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L’emigrazione nel primo Novecento

Nel documento La questione sarda tra Otto e Novecento (pagine 184-195)

A partire dal 1897 alcuni commercianti continentali (romani e napole- tani), allettati dal bassissimo prezzo del latte sardo, impiantano caseifici nell’Isola. L’arcaico sistema pastorale subisce una repentina trasformazio- ne dall’irruzione dell’industria casearia: i pastori sono indotti ad abbando- nare i criteri di produzione, fino ad allora adeguati per un economia inter- na che largamente funziona ancora col sistema del baratto, per far fronte alla richiesta di un mercato italiano ed internazionale, che costringe ad in- crementare il numero degli ovini e la superficie da dedicare al pascolo. Il bisogno di terre restringe fortemente le aree coltivate, espellendo contadini e braccianti dalla terra, fa salire alle stelle i canoni di affitto e provoca un generale e notevole rincaro del costo della vita100.

La crisi che travolge l’economia pastorale è anche quantificabile nell’enorme calo dei valori di esportazione di prodotti fondamentali, quali il bestiame, i vini, i cereali, le pelli, il carbone vegetale, tra il 1887 ed il 1889, appunto perché i francesi ne erano i principali acquirenti101. È pos-

100 I. Pirastu, Il banditismo, cit., pp. 57 e 62: «Nel 1907, nel circondario di Lanusei (Aritzo, Arza-

na, Atzara, Barisardo, Belvì, Desulo, Escolca, Gairo, Ilbono, Ierzu, Isili, Lanusei, Nurri, Seui, Ussassai) le terre coltivate occupavano solo 16.796 ettari sugli oltre 300 mila ettari complessivi, poco più del 5%». L’autore trae i dati sul circondario di Lanusei dal Villa Santa Condizioni eco-

nomiche di un circondario della Sardegna, Torino 1914, p. 50.

101 I. Pirastu, Il banditismo, cit., p. 58: i valori, in lire dell’epoca dell’esportazione sono i seguenti:

bestiame da lire 73.584 (’87) a lire 19.860 (’89), vini da lire 433.811 (’87) a lire 2.881 (’89), cere- ali da lire 250.395 (’87) a lire 50.041 (’89), pelli da lire 946.990 (’87) a lire 373.212 (’89), carbo- ne vegetale da lire 847.990 (’87) a lire 5.926 (’89).

sibile affermare, dunque, che ai primi del ’900 si chiude il cerchio anche per i pastori che in pochi anni, cioè entro il 1908 hanno più che raddoppia- to il numero dei capi ovini per adeguarsi all’aumentata richiesta dei mer- cati aperti e si sono adattati a pagare assai alti canoni d’affitto per i nuovi pascoli necessari. Ma presto anche quei mercati si saturano, i prezzi troppo alti fanno sfumare il guadagno, mentre il prodotto resta invenduto102. Il fallimento di poco precedente di varie banche sarde che hanno rastrellato enormi capitali nelle campagne, completa il quadro103.

In campo nazionale sono gli anni del primo governo di Francesco Cri- spi (1887-1891), del codice Zanardelli (1889), della “apertura” alle braccia italiane delle colonie dell’Eritrea e dei territori di Obbia e dei Migiurtini; ma sono anche gli anni dei Fasci dei lavoratori di Sicilia e dell’assassinio in Francia, ad Aigues Mortes, di alcuni emigrati italiani104. Tutto ciò in un quadro generale in cui la classe al potere vede l’emigrazione sia come «ammortizzatore della decadenza dei ceti medi rurali (piccola proprietà) e urbani», sia, specie quella temporanea dequalificata, come meccanismo di espulsione di un semi proletariato, turbolento e socialmente temibile, dal processo politico e sindacale italiano. E il Crispi vede nell’emigrazione perfino un sistema per non affollare le patrie galere. Dal canto suo Andrea Costa, e il movimento operaio socialista, vedono nell’emigrazione una spia di malgoverno, ma anche un fenomeno coinvolgente ceti sociali me- ridionali e veneti remissivi, “marxianamente” annegati «in rapporti di pro- duzione non compiutamente capitalistici» e perciò destinati a scomparire, in quanto non utilizzabili per la lotta di classe. Errico Malatesta parlava di «diserzione dalla lotta»105.

