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Le proposte di Cattaneo

Nel documento La questione sarda tra Otto e Novecento (pagine 53-60)

La legge del 1863 coglie e recepisce alcuni aspetti della proposta avan- zata da Carlo Cattaneo nell’articolo Semplice proposta per un migliora- mento generale dell’isola, comparso dapprima nel 1860 e successivamente rielaborato nel 1862, a ridosso della discussione sul provvedimento legi- slativo del governo. Egli, mentre segnalava l’incoerenza dimostrata dal governo sabaudo in occasione del riscatto dei feudi, denunciava tutta la gestione dei provvedimenti governativi relativi all’abolizione degli adem- privi. Le terre riscattate avrebbero dovuto essere consegnate ai comuni, sui quali era ricaduto l’intero onere dell’operazione. Al contrario lo Stato si era arrogato il diritto, del tutto abusivo, di subentrare ai baroni. Cruda la metafora di Cattaneo quando affermava: «Il fisco si è assiso sullo squalli- do ademprivio, mi sia lecito il dirlo con ruvida frase britannica, come il cane nella mangiatoia»52.

Ponendosi su posizioni sulle quali neppure Stati assoluti o feudali era- no stati capaci di spingersi, il neonato Stato italiano aveva assunto nei con- fronti degli ademprivi un atteggiamento dispotico disconoscendo, in ma- niera netta e irrevocabile, i secolari diritti d’uso delle popolazioni.

Il grande studioso parte da questa essenziale ed incisiva constatazione per avanzare una soluzione alternativa alla questione ademprivile. Costi- tuire un Fondo d’opere pubbliche della Sardegna, una sorta di cassa che avrebbe offerto garanzie di prestito per la realizzazione di opere pubbliche nell’Isola, sarebbe stato, a suo avviso, lo strumento adeguato ed efficace per la conversione dei problemi ai quali era andato incontro il governo sa- baudo all’indomani dell’abolizione della giurisdizione feudale, in una concreta possibilità di sviluppo economico per l’Isola. Egli, partendo da un semplice assunto liberista caro anche a Giuseppe Todde53, sosteneva che «la prima condizione di una forte opulenta agricoltura, anche nelle più fertili terre, è ciò che il grande maestro Smith chiamò il mercato. Vera- mente avrebbero potuto navi estranie prestare all’agricultura sarda, benché a ingordi patti, quel servigio che gli isolani stessi le negavano. Ma non è vantaggioso il mercato, dove non sono strade». Nel ventennio 1840-1860 il governo sabaudo ben poco si era occupato della viabilità nell’Isola e so-

52 C. Cattaneo, Un primo atto di giustizia verso la Sardegna, in «Il Politecnico», serie II, vol.

XIII, Milano 1862, oggi rist. in C. Cattaneo, Geografia e storia della Sardegna, a cura di C. Car- lino, Donzelli, Roma 1996, p. 129.

lo durante il primo quindicennio unitario la Destra aveva messo a punto un piano stradale organico che, seppur con estrema lentezza, sarebbe stato attuato nei decenni successivi. Lo studioso lombardo, nell’analizzare la relazione parlamentare sugli ademprivi del 17 febbraio 1858, aveva appre- so che sarebbe stata liberata «dai vincoli d’imperfetto possesso e perciò d’imperfetta cultura […] una superficie eguale alla metà della Lombardia» e che lo Stato sarebbe entrato in possesso, secondo il progetto del marche- se Gustavo di Cavour, della metà di quei terreni, un’estensione di circa mezzo milione di ettari, l’equivalente delle province di Milano, Pavia, Lo- di, Crema e Cremona54.

Partendo da questi dati egli riteneva quanto mai opportuno e necessario uno sviluppo del sistema viario dell’Isola e propose che tali opere fossero realizzate con un prestito finanziato tramite la vendita dei terreni55. In di- saccordo con la linea del governo che prendeva tempo sulla cessione dei terreni, era inoltre sua convinzione che l’operazione di liquidazione si sa- rebbe dovuta attuare con la massima sollecitudine, poiché un ritardo a- vrebbe portato alla realizzazione della rete stradale solo dopo l’avvenuta vendita dei terreni56.

