estrema sintesi, entrambi gli indirizzi indicano la riduzione del costo del capitale come un effetto dell’informativa volontaria, derivante dalla preferenza degli investitori per l’investimento in azioni che presentano un rischio di stima ridotto, costi di transazione limitati e un basso livello di asimmetrie informative. Questi tre fattori,

P.GUEDES J.THOMPSON R., On the diversification, observability, and measurement of estimation risk, Journal of Financial and Quantitative Analysis, vol. 31, n. 1, 1996, pp. 69-84.

87 Si veda il paragrafo 1.1.

88 AMIHUD Y.MENDELSON H., Asset pricing and the bid-ask spread, Journal of Financial Economics, vol. 17, n. 2, 1986, pp. 223-249; AMIHUD Y. MENDELSON H., Liquidity and asset prices: financial management implications, Financial Management, vol. 17, n. 1, 1988, pp. 5-15; KING R.POWNALL G. WAYMIRE G., Expectations adjustment via timely management forecasts: review, synthesis, and suggestions for future research, Journal of Accounting Literature, vol. 9, 1990, pp. 113-144; DIAMOND D.W.VERRECCHIA R.E., Disclosure, liquidity and cost of capital, op. cit.; EASLEY D.O'HARA M., Information and the cost of capital, Journal of Finance, vol. 59, n. 4, 2004, pp. 553-584.

89 VERRECCHIA R.E., Essays on disclosure, op. cit. Per l’analisi di tali condizioni si rinvia a LUNDHOLM R., Price-signal relations in the presence of correlated public and private information, Journal of Accounting Research, vol. 36, n. 1, 1988, pp. 107-118; KIM O.VERRECCHIA R.E., Trading volume and price reactions to public announcements, Journal of Accounting Research, vol. 29, n. 2, 1991, pp. 302-321; KIM O.VERRECCHIA R.E., Market liquidity and volume around earnings announcements, op. cit.;

MCNICHOLS M.TRUEMAN B., Public disclosure, private information collection, and short-term trading, Journal of Accounting and Economics, vol. 17, n.1-2, 1994, pp. 69-94.

infatti, possono essere ridotti attraverso la comunicazione volontaria e la maggiore domanda per azioni con queste caratteristiche comporta un maggior prezzo del titolo, a cui corrisponde un minor costo del capitale.

Nonostante numerose ricerche empiriche abbiano affrontato questo tema90, l’ipotesi formulata ha trovato supporto solo in alcuni studi, conducendo nel complesso a risultati ancora parziali e talvolta contrastanti, che allo stato attuale non possono essere considerati risolutivi.

Prima di sintetizzare tali risultati, appare opportuno chiarire il concetto di costo del capitale e illustrare brevemente le modalità con cui è stato determinato dalla letteratura.

Innanzitutto, è necessario precisare che col termine costo del capitale la maggior parte degli studi fa implicito riferimento al costo del capitale di rischio (cost of equity capital), senza considerare il costo del capitale di debito (cost of debt capital).

Il costo del capitale di rischio (d’ora in poi semplicemente costo del capitale) è il minimo tasso di remunerazione richiesto dagli investitori azionari per fornire capitale all’azienda, e può essere descritto essenzialmente in due modi: sia come la somma del tasso di interesse per investimenti privi di rischio e del premio per il rischio non diversificabile dell’azienda91, sia come il tasso di sconto aggiustato per il rischio che gli investitori applicano ai futuri flussi di cassa attesi per ottenere il prezzo corrente dell’azione92.

Dal momento che il costo del capitale non è direttamente osservabile sul mercato, i ricercatori hanno fatto ricorso a stime ottenute secondo diversi metodi fondati sulle definizioni appena esposte.

90 Per una panoramica della letteratura sull’argomento, si veda BOTOSAN C.A., Disclosure and the cost of capital: what do we know?, Accounting and Business Research, Special issue: International Acounting and Policy Forum, 2006, pp. 31-40.

91 In formula:

prem

f r

r

r = +

dove:

r: costo del capitale;

rf: tasso di interesse per investimenti privi di rischio;

rprem: premio per il rischio non diversificabile dell’azienda.

