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La rete viaria

Nel documento La questione sarda tra Otto e Novecento (pagine 85-87)

Nel 1861 il sistema viario rendeva i centri abitati della Sardegna in condizioni di generale isolamento. L’unica strada praticabile che collegava Cagliari a Porto Torres era servita giornalmente da due diligenze, mentre del tutto assente era una rete ferroviaria1. I forestieri in arrivo nel capoluo- go non superavano mai il migliaio, mentre a Sassari l’afflusso dei viaggia- tori si manteneva sulle ottocento unità2. La vita sociale dell’Isola era spen- ta proprio in ragione delle difficoltà dei trasporti e delle vie di comunica- zione, e il ciclo della produzione e dei consumi si esauriva a contatto diret- to coi bisogni primari dei suoi membri.

Allo sviluppo di una rete stradale e ferroviaria adeguata, nonché a quello dei porti e delle linee di navigazione, era strettamente legato lo svi- luppo dell’agricoltura, dell’industria, e anche del commercio3.

Successivamente alla costruzione della strada centrale, che era stata completata entro il 1829, la “Carlo Felice” (ora “131”) che attraversava l’Isola da sud a nord, quasi nessuno dei progetti presentati per l’ammo- dernamento della rete stradale venne realmente portato a compimento4.

1 In mancanza di ferrovie il traffico si svolgeva a mezzo strade carrettiere. Per raggiungere Ca-

gliari occorrevano da Arixi 6 ore di viaggio, da Guasila oltre 6, da Seurgus oltre 7 (e sono questi villaggi relativamente vicini), da Orroli 10, da Villanovatulo, 11 da Sadali, 13 da Seui 14, da Ga- doni 15, da Ussassai e da Belvì 16 e da Desulo 18; cfr. E. Corda, Le contrastate vaporiere: 1864-

1984. 120 anni di vicende delle ferrovie della Sardegna dalle reali alle statali, dalle secondarie alle complementari, Chiarella, Sassari 1984, p. 17 e G. Sotgiu, Storia della Sardegna dopo l’Unità, Laterza, Roma-Bari 1986, pp. 139-141.

2 C. Lacchè, Com’è sorta la rete ferroviaria della Sardegna, in “Ingegneria ferroviaria”, n. 12,

dicembre 1975, p. 1.

3 Il 18 gennaio 1867 “Il Corriere di Sardegna” scriveva che la ricchezza dell’agricoltura consiste-

va nell’agricoltura stessa, che quindi occorreva quindi rigenerarla e per conseguire tale obbiettivo apparivano determinanti la costruzione delle strade ferrate, la disponibilità di capitali, la creazione di istituti di credito agricolo, le bonifiche e la colonizzazione delle terre.

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Dopo il primo piano predisposto dall’ingegnere Giovanni Antonio Carbo- nazzi5, che oltre quella strada longitudinale, prevedeva la realizzazione mai compiuta di una serie di strade trasversali che unissero le zone eco- nomicamente più interessanti ai porti principali, un secondo piano di co- struzioni stradali fu predisposto e reso esecutivo con la legge del 6 maggio 1850, ma il programma fu ostacolato da difficoltà di vario genere6.

La classe dirigente considerava urgente la costruzione di una rete stra- dale adeguata alle necessità dell’Isola; lo sviluppo dell’agricoltura dipen- deva largamente dalla possibilità di trasportare i prodotti ai mercati di con- sumo isolani, e da lì a quelli del continente.

La nuova legge del 1862, che autorizzava la spesa di oltre 18 milioni per il completamento della rete Carbonizzi, avrebbe dovuto essere attuata nell’arco di 11 anni. Tuttavia la costruzione delle strade procedette ancora con grande lentezza.

Nel 1868 un nuovo provvedimento legislativo pose la spesa per le stra- de comunali a carico dei comuni, ma in questo caso la sua attuazione fu resa vana anche dalle condizioni di povertà della maggior parte delle realtà locali dell’Isola.

Ancora nel 1872 il Consiglio Provinciale di Cagliari discuteva sulle modalità di finanziamento per le opere stradali più urgenti, che compren- devano le vie di accesso al porto e quelle verso i comuni del Campidano e del Sarrabus. La stampa, con “Il Corriere di Sardegna” in testa, si impegnò molto per offrire alla classe dirigente e agli intellettuali un terreno di ri- flessione su una tematica particolarmente cara all’opinione pubblica7.

L’isolamento nel quale erano costretti alcuni comuni aveva indotto fin dal 1871 Giovan Battista Tuveri, in quel periodo alla guida del “Corriere” a promuovere una petizione indirizzata alla deputazione provinciale per la costruzione di una grande strada centrale che da Illorai e Oniferi nel nuo-

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G. A. Carbonazzi, Discorso sulle operazioni stradali di Sardegna, Torino 1832.

6 Il progetto prevedeva la costruzione di una rete stradale capace di porre i principali centri

dell’Isola in comunicazione tra loro e con le coste marittime. Esso distingueva le strade in reali o statali, provinciali e comunali, in base alla rilevanza e all’ente che avrebbe dovuto provvedere al finanziamento. Il progetto, particolarmente dettagliato, indicava in 660 chilometri la lunghezza che avrebbero dovuto raggiungere le strade reali, in 789 quelle provinciali (benché ne esistessero al momento solo 29) ed in 687 quelle comunali, ferme allora a soli 32 chilometri.

Capitolo terzo 87

rese, toccando Ales, Collinas, Sardara, facesse capo alla stazione ferrovia- ria di S. Gavino8.

Il problema di maggiore rilievo, apparentemente trascurato dai vari go- verni della Destra storica, era l’incapacità da parte della maggior parte dei comuni isolani di sopportare i pesanti oneri che la costruzione delle strade faceva ricadere sui loro bilanci. Ancora il 12 maggio 1873 il Ministro dei Lavori Pubblici De Vincenti, nel presentare alla Camera la “Relazione sul- le strade comunali obbligatorie per l’anno 1872”, lamentava la scarsa ini- ziativa dei comuni sardi, i quali «sempre disposti a reclamare che altri fac- cia, non si persuadono poi che vi ha un campo ristretto sì, ma pur sempre importante, in cui è forza si sviluppi l’attività comunale».

Nel documento La questione sarda tra Otto e Novecento (pagine 85-87)