Una soluzione di questo tipo, che vent’anni prima, quando Cattaneo l’aveva per la prima volta prospettata, avrebbe potuto avere qualche diffi- coltà di realizzazione in quanto lo Stato sabaudo avrebbe dovuto anticipa- re la somma da destinare alla rete viaria, appariva nel 1860 perseguibile grazie all’acquisizione da parte del governo dei proventi delle terre dema- niali ed ademprivili.

Il progetto dell’autore appare brillante e trasparente nella chiarezza con cui viene delineato. Enzo Tagliacozzo ebbe modo di affermare in merito che «la proposta del Cattaneo è talmente semplice e pratica che si stenta a

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C. Cattaneo, Semplice proposta per un miglioramento generale dell’Isola di Sardegna, in “Il Politecnico”, serie II, vol. VIII, fasc. XLV, anno 1860, oggi rist. in C. Cattaneo, Geografia e sto-

ria della Sardegna, cit., p. 91; cfr. anche E. Tagliacozzo, Risorgimento e postrisorgimento, Fossa-

taro, Cagliari 1969, pp. 82-97.

55 «Se con un imprestito si desse una vigorosa spinta a quest’opera; e si aprisse d’un tratto

l’accesso a tutte le più riposte regioni; e il maggior prodotto annuo si valutasse solamente ad un soldo per ogni pertica metrica, il vantaggio annuo sommerebbe ad un milione d duecento mila lire; e potrebbe sostenere un prestito di ventiquattro milioni. Questo basterebbe a fare tante strade, da sommare a sei o sette volte tutta la lunghezza dell’Isola.»; cfr. C. Cattaneo, Semplice proposta, cit., p. 89

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«[...] crediamo all’opposto che la fretta sia un vantaggio e un dovere. Noi crediamo che il de- manio dovrebbe dare quanto più presto si può le terre per avere quanto più presto si può le strade e le produzioni e i diretti e indiretti incassi»; cfr. C. Cattaneo, Semplice proposta, cit., p. 95.

capire perché il governo italiano non l’abbia accolta». Il prospetto non tra- scurava alcun dettaglio, individuando anche il soggetto che avrebbe dovu- to gestire un’operazione di questo tipo, certamente complessa e difficile per la mole di terreni che veniva posta sul mercato. Benché la sua proposta di affidare l’azione di vendita ad una società privata mostrasse quello che lo stesso Tagliacozzo definiva «l’antistatalismo» di Cattaneo57, in qualche modo la legge del 4 gennaio 1863 avrebbe recepito la sua proposta affi- dando alla compagnia inglese Semenza & Co. duecento ettari di terreno ademprivile come contropartita per la realizzazione di una rete ferroviaria che avrebbe dovuto mettere in comunicazione i principali centri dell’Isola.

Cattaneo tuttavia non risolveva, e questo può essere individuato come uno dei pochi punti oscuri della sua proposta, il problema del compenso da conferire agli ademprivisti dopo la vendita, quei piccoli contadini e quei pastori poveri che traevano un mediocre ma vitale sostentamento proprio dallo sfruttamento degli ademprivi.

Questo progetto, presentato per la prima volta nel 1860 nell’articolo Semplice proposta per un miglioramento generale dell’Isola di Sardegna, venne ripresentato ed ampliato due anni più tardi, in Un primo atto di giu- stizia verso la Sardegna, in prospettiva del provvedimento legislativo del gennaio 1863.