102 Si passò dagli 844.851 capi del 1881 ai 1.876.741 del 1908. Cfr. “Annuario statistico italiano

1844”, pp. 450-451; “Bollettino di notizie agrarie”, n. 32, novembre 1901; G. Alivia, Economia e

popolazione della Sardegna settentrionale, Gallizzi, Sassari 1931, pp. 404-406; G. Della Maria, Il patrimonio zootecnico sardo, in Atti del XII Congresso Geografico italiano, SEI, Cagliari 1935,

pp. 435 e ss; E. Pampaloni, L’economia agraria della Sardegna, Ed. italiana, Roma 1947, pp. 171-179; L. Coda, La Sardegna nelle crisi di fine secolo, Dessì, Sassari 1977, pp. 144-146, F. Cherchi Paba, Evoluzione storica, cit., vol. IV, pp. 396 e ss.

103 La Cassa di Risparmio di Cagliari fallisce nel 1886, il Credito Agricolo Industriale Sardo (i cui

buoni agrari, surroganti la carta moneta, hanno raccolto 8 milioni di lire tra pastori e contadini) nel 1887, la Banca Agricola Sarda subito dopo. Il Pais Serra denuncia la mancata vigilanza del Governo nonostante i solleciti.

104 All’articolo 452 dell’edizione del 1906 di Napoli, il Codice recita: «Chiunque, senza licenza

dell’autorità, apre arruolamenti è punito da lire cinquanta a mille» dove per arruolamento si in- tende ingaggio di emigrati.

105

È un quadro piuttosto drammatico e cupo quello entro cui nascono e muoiono iniziative private e statali per il controllo del fenomeno migrato- rio, come la “Società pel patronato degli emigrati italiani” del senatore To- relli (1875), oppure come il Commissariato generale dell’emigrazione (1901), di cui gli emigrati diffidano. É sulle rovine di queste che, a partire dagli anni ’90, nascono i tentativi dei cattolici e dei socialisti volti a con- seguire il controllo politico-sociale del fenomeno migratorio. Esso, infatti, viene affrontato dal pensiero sociale cattolico, mentre il ritorno dei “pen- dolari” allarma le gerarchie ecclesiastiche, poiché quelli, che si ritiene rientrino “scristianizzati” e non conformisti, sono considerati un pericolo per una tranquilla gestione delle aree contadine arretrate, da sempre tradi- zionale roccaforte della Chiesa. Nel contempo, però, questa individua nell’emigrazione una «solida testa di ponte gettata anche negli ambienti socio-culturali e religiosi più ostili, come gli Stati Uniti anglosassoni e protestanti e comunque dominati dalla diffidente e chiusa Chiesa cattolica irlandese»106.

Gli anni 1896-1897, sono anche quelli di un nutrito esodo di contadini sardi verso il Brasile: liquidate le proprietà, intere famiglie si imbarcano per lo Stato di Minas Gerais, dove trovano una miseria peggiore di quella lasciata in Sardegna, tanto che quasi tutti dopo qualche tempo rientrano. Questo particolare fenomeno migratorio, che giunge in ritardo rispetto ai flussi italiani e meridionali, ha una spiegazione puntuale: la crisi del setto- re agricolo degli anni successivi al 1888, viene avvertita in Sardegna con notevole ritardo poiché l’insieme di riforme e trasformazioni, attuate nell’Isola tra il 1835 e il 1859, aveva indotto, almeno in apparenza, un mi- glioramento delle condizioni di vita ed un aumento dell’occupazione; inol- tre la forza di coesione delle comunità rurali e le opportunità di sopravvi- vere al limite della sussistenza ingigantivano il timore del salto delle fron- tiere ed il timore di un giudizio negativo da parte delle comunità locali107. È opportuno notare che le aree interessate dall’esodo del 1896-1897 com-