92 In formula:

=

+

= +

1

1

τ τ1 ττ

) (

) (

r Div Pt E

dove:

Pτ: prezzo dell’azione al tempo τ;

Eτ(Div1+τ): flussi di cassa futuri attesi al tempo τ;

r: costo del capitale.

Un primo approccio seguito da numerosi studi si basa sull’utilizzo di fattori di rischio di entità predeterminata per ricavare stime esplicite del costo del capitale. Tra le tecniche di questo tipo maggiormente adottate rientra per esempio il modello CAPM (Capital Asset Pricing Model), per cui il costo del capitale è ottenuto come la somma tra il tasso di interesse per investimenti privi di rischio e il prodotto del premio per il rischio atteso dal mercato per il rischio aziendale misurato dal beta93. Tale metodo, nonostante il largo utilizzo, presenta diversi aspetti critici: infatti, da un lato la stima delle variabili (in particolar modo del premio per il rischio e di beta) comportano la necessità di fondarsi su dati storici, che potrebbero non essere in grado di rappresentare anche le dinamiche future, dall’altro alcuni studiosi hanno messo in dubbio la completezza del modello stesso, affermando che il beta non racchiude tutti gli elementi di rischio valutati dal mercato94.

In ogni caso, le stime ottenute attraverso modelli di questo genere sono di scarsa utilità nello studio dell’impatto della disclosure sul costo del capitale: infatti, dal momento che questi metodi considerano il costo del capitale una funzione di alcuni fattori di rischio specifici, individuare un’associazione negativa tra informativa volontaria e costo del capitale porterebbe piuttosto a osservare tale legame tra l’informativa e gli specifici fattori di rischio presi in considerazione, per cui il supporto teorico è decisamente inferiore.

La seconda classe di metodi si basa invece sulla seconda definizione e stima il costo del capitale attraverso il calcolo del tasso interno di rendimento (TIR) che attualizza le aspettative del mercato in relazione ai futuri flussi di cassa ottenendo il prezzo corrente dell’azione. In questo modo, la stima si fonda sul prezzo dell’azione, osservabile sul mercato, e sulla stima delle aspettative del mercato, su cui incide fortemente la scelta del valore finale.

Le stime ottenute attraverso alcuni di questi metodi sono state di maggiore utilità per gli studi sugli effetti della disclosure sul costo del capitale, sia per la validità dei

93 In formula:

]) [

( t m f

f E r r

r

r = +β −

dove:

r: costo del capitale;

rf: tasso di interesse per investimenti privi di rischio;

β: beta;

Et[rm-rf]: premio per il rischio atteso dal mercato al tempo t.

94 Per un approfondimento circa l’utilizzo del modello CAPM, che esula dagli obiettivi del presente lavoro, si rinvia a FAMA E.F.FRENCH K.R., Size and book to market factors in earnings and returns, Journal of Finance, vol. 50, n. 1, 2004, pp. 131-155.

modelli95, sia per il fatto che le stime ottenute non sono funzione di specifici fattori di rischio, per cui non pongono assunzioni e limitazioni di fondo circa il tipo di rischi che vengono trasferiti nel prezzo dell’azione. Ciò nonostante, preme ricordare che anche tali modelli presentano alcune criticità, in particolare con riferimento alla stima delle aspettative del mercato, per cui molti ricercatori hanno fatto ricorso alle previsioni degli analisti, che tuttavia potrebbero non coincidere con le aspettative del mercato e in ogni caso limitano l’analisi alle aziende con maggiore analyst following.

Tali complessità hanno indotto gli studiosi all’adozione di numerose proxy e a proseguire nella ricerca di metodi alternativi per la stima del costo del capitale, al fine di ottenere dei risultati definitivi negli studi su questo tema, i quali, come già anticipato, presentano in alcune aree evidenze ancora parziali o contrastanti.