A differenza dei due scritti precedenti relativi all’Isola, il primo del 1840 Della Sardegna antica e moderna di carattere storico-descrittivo ed il secondo, la Semplice proposta del 1860 contrassegnato da considerazio- ni tecnico-pratiche, il terzo, pur strettamente correlato con i precedenti, si basa su un registro più concitato, ed è, in forma requisitoria, severo con la politica adottata dal governo di Torino. Utilizzando, significativamente e in maniera singolare, proprio le Carte d’Arborea, la cui falsità sarebbe sta- ta determinata solo nel 187058, la questione ademprivile veniva ripresa e approfondita in ogni suo aspetto. Nella nuova memoria, inevitabilmente influenzata dai recenti risvolti di politica nazionale ed internazionale, con le annessioni dell’Italia centro-merdionale, la cessione di Nizza e della

57 E. Tagliacozzo, Risorgimento e postrisorgimento, cit., p. 89.

58 A trarre in inganno Cattaneo con i falsi d’Arborea era stato, con ogni probabilità, il suo amico

Giorgio Asproni, e nel 1860 poté attingere informazioni storiche, specie sul periodo giudicale, dai Nuovi codici d’Arborea, pubblicati a Cagliari da Salvator Angelo De Castro; cfr. E. Tagliacozzo,

Risorgimento e postrisorgimento, cit., p. 103; G.G. Ortu, Introduzione, in C. Cattaneo, Geografia e storia della Sardegna, cit., p. XVII.

Savoia, alla quale Cattaneo si era fermamente opposto, e con la preoccu- pazione per un’eventuale imminente cessione dell’Isola alla Francia come contropartita per Roma, egli poneva in evidenza come la legislazione feu- dale fosse giunta tardi in Sardegna rispetto agli altri Stati europei («è una gloria dei Sardi che fra tutti i popoli d’Occidente furono li ultimi a cono- scere la legge feudale»), e che, invece, a partire dall’anno 687, per «sette- cento anni», essa era stata governata «senza interruzione dai principi nati- vi, che portavano il nome di re, e più popolarmente di giudici»59. Così svolgendo un excursus storico, egli conduce una doppia polemica, sia ver- so l’operato del papato, sia verso il governo italiano, il primo che si era arrogato nel medioevo il diritto, in virtù di un presunto diritto di giurisdi- zione su tutti i regni della terra, di «fare valida concessione» di territori a chi ne avesse fatto richiesta, il secondo per la politica fiscale alla quale a- veva sottoposto i comuni della Sardegna, facendo gravare su essi il riscat- to dei feudi e, nel contempo, impedendo che gli stessi potessero usufruire dei terreni riscattati60.

La decadenza del sistema agrario dell’Isola durante l’età aragonese e spagnola trova dunque, secondo Cattaneo, le sue radici proprio nel sistema feudale, ad morem Italiane, un sistema che aveva condotto l’Isola ad una «paurosa decadenza» ed allo spopolamento61. E proprio ai moti antifeudali di fine Settecento l’autore attribuisce una presa di coscienza dei propri di- ritti da parte dei sardi. Poco conta se a mantenere la legislazione feudale fosse stato proprio l’assolutismo sabaudo, che fino a quel momento, sia pure velatamente, l’aveva osteggiata; ma in quel frangente aveva agito da scudo tra le idee rivoluzionarie provenienti dalla Francia e la «tarlata feu- dalità»62; era quello stesso assolutismo che da tempo aveva abolito il re- gime feudale negli Stati di Terraferma, e che anche dalla Sardegna, pur

59 C. Cattaneo, Un primo atto di giustizia, cit., pp. 105-107.

60 «Mutata dalle radici la ragione dello Stato, è mutata dalle radici tutta la ragione dei tributi. Noi

non abbiamo più fra noi popoli liberi e popoli servi. Ogni popolo in Italia è pari ad ogni altro. Non si può ammettere la tesi che la Sardegna sola subisca un duplice principio di tributi: quelli della servitù e quelli della libertà. L’affermazione di questi implica la negazione di quelli»; Ibi- dem, p. 114.

61 Secondo le stime che Cattaneo mutua da uno studio del 1859 dello Spano la Sardegna aveva

subito, dal periodo cartaginese all’inizio del XVIII secolo, uno spopolamento di quasi due milioni e mezzo di persone; Ibidem, p. 121.