106 Ibidem, cit., p. 22. 107

M. Lo Monaco, L’emigrazione dei contadini sardi in Brasile negli anni 1896-97, estratto da “Rivista di Storia dell’Agricoltura”, giugno 1965, pp. 1-33; citato da M. Rudas, l’Emigrazione cit., p. 19 e nota 28. Sulla ritrosia del sardo a distaccarsi dalla sua terra, e segnatamente dal suo villaggio, fenomeno che contribuisce solo in parte a spiegare il “ritardo” rispetto all’avvio dell’emigrazione rispetto al meridione, si sofferma in pagine indimenticabili M. Le Lannou, Pâ-

tres et paysans de la Sardaigne, Tours 1941 e, in edizione anastatica, La Zattera, Cagliari 1971,

opera tradotta e presentata da M. Brigaglia, Pastori e contadini di Sardegna, Della Torre, Cagliari 1979.

prendono comuni che si dislocano sulle direttrici delle principali strade di comunicazione, e comunque comuni non lontani dai capoluoghi circonda- riali dell’epoca. Ciò permette di porre in diretta relazione le aree colpite con l’opera assidua, capillare, della rete di agenti ed agenzie, enti religiosi anche, che organizzano i flussi di espatrio, una vera e propria tratta di braccia verso il Brasile ed altri paesi, ma anche un esodo di donne di ser- vizio verso il continente e verso i luoghi di missione108. Dal canto loro, i pochi contadini sardi rimasti in Brasile si erano stanziati soprattutto sull’altopiano del Sul nella Matta, tra Ouro Preto e Diamantina, contri- buendo in qualche modo alla nascita di una consistente rete di agenti per l’emigrazione che avrebbe continuato ad operare fino alle soglie del primo conflitto mondiale.

Il giovane Stato italiano intanto vedeva una consistente crescita demo- grafica che rendeva ancora più gravi le condizioni di miseria del Meridio- ne e delle Isole, però in Sardegna la crescita è molto più lenta (come anche in alcune zone depresse del Nord tra cui le Venezie e Valli Alpine). Si in- tensifica perciò in questi anni l’emigrazione stagionale verso paesi come Francia e Svizzera e quella definitiva verso le Americhe e l’Africa del Nord. L’inchiesta agraria nazionale, condotta a partire dal 1877 da Stefano Jacini, documenta le condizioni delle classi contadine meridionali ed il fe- nomeno terribile del trasferimento di interi villaggi meridionali all’este- ro109.

L’analisi dei dati del censimento del 1901 in Sardegna fornisce in mol- ti casi un’eccedenza di femmine dovuta alla già cospicua emigrazione di maschi. E, cosa ancor più importante, la conferma del quasi inesistente in- cremento demografico proprio per effetto dell’emigrazione. I numeri complessivi di abitanti della Sardegna per le diverse fasi fin qui percorse sono i seguenti: per il 1848, 552.052 abitanti; per il 1857, 573.115; per il 1861, 588.564; per il 1871, 636.660; per il 1881, 682.002 e per il 1901, 791.754110. È vero che fino alla metà del secolo XIX in Sardegna si è

108 M. Lo Monaco, cit., p. 14; M.L. Gentileschi, Sardegna, cit., pp. 17-18: «solo più tardi (1881-

1901) l’emigrazione sopravanzerà l’immigrazione».

109 Atti della Giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, vol. XIV, i

cui fascicoli I e II sono costituiti dalla relazione di Francesco Salaris per la Sardegna. In I. Pirastu,

Il banditismo, cit., pp. 55-56.