Con riguardo agli effetti della disclosure sul costo del capitale, le ricerche empiriche hanno seguito diversi approcci: un primo gruppo di studi ha indagato tale associazione utilizzando misure indirette del costo del capitale, quali indicatori del rischio, dei costi di transazione e delle asimmetrie informative, un secondo insieme di ricerche ha focalizzato l’attenzione sulle scelte di disclosure effettuate in occasione dell’accesso al mercato dei capitali, mentre altri hanno utilizzato direttamente stime del costo del capitale.

I primi studi hanno analizzato la relazione tra informativa e costo del capitale attraverso l’impatto della comunicazione sul rischio totale e sul rischio non diversificabile, utilizzando come proxy la deviazione standard dei rendimenti azionari per la stima del primo e beta per la stima del secondo. Con questo approccio, due ricerche hanno indagato gli effetti dell’informativa di segmento su tali variabili, ma di questi solo uno osserva effetti in termini di rischio non diversificabile96, mentre l’altro indica effetti della disclosure solo in relazione al rischio totale97. Tali risultati, al di là della convergenza solo parziale, non sono risolutivi per via delle già citate criticità

95 Botosan e Plumlee hanno valutato la validità dei cinque modelli maggiormente utilizzati nello studio del costo del capitale (intesa come il grado con cui le stime sono associate al rischio aziendale in maniera stabile e significativa), esprimendo giudizi positivi per due metodi basati su questo secondo approccio;

tuttavia, la validità di questi modelli non può essere provata senza possibilità di errore dal momento che il costo del capitale non è una grandezza osservabile. BOTOSAN C.A. PLUMLEE M.A., Assessing alternativa proxies for the expected risk premium, The Accounting Review, vol. 80, n. 1, 2005, pp. 21-53.

96 PRODHAN B.K. HARRIS M.C., Systematic risk and the discretionary disclosure of geographical segments: an empirical investigation of US multinationals, Journal of Business Finance and Accounting, vol. 16, n. 4, 1989, pp. 467-492.

97 DHALIWAL D.S.SPICER B.H.VICKREY D., The quality of disclosure and the cost of capital, Journal of Business, Finance and Accounting, vol. 6, n. 2, 1979, pp. 245-266.

relative al debole legame tra il rischio beta e il rischio di stima e all’utilizzo del modello CAPM per lo studio degli effetti della disclosure.

Studi più recenti hanno poi ottenuto risultati di un certo interesse98 adottando diverse misure indirette del costo del capitale, rappresentate da indicatori dei costi di transazione e delle asimmetrie informative quali i bid-ask spread relativi99, il turnover dell’azione100 e la deviazione standard dei rendimenti. Oltre alle evidenze delle ricerche che hanno indagato gli effetti della disclosure sul bid-ask spread (per cui si rinvia a quanto già esposto al paragrafo precedente), un’ulteriore conferma indiretta di tali effetti, seppur limitata alla categoria dell’informativa di segmento, è costituita dall’associazione tra la diffusione di dati aggiuntivi e l’aumento della capitalizzazione di mercato, in linea con l’ipotesi di un minor costo del capitale101.

Un secondo filone di ricerca ha quindi indagato la relazione tra informativa e costo del capitale attraverso l’analisi del comportamento dei manager in occasione del ricorso al mercato, valutando così se essi abbiano comportamenti coerenti con l’idea che una maggiore disclosure riduca il costo del finanziamento. Tali studi, già richiamati a proposito delle motivazioni alla base dell’informativa volontaria con riferimento all’ipotesi relativa alle transazioni sul mercato dei capitali102, effettivamente documentano una maggiore disclosure da parte delle aziende che si rivolgono al mercato dei capitali, suggerendo che tale comportamento possa portare all’azienda benefici in termini di costo del capitale.

Tale ipotesi è testata direttamente da un crescente nucleo di studi relativamente recenti condotti adottando stime del costo del capitale senza l’utilizzare altre variabili come proxy.

Il primo studio empirico effettuato con questo approccio103 ha cercato di individuare un’associazione negativa tra disclosure e costo del capitale utilizzando un

98 Per i risultati di questi studi, essenzialmente focalizzati sul bid-ask spread, si rinvia a quanto già esposto nel sottoparagrafo precedente.