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Ibidem, p. 122; cfr. anche L. Ortu, Vincenzo Sulis e la Sardegna sabauda, in V. Sulis, Autobio-

grafia, edizione critica a cura di G. Marci e note storiche di L. Ortu, Cuec, Cagliari 2004, pp.

dovendolo mantenere per via della pace di Londra, avrebbe voluto sradica- re. Così, una volta finito il pericolo francese e napoleonico ed avviata la “Restaurazione” – iniziata nell’Isola con oltre 16 anni di anticipo – il per- corso che avrebbe condotto all’abrogazione del feudalesimo, cautamente avviato dai Savoia fin dal Settecento con una serie di provvedimenti volti a scardinare dall’interno l’autonomia del Regnum e dunque il sistema giu- ridico sul quale si fondava, avrebbe subito un’accelerazione a partire dagli anni venti dell’Ottocento con l’Editto delle chiudende e successivamente nella seconda metà degli anni trenta con una serie di altri provvedimenti. Cattaneo, tuttavia, sembra attribuire il riformismo carloalbertino più alla pressione creata dai moti suscitati dalle chiusure, che ad un reale progetto sabaudo volto all’estensione alla Sardegna della legislazione dei territori continentali.

Ad ogni modo l’articolo pubblicato sul Politecnico sottolinea l’incon- gruenza della politica sabauda sull’estinzione dei feudi; da un lato le ga- ranzie fornite dalla Carta Reale del 1839 in base alle quali l’abolizione dei feudi si sarebbe dovuta attuare in nome di «giustizia» e di «generosità», in modo tale che la successiva divisione delle terre sarebbe avvenuta tramite un’assegnazione non solo «sufficiente», ma «giusta»; dall’altro, egli os- serva, l’atteggiamento del governo in tutte queste operazioni fu più quello di un amministratore che di un proprietario. Non solo i tributi versati dai comuni al fisco per vent’anni non avevano condotto alla liberazione delle terre, ma anzi lo Stato, dopo aver estorto ai comuni la metà di quelle terre, riteneva necessario metterle in vendita63. Il riferimento era qui a Gustavo di Cavour, che nel suo rapporto parlamentare aveva definito più passiva che attiva l’amministrazione degli ademprivi, al solo scopo di giustificare l’arbitrio esercitato dall’esecutivo. Il monito di Cattaneo era rivolto a quei relatori e quegli uomini politici colpevoli di aver pensato esclusivamente al fisco e di aver trascurato una possibilità di crescita dell’Isola che dove- va essere subordinata ad un articolato investimento.

Una volta entrato nel cuore della questione l’autore prova ad individua- re una soluzione favorevole allo stesso tempo ai comuni sardi ed al fisco.

63 Il fisco italiano «tien ferma la mano sulla metà che vuol sua, come su quella che riconosce non

sua. Codesta tortura dei popoli, aggiunta ai nuovi aggravii, rende odiose le forme della libertà; fa quasi sospirare l’aborrita catena feudale»; e ancora «Lo Stato antico [...] essendosi fuso nel nuovo Regno d’Italia, ecco il lucro che l’Italia libera avrebbe da quest’ultima liquidazione della rapina antica, che veramente sarebbe una rapina nuova»; cfr. C. Cattaneo, Un primo atto di giustizia, cit., p. 133.

Se infatti, seguendo la sua proposta, il governo avesse restituito i beni a- demprivili alle popolazioni isolane, queste avrebbero potuto trarne un utile per se stesse oltre che provvedere alla realizzazione di un sistema di opere pubbliche, che altrimenti prima o poi sarebbe ricaduto sulle casse dello Stato. Questo atto di giustizia che lo Stato Italiano avrebbe dovuto rendere alla Sardegna, avrebbe certamente fruttato, a medio termine all’erario, giacché al posto di quaranta milioni incamerati nell’arco di vent’anni con la vendita di quei terreni nell’Isola, il rifiorimento dell’economia sarda connesso ai lavori pubblici intrapresi dai Sardi avrebbe prodotto un incre- mento della popolazione con un conseguente accrescimento del volume d’imposte: «dove la terra è capace di due milioni di popolo, è capace per lo meno di sessanta milioni d’imposte»64.