110 F. Corridore, Storia documentata della popolazione in Sardegna, 1479-1901, Torino 1902,

Ristampa anastatica A. Forni, Sala bolognese 1996. Lo stesso autore in La popolazione di Sassari

(dal sec. XV ai nostri giorni), in “Archivio Storico Sardo”, V (marzo 1909), p. 61 scrive: «la po-

sempre o quasi registrata una prevalenza delle femmine sui maschi ma sembra che solo a partire dai primi anni del Novecento ciò sia da addebita- re all’emigrazione111. Agli albori del secolo la grande depressione econo- mica che affligge la Sardegna è attenuata dall’apertura del mercato ameri- cano ai formaggi dei caseifici, ormai saldamente impiantati, dall’organiz- zazione moderna della produzione e della commercializzazione di vini e liquori del Campidano; ma la lievitazione sensibile del prezzo dei prodotti agricoli provoca il rincaro dei beni di prima necessità e ancora larghe fa- sce di braccianti e contadini poveri emigrano in Argentina, Panama, o vanno a lavorare nelle miniere algerine e tunisine112. E il malcontento po- polare questa volta esplode: nel 1904 a Buggerru, dove i minatori, in scio- pero per questioni salariali e sindacali, lasciano sul terreno tre caduti du- rante lo scontro con la forza pubblica; due anni dopo dilagano sanguinose rivolte in varie parti dell’Isola. A Cagliari gli strati più diseredati della po- polazione si abbandonano a devastazioni represse coi fucili dei soldati; nel Campidano prima e poi nella zona settentrionale della Sardegna il brac- ciantato agricolo dà l’assalto ai caseifici, considerati la causa scatenante del rincaro dei beni di prima necessità. È questa la fase in cui il socialismo raccoglie proseliti tra i minatori dell’Iglesiente, i braccianti di Bonorva, i cittadini di Tempio.

A Cagliari la scintilla che fece scoppiare l’incendio scaturì dalla rispo- sta negativa, soffusa di arrogante disinteresse che del sindaco Ottone Ba- caredda alle sigaraie della Manifattura tabacchi che protestavano per il forte rincaro del prezzo del pane. Il suo atteggiamento di chiusura provocò un estendersi dell’agitazione, l’assalto ai forni, la distruzione della tram- via, le cui carrozze vennero gettate a mare. Non mancavano motivi politi- persone per fuoco. I maschi ascesero a 18.971 e le femmine a 19.297 con una eccedenza di 326 sugli uomini. La prevalenza delle femmine sui maschi si deve all’unico fatto che s’era già svilup- pata l’emigrazione, la quale in Sardegna suole essere ancora quasi esclusivamente di uomini, es- sendo la donna sarda più di ogni altra attaccata alla terra nativa, alla casa che la vide nascere. Ef- fetto dell’emigrazione è lo scarso incremento della popolazione, la quale in 19 anni e 40 giorni diede un aumento di 1951 abitanti».

111

Ibidem, p. 63: «La popolazione del secolo XVII è pressoché stazionaria con oscillazioni irre- golari, nel secolo XVIII aumenta lievemente e senza interruzione, nel secolo XIX si raddoppia. Fino alla metà del secolo scorso la prevalenza numerica delle femmine sui maschi fu costante, poi s’invertirono le parti, e al principio del secolo ventesimo è stata nuovamente segnalata un’ecce- denza di donne per il fatto dell’emigrazione degli uomini».

112

C. Bellieni, La lotta politica in Sardegna dal 1848 ai giorni nostri, in La Sardegna nel Risor-

gimento, cit., p. 462. L’autore accenna anche alla crisi agricola del decennio precedente, che ave-

ci, legati alla lotta tra fazioni e consorterie locali, per cui sulla stampa cor- sero accuse di sobillazione popolare e di sfruttamento del malcontento113. In realtà le ragioni delle sollevazioni erano diverse a seconda dei luoghi e profonde, come in qualche modo dimostra l’esempio della tramvia extra- urbana del Campidano che collegava Quartu, Quartucciu, Selargius, Mon- serrato, Pirri e Cagliari-Porto e che, inaugurata il 3 settembre 1893, era nata allo scopo di rendere rapido ed economico il trasporto dei mosti e dei vini della zona toccata, ricca di impianti di distillazione. Ma ovviamente prese subito piede il traffico di tutte le altre merci, mentre esplodeva il servizio passeggeri. I trasporti mediante carro (a buoi o a cavalli) entraro- no in crisi e i numerosi carrettieri che da questa attività campavano con le loro famiglie si trovarono presto sul lastrico. Da questa disperazione la di- struzione delle carrozze e dei carri della linea tramviaria durante l’agi- tazione114.

