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Il periodo di preparazione (1856-1859)

Nel documento La questione sarda tra Otto e Novecento (pagine 39-43)

Nel 1856 il deputato Michelini presentò alla Camera un ordine del giorno contenente la proposta di un progetto di legge per l’abolizione degli usi collettivi sui terreni della Sardegna; lo faceva dopo l’approvazione di varie leggi che si inquadravano tutte nell’ampio piano tendente alla for- mazione ed al consolidamento della proprietà privata20. Era così iniziata la fase definitiva di un processo che avrebbe portato anche all’abolizione de- gli ademprivi e che si basava sempre su iniziative condotte senza tener conto della effettiva realtà locale, perché tendevano ad inserire e ad orga- nizzare una certa struttura di tipo imprenditoriale all’interno dell’arcaica, e pertanto impreparata, economia agro-pastorale sarda. Di fatto emerse subi- to una decisa opposizione non solo tra i pastori, ma anche tra i piccoli con- tadini: i ceti più poveri venivano privati di tutti i diritti d’uso proprio men- tre la loro situazione economica generale si aggravava in seguito ad un aumento sperequativo dei tributi21. Questi fenomeni fecero aumentare la to a quella piemontese. Secondo questo sistema interpretativo anche in ciò si poteva rintracciare uno dei numerosi aspetti della crescente divaricazione tra sistema protoindustriale e proletari da una parte, e plebi rurali relegate al regime del latifondo dall’altra, mentre per compiere un salto di qualità sarebbe stata necessaria una forza rivoluzionaria i cui elementi guida avrebbero potuto emergere solo da una borghesia avanzata. A questo punto Gramsci, ne La Questione meridionale avrebbe affermato che a tutto il Mezzogiorno borghese era mancata una classe intellettuale rivo- luzionaria, essendo essa piuttosto interessata verso l’integrazione nella carriera burocratica e nel settore terziario. Salvemini nel ‘49 a sua volta avrebbe rincarato la dose scrivendo che la classe intellettuale del Mezzogiorno era marcia.

20 Cfr. ad es.: legge 15 aprile 1851; legge 13 maggio 1851, n. 1179; legge 14 luglio 1852, n. 1408. 21

G. Sorgia, Banditismo e criminalità in Sardegna nella seconda metà dell’Ottocento, Fossataro, Cagliari, 1973, p. 17. G. Lilliu, Il diavolo in Sardegna, Stef, Cagliari 1973. Sulla politica fiscale in generale, la quale rientra completamente, anch’essa, nel discorso della totale incomprensione

svalutazione del valore commerciale della terra, agevolando ulteriormente i pochi detentori di capitale nell’acquisto di vaste estensioni e quindi nell’ampliamento dei comprensori destinati al latifondo. In Senato la di- scussione registrò l’impegno di Giuseppe Musio, espressosi in più di un’occasione contro l’approvazione della legge in virtù della sua esperien- za di magistrato e della estesa competenza sull’argomento che gli derivava anche dall’aver rivestito la carica di Segretario di Stato.

Il 22 giugno 1857 fu lo stesso Cavour, allora ministro delle Finanze, a presentare un progetto di legge per l’abolizione degli ademprivi e lo fece pur sapendo che in quella tornata parlamentare non poteva essere più di- scusso. Ma il modo in cui si espresse dimostra quanta importanza attri- buisse all’argomento: chiedeva infatti che il progetto venisse esaminato dai deputati, durante il periodo di chiusura estiva del parlamento, così da poterlo ripresentare, nella sessione successiva, ricco delle osservazioni suggerite dagli esperti su tale materia speciale22. Anche in questa circo- stanza il conte di Cavour si distingueva per la sua sottile abilità.

L’anno seguente, il 7 febbraio 1858, il ministro della Pubblica istruzio- ne e Finanze, Lanza, ripresentò il progetto, che però non ebbe miglior sor- te di precedenti, mentre quello presentato il 14 gennaio 1859 fu approvato dalla Camera il 3 marzo successivo23.

Il progetto di legge, nella forma in cui era stato presentato, confondeva terre, proprietari e «ademprivisti». Esso appariva viziato fin dalle fonda- menta, poiché ai comuni venne offerto dapprima un terzo e successiva- mente la metà dei terreni ademprivili. Questo genere di ripartizione, tutta- via, appariva inadeguato poiché avrebbe concesso ai singoli comuni lotti di terre talvolta superiori, talvolta inferiori alle reali necessità della comu-

del governo piemontese nei confronti della Sardegna cfr. M. M. Salaris, Note sull’imposta predia-

le e sulla politica fiscale nella seconda metà dell’Ottocento, in “Studi Sardi”, vol. XXIV, Sassari

1978.

22 Atti parlamentari, tornata del 22 giugno 1857. I fatti dimostrano che anche il Cavour, come del

resto gli altri uomini di governo che lo avevano preceduto, si interessò della Sardegna con molto cinismo. Arrivò persino a giustificare l’indiscriminato abbattimento delle foreste sostenendo che ciò avrebbe contribuito ad eliminare dall’Isola la piaga del banditismo; in realtà sapeva bene che uno tra i grossi appaltatori dei lavori di abbattimento era suo fratello.

nità24. La legge passò subito al Senato, ma lì si interruppe a livello di di- scussione il 19 aprile, per lo scoppio della seconda guerra d’indipendenza. Il Musio aveva definito gli ademprivi una sorta di «condominio» tra feudatario e comunità25 e, all’indomani dell’abolizione del sistema feuda- le, la soluzione del riscatto si era contraddistinta per un doppio accordo, il primo tra il feudatario ed il governo, in base al quale questo, accettando la rinuncia del titolare del feudo e dunque subentrandogli in tutti i diritti e doveri, si impegnava a pagare un determinato compenso; il secondo tra il governo stesso ed il comune. Il ministero calcolava i propri diritti in base alla somma che il feudatario doveva riscuotere dai comuni, e viceversa questi stessi misuravano i propri obblighi sulla base della somma che do- vevano pagare al feudatario.