99 Calcolati come bid-ask spread rapportati ai prezzi medi.

100 Calcolato come il rapporto tra il volume degli scambi e il flottante.

101 PIOTROSKI J.D., The impact of newly reported segment information on market expectations and stock prices, op.cit.

102 Si rinvia al paragrafo 1.2.2 per l’esame dei risultati delle singole ricerche.

103 BOTOSAN C.A.,Disclosure level and the cost of equity capital,The Accounting Review, vol. 72, n. 3, 1997, 323-349.

indice costruito ad hoc per la valutazione dell’informativa di bilancio e le stime degli analisti relative ai flussi di cassa e al valore terminale per la stima delle aspettative del mercato. I risultati, relativi al settore manifatturiero e a un unico esercizio, hanno evidenziato un’associazione negativa tra costo del capitale e disclosure volontaria solo con riferimento alle aziende con scarsa copertura da parte degli analisti finanziari.

A questa hanno fatto seguito ricerche condotte su aziende canadesi104 e svizzere105 che supportano l’ipotesi formulata, tuttavia devono essere interpretate con cautela a causa di alcune criticità emerse in relazione alla validità dei metodi adottati.

La prima, riguardante l’effetto dell’informativa finanziaria e sociale sul costo del capitale, ha infatti evidenziato un’associazione negativa tra la quantità e la qualità della disclosure di tipo finanziario contenuta nel bilancio e il costo del capitale con riferimento alle aziende con scarsa copertura da parte degli analisti. Lo studio condotto su un campione di aziende svizzere non finanziarie ha poi osservato un’associazione negativa e fortemente significativa tra la qualità della disclosure, misurata da un indice costruito con riferimento all’informativa di bilancio, e il costo del capitale. Come anticipato, tuttavia, entrambi gli studi presentano problemi di validità, dal momento che hanno stimato il costo del capitale adottando un modello di discounted residual income106 che conduce a stime del costo del capitale debolmente legate al rischio, come messo in luce da ricerche successive107.

Per quanto riguarda il settore finanziario, l’effetto dell’informativa volontaria sul costo del capitale è stato documentato in uno studio108 condotto su 135 aziende bancarie europee, nordamericane e australiane che ha evidenziato un’associazione negativa tra le variabili. I risultati hanno inoltre mostrato che sono le informazioni sulla gestione del rischio quelle che influenzano maggiormente il costo del capitale e che le banche europee sono soggette a una maggiore riduzione del costo del capitale rispetto alle altre aziende del campione.

104 RICHARDSON A.J.-WELKER M., Social disclosure, financial disclosure and the cost of equity capital, Accounting, Organizations, and Society, vol. 26, n. 7-8, 2001, pp. 597-616.

105 HAIL L., The impact of voluntary corporate disclosure on the ex-ante cost of capital for Swiss firms, The European Accounting Review, vol. 11, n. 4, 2002, pp. 741-773.

106 In particolare si veda il modello introdotto in GEBHARDT W.R. LEE C.M.C. SWAMINATHAN B., Toward an implied cost of capital, Journal of Accounting Research, vol. 39, n. 1, 2001, pp. 135-176.

107 BOTOSAN C.A.PLUMLEE M.A., Assessing alternativa proxies for the expected risk premium, op. cit.

108 POSHAKWALE S.COURTIS J.K., Disclosure level and the cost of equity capital: evidence from the banking industry, Managerial and Decision Economics, vol. 26, n. 7, 2005, pp. 431-444.

Risultati contrastanti109 sono stati invece ottenuti con riferimento alla relazione tra il costo del capitale e il ranking predisposto dagli analisti circa diverse forme di disclosure aziendale (bilanci, relazioni trimestrali, altre relazioni pubbliche, investor relation), testata su un campione di aziende appartenenti a settori diversi110. L’evidenza empirica ha indicato infatti che tale relazione è negativa per quanto concerne il ranking dell’informativa di bilancio, mentre è positiva (e quindi in contrasto con l’ipotesi formulata) se si prende in considerazione il ranking delle relazioni trimestrali e degli altri documenti pubblici, e non significativa con riferimento alla valutazione dell’attività di investor relation111 .