In questo contesto il villaggio di Quartu, ad esempio, è uno dei centri ove, oltre alla sollevazione comune a molti altri centri dell’isola contro le condizioni di miseria, e oltre al malessere locale legato alla crisi dei tra- sporti su carro, si sviluppavano ed emergevano anche germi rivoluzionari: elementi anarchici, socialisti e repubblicani, che hanno fatto proseliti nella piccola e media borghesia locale, penetrano nello strato diseredato della popolazione, portato alla disperazione dalle ricorrenti crisi agrarie. L’archivio comunale è incendiato, così i locali della Conciliatura, le loco- motive della tramvia capovolte; il tutto al grido di “Viva la Repubbli- ca!”115. A Villasalto, sempre nel 1906, la rivolta produce sei morti in se- guito allo scontro con i Carabinieri, comincia il primo grande esodo mi- gratorio dal Gerrèi: centinaia di persone, interi gruppi familiari, partono per Argentina, Brasile, Stati Uniti d’America, Francia, e Belgio116.

Nel contempo e quasi specularmene le condizioni di miseria di coloro che non partono producono la progressiva concentrazione delle terre e del-

113 Ibidem, cit., p. 462.

114 Guida storica-turistica di Quartu S.E., p. 81 a cura di G. Zambrini e A. Murineddu, 1959. Il 18

agosto 1879 il Comune di Quartu delibera una prima volta a favore della costruzione della linea ferroviaria; il 3 giugno 1881, esaminati i progetti, delibera definitivamente la concessione gratuita dell’area dell’ex Convento dei Cappuccini e si fa carico delle spese di esproprio dei privati terre- ni; con atto 9.9.1888 è stipulata la convenzione tra il Comune di Quartu ed i fratelli Devoto per la durata di anni 50 a partire dal giorno dell’apertura della linea al pubblico servizio.

115 Quartu quale città, monografia a cura di B. Cadoni, settembre 1978, p. 20. 116

le greggi nelle mani dei Printzipales, i quali chiudono il cerchio pratican- do l’usura a tassi anche del 36%117.

Per quanto riguarda i dati riferibili all’intera Sardegna, il movimento migratorio si intensifica sempre più: negli anni tra il 1901 e il 1905 la me- dia è di oltre duemila espatriati all’anno, nel 1904 si superano i quattromi- la, mentre nel 1906 si tocca la cifra di 6.672. Negli anni tra il 1907 ed il 1914 la media di espatri resta sempre sopra i cinquemila, mentre gli anni 1907, 1910 e 1913 annoverano punte sopra i diecimila118. Inoltre, mentre nel periodo tra il 1900 ed il 1904 il flusso migratorio è da mettere in rela- zione alla crisi indotta dall’avvio degli impianti di caseificazione, che pro- vocano una notevole estensione delle terre a pascolo e una forte contrazio- ne delle superfici coltivate (ed i luoghi di approdo degli emigrati sono co- stituiti dalla fascia costiera nordafricana); nel 1905 è individuabile una corrente transoceanica di espatrio, che cresce negli anni successivi119. Così il raddoppiarsi dell’entità degli espatri nel 1907 rispetto al 1906 è frutto della grave situazione che era appena sfociata nella rivolta propagatasi in tutta l’Isola, ed il dimezzamento degli anni 1908 e 1909 corrisponde ai «mancati raccolti nei luoghi di destinazione», cioè nord-africani120. Infine il nuovo incremento del 1912-13 (rispettivamente 9.131 e 12.274) è il pro- dotto delle «terribili annate di siccità che si manifestarono durante il trien- nio 1912-14 quando questa aiutata dall’afta epizootica determinò una tre- menda morìa di bestiame»121.

Se ce ne fosse ancora bisogno, ad ulteriore riprova del fatto che l’emigrazione sarda, sia negli anni precedenti sia in quelli di cui a questo punto si tratta, è sempre misera, il Lei Spano offre un prospetto delle ri- messe totali dei sardi emigrati per gli anni dal 1911 al 1916, dal quale ri- sulta che la media pro-capite è ampiamente inferiore a quella calcolata per

117 Ivi, nessuno poteva pagare interessi così alti, per cui i debitori perdevano i terreni migliori, e

«finivano così alle dipendenze dei nuovi proprietari come servi pastori, braccianti o mezzadri».