Gli interventi del Musio, che rappresentò le proteste dei comuni forma- lizzate attraverso numerose petizioni, si dovettero confrontare con l’impegno a tutto campo di una consorteria di faccendieri e deputati, quel- la che la stampa democratica dell’epoca, “La Gazzetta Popolare” in testa, definiva la «camarilla cagliaritana». Tali personaggi, tra cui spiccavano Manno, Mameli, Baudi di Vesme, Massa Saluzzo, Serra, Falqui-Pes, Gri- xoni, Mastio, Santa Croce ed altri, approfittando dei pieni poteri esercitati dal Governo in concomitanza con la guerra d’indipendenza, tentarono con ogni mezzo di giungere all’approvazione del progetto di legge.

In realtà il vero errore fu quello di non cogliere la reale portata del un tale provvedimento; anziché farne una questione sociale, gli si volle attri- buire esclusivamente un carattere fiscale. Ecco perché è opportuno sof- fermarsi brevemente sulla legge per osservare alcuni articoli che dimo- strano con chiarezza le tendenze dominanti sia nella terraferma sia nell’Isola: eliminare la stessa nozione giuridica di diritto d’uso collettivo,

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Non tutti i comuni della Sardegna possedevano la stessa estensione di terreni ademprivili. La provincia più ricca di questi era quella di Cagliari (298.624 su un totale di 472.481), mentre quel- la di Sassari ne aveva solo 173.857. Fra i più dotati erano i circondari di Cagliari (115.637), Nuo- ro (89.195), Iglesias (81.048), Lanusei (67.955), Ozieri (56.505) ed Oristano (29.982), al contra- rio meno estesi erano i possedimenti di Sassari (10.115), Alghero (9.859) e Bosa (8.176).

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A. Solmi, Ademprivia. Studi sulla proprietà fondiaria in Sardegna, in “Archivio giuridico”, LXII (1903), pp. 411-448, e LXIII (1904), pp. 3-64, ora in A. Boscolo (a cura di), Il feudalesimo

che era un’espressione tipica del sistema tradizionale, per sostituirvi quella di proprietà perfetta.

Non importava a chi sarebbe andata la proprietà pur di far valere il principio secondo cui essa esprimeva un diritto individuale e non colletti- vo. Se il comune diventava proprietario di un certo numero di terre, assu- meva questo diritto in sé, non tanto come ente collettivo ma come perso- nalità giuridica individuale. Il relatore di maggioranza, Boggio, disse tra l’altro che era opinione diffusa tra le autorità amministrative della Sarde- gna che non ci sarebbe stato un progresso economico nel settore agricolo se non si fosse risolto il problema dei terreni ademprivili; al contrario il deputato Sanna, relatore di opposizione, affermò che la legge andava a di- scapito dei comuni sardi, in quanto li privava di gran parte delle loro pro- prietà. Infatti, mentre perfino i comuni che erano stati sottoposti alla giuri- sdizione baronale avevano posseduto una quantità di terre in cui la comu- nità poteva esercitare i suoi diritti d’uso a seconda del bisogno delle fami- glie, pagando un piccolo tributo, con la nuova legge si sarebbe tolto anche questo beneficio, fondamentale per l’economia di sussistenza di molte fa- miglie sarde. Gli si replicò che la legge voleva sopprimere l’ademprivio senza toglierne la proprietà ai comuni, infatti conteneva addirittura un arti- colo che lasciava liberi i comuni che avevano ademprivi di respingere il compenso e di chiederne la proprietà26. Questa, naturalmente, doveva es- sere riconosciuta dai tribunali.

26 Atti parlamentari, 1858, p. 202 e segg. È proprio questo il punto nodale della questione. La

proposta di legge stabiliva, in primo luogo, che l’uso collettivo della terra, riconosciuto sotto il nome di ademprivio, dovesse cessare il 31 dicembre 1862, fatti salvi i compensi da essa determi- nati. L’articolo 4 voleva che si arrivasse ad una divisione equa dei lotti i quali, una volta assegna- ti, dovevano essere liberi da qualsiasi diritto d’uso a favore di terze persone, fenomeno che invece avveniva fin dal Medio Evo persino in molti terreni di proprietà. Inoltre il demanio stesso, secon- do l’articolo 23, avrebbe dovuto affittare o vendere ai comuni oppure ai privati i terreni che, per effetto della legge, sarebbero passati in sua proprietà. Ciò dimostra ulteriormente quanto già af- fermato: si voleva l’abolizione del possesso collettivo per giungere alla privatizzazione individua- le. Altri articoli che vale la pena di menzionare sono il 6., il 9., il 10., il 12., il 14. ed il 21., secon- do i quali i comuni che intendevano avere un compenso avrebbero dovuto rivolgersi all’Intendente della Provincia. Appena accertato il diritto di ademprivio si dovevano formare lotti per il compenso, che doveva essere proposto dal demanio, o dai comuni o dai corpi morali oppure dai privati. Se non si addiveniva ad un accordo sulla ripartizione, le parti interessate si dovevano rivolgere ai tribunali. Qualora uno stesso ademprivio fosse appartenuto a più comuni, il compenso sarebbe stato proporzionato al numero degli abitanti ed agli usi di cui ciascun comune godeva.

Ancora ai giorni nostri si possono vedere le deleterie conseguenze del- le liti causate proprio dalle incertezze nell’attribuzione delle proprietà a- demprivili.

Nel documento La questione sarda tra Otto e Novecento (pagine 39-43)