Quest’ultimo risultato, in particolare, fa seguito all’ipotesi avanzata da alcuni112 che le evidenze contrastanti potessero derivare dalla mancata inclusione nell’analisi di alcune forme di disclosure, conducendo tuttavia a osservazioni diverse rispetto a quelle attese. Una possibile spiegazione potrebbe essere ricercata in alcuni recenti studi113, che suggeriscono che alcuni tipi di informativa possono a loro volta generare informativa privata, aumentando il livello di asimmetrie informative e di conseguenza il costo del capitale. Diversamente, il risultato ottenuto con riferimento alle relazioni trimestrali potrebbe derivare dall’elevato interesse che questo tipo di disclosure riveste per gli investitori istituzionali che seguono politiche di investimento aggressive e di breve termine114, i quali potrebbero con la loro attività di trading incrementare la volatilità del titolo, con effetti negativi sul costo del capitale.

Tali riflessioni evidenziano come, nonostante il crescente numero di indagini teoriche ed empiriche sull’argomento, rimangano ancora numerose zone d’ombra che le future ricerche sono chiamate ad analizzare.

109 BOTOSAN C.A.PLUMLEE M.A., A re-examination of disclosure level and the expected cost of equity capital, Journal of Accounting Research, vol. 40, n. 1, 2002, pp. 21-40.

110 La ricerca è stata effettuata sull’osservazione di 3.618 combinazioni azienda-anno, con un campione composto da aziende manifatturiere, bancarie e di servizi.

111 Per approfondimenti relativi alle attività di investor relation e ai loro effetti, si rinvia al capitolo successivo.

112 BOTOSAN C.A.,Disclosure level and the cost of equity capital,,op. cit.

113 BARRON O.E. HARRIS D.G. STANFORD M., Evidence on the existence of private event-period information around earnings announcements, The Accounting Review, vol. 80, n. 2, 2005, pp. 403-421;

BOTOSAN C.A.PLUMLEE M.A.XIE Y., The role of private information precision in determining cost of equity capital, Review of Accounting Studies, vol. 9, 2004, pp. 233-259.

114 BUSHEE B.J. NOE C.F., Corporate disclosure practices, institutional investors and stock return volatility, Journal of Accounting Research, vol. 38, Supplement, 2000, pp. 171-202.

Oltre alle ricerche citate, è interessante ricordare uno studio115 condotto su questo tema con una metodologia del tutto differente e alquanto insolita per la letteratura che si occupa di disclosure: la relazione tra informativa volontaria, liquidità e costo del capitale è stata infatti indagata in un contesto sperimentale, osservando che la disclosure ha effetti positivi sia sulla liquidità (che aumenta) sia sul costo del capitale (che diminuisce). L’esperimento ha evidenziato che le informazioni hanno un effetto diretto sui prezzi, poiché gli investitori gravati da minori incertezze sui flussi di cassa sono disposti ad acquistare a prezzi più elevati, e un effetto diretto sulla liquidità, dal momento che induce a comprare a prezzi più alti e a vendere a prezzi più bassi.

L’informativa ha un impatto indiretto su queste grandezze anche quando gli investitori sono soggetti a shock della domanda: in tale contesto, infatti, gli investitori sono disponibili ad acquistare a un prezzo superiore azioni per cui hanno accesso a un’informativa più ampia, poiché questa comporta una maggiore liquidità del titolo, che riduce la pressione sui prezzi in caso di necessità di vendita.

Infine, appare opportuno richiamare una ricerca condotta sulla relazione tra la disclosure e il costo del capitale di debito116, che ha evidenziato un’associazione negativa tra il rating attribuito dagli analisti finanziari all’informativa aziendale considerata nel suo complesso (bilancio, relazioni trimestrali, comunicati, altre relazioni e incontri con gli analisti) e il costo del debito, in linea con l’ipotesi che la comunicazione finanziaria riduce il rischio percepito dai soggetti finanziatori, e di conseguenza il costo del capitale di debito.