118 Le condizioni di estrema prostrazione economica in cui versa l’isola negli anni tra il 1901 ed il

1906 trovano immediato riscontro nell’entità del flusso emigratorio, a riprova del fatto che ormai l’emigrazione è l’unica risposta di sopravvivenza.

119 G.M. Lei Spano, La Questione sarda, Torino 1922, ripubblicato per excerpta in Antologia sto- rica della questione sarda, a cura di L. Del Piano, con prefazione di L. Bulferetti, Padova, 1959,

p. 299 (capitolo XXIII, pp. 19-30 e 47-61 della edizione di Torino del 1922); A. Boscolo, L. Bul- feretti, L. Del Piano, Profilo storico economico, cit., pp. 183-186.

120 G.M. Lei Spano, cit., in Antologia Storica, cit., p. 300. 121 Ibidem.

gli emigrati meridionali122. Una notevole lievitazione della stessa si verifi- ca nel corso dei primi anni della guerra, poiché molti realizzano tutto ciò che possiedono in terra di emigrazione, nella prospettiva di un ritorno in Sardegna. Ma, immediatamente dopo, il flusso si stabilizza sulle medie indicate in precedenza. Pochi sono i villaggi sardi, dunque, che ricavano qualche vantaggio dall’emigrazione. Bolotona, Buddusò, Pattada, Ittiri, rivelano, secondo il Lei Spano123, sintomi positivi, ma nessuna frazione rilevante del risparmio dell’emigrato in Sardegna viene utilizzata per l’impianto di attività produttive e che comportino qualche rischio.

In definitiva si andavano avverando le previsioni di Pais Serra sui tanti problemi della Sardegna, ad esempio quello del manifestarsi ciclico del banditismo. La sua relazione finale, come abbiamo visto, aveva tratteggia- to fedelmente le condizioni in cui l’Isola versava, ma le proposte conclu- sive erano state modeste riducendosi alla richiesta di una legislazione spe- ciale124. Ed infatti le leggi speciali del 1897 e del 1902 non incisero anche perché non furono integralmente applicate. Anche per questo nel 1907, ad integrazione e correzione delle due precedenti, venne varata, pertanto, una terza legge, ed una quarta nel 1909 le quali, configurando un vero e pro- prio testo unico, presero il nome da Francesco Cocco Ortu, il ministro dell’agricoltura del tempo. Queste ultime erano nate in alternativa alla cre- azione di un Commissariato civile, istituito per la Sicilia, ma che in ipotesi

122 Idem, cit., pp. 60-61 e Antologia storica, cit., a cura di L. Del Piano, p. 308; A. Boscolo, L.

Bulferetti, L. Del Piano, Profilo storico economico, cit., alla nota 37 di p. 185; N. Rudas, L’emi-

grazione, cit., tavola V, p. 18, dove, per un refuso, in luogo della data 1916 appare quella 1918. 123 G.M. Lei Spano, La Questione sarda, cit., pp. 50-52; ripreso in A. Boscolo, L. Bulferetti, L.

Del Piano, Profilo storico economico, cit., pp. 183-186: a Bolotona, Buddusò e Pattada l’emigrazione «fece sparire il famulato, e dette al lavoratore la coscienza dei suoi diritti di fronte alla tradizionale prepotenza signorile che da secoli lo teneva in soggezione; coscienza che comin- ciò a manifestarsi con lo spirito di associazione, con scopi apertamente manifesti di una indipen- denza amministrativa e politica per potere, sulla base della medesima, costruire la propria eleva- zione economica e intellettuale». A Ittiri i braccianti rientrati si costruirono il cosiddetto “villag- gio americano”, su terreni ceduti gratuitamente dal Comune.

Nel documento La questione sarda tra Otto e Novecento (pagine 184-195)