Emerge a questo punto con lampante evidenza la concezione federali- sta di Carlo Cattaneo convinto assolutamente del fatto che l’emanci- pazione di ciascun popolo, quindi anche quello della Sardegna, dovesse essere opera dei Sardi stessi. E quanto mai opportuno appare a questo pun- to richiamare alla mente l’affermazione di Enzo Tagliacozzo che, nel 1969, individuava in Cattaneo uno dei primi campioni dell’autonomismo sardo65 o, come potremmo dire oggi, della nuova e moderna forma di au- tonomismo che avrebbe contraddistinto le lotte politiche di illustri perso- naggi, sardi e non, a partire dal 1848, cioè all’indomani della «perfetta fu- sione», fondamentale spartiacque nella storia isolana, che aveva posto isti- tuzionalmente fine al Regnum Sardiniae, a quell’antico modello di auto- nomia che aveva trovato il proprio fondamento, però, sull’esistenza dello Stato medioevale di ordini privilegiati. Il Parlamento nazionale, a partire da quel momento, avrebbe dovuto ridurre il suo raggio d’azione, limitan- dosi a sanzionare le proposte degli amministratori sardi comunali e pro- vinciali. Al Parlamento non sarebbe rimasto che un «diritto di cassazio- ne», l’autorità di far sì che le soluzioni individuate dai «savi dell’Isola» per il rifiorimento della Sardegna permanessero all’interno delle generali linee guida impresse dal governo nazionale66.

64 Ibidem, p. 135.

65 E. Tagliacozzo, Risorgimento e postrisorgimento, cit., p. 53.

66 Nelle poche righe finali dell’articolo Cattaneo ripresenta concisamente la sua proposta: «Il pri-

mo e necessario passo è che tutti i beni, ora nel catasto della Sardegna intestati al demanio per diritti d’ademprivio e simili, venissero immantinente per atto legislativo trasferiti a un Fondo

L’ottimismo espresso da Carlo Cattaneo nel ritenere che la rinascita dell’economia sarda potesse dipendere esclusivamente dall’affidare ai Sardi la libertà di gestire autonomamente le proprie risorse, andrebbe forse ridimensionato alla luce di alcune considerazioni. Era, infatti, quantomeno improbabile che i consigli provinciali e comunali dell’Isola, soggiogati e subordinati per secoli all’amministrazione feudale, avrebbero avuto in breve tempo, nell’arco di pochi anni, la capacità di raggiungere un tale grado di maturazione politica da permettergli di individuare un piano di sviluppo legato alla realizzazione di un sistema opere pubbliche.

Oggi un’attenta analisi storiografica non può non constatare che i sug- gerimenti di Cattaneo presentano alcuni limiti, derivanti da evidenti errori come il credere nell’autenticità delle Carte d’Arborea o la fallace convin- zione di una imminente cessione dell’Isola alla Francia, fraintendimenti questi, però, riconducibili a precedenti errori di valutazione da parte di co- loro che gli avevano fornito la documentazione da cui egli attinse per rea- lizzare le sue analisi storico-politiche, Asproni e Musio in testa67. Ad ogni modo le proposte del 1860 e del 1862, pur viziate da questi errori, ebbero grande eco non solo in Sardegna, ma su tutto il territorio nazionale come dimostra la lettera di apprezzamento inviata a Cattaneo dal deputato pa- lermitano Saverio Fruscia il quale, affascinato dalle soluzioni individuate per la questione ademprivile nell’Isola, aveva richiesto all’uomo politico lombardo di esaminare la situazione della Sicilia, come già aveva fatto per la Sardegna68. Gli scritti esaminati applicano alla Sardegna la sua visione zioni tra l’universa Italia e il popolo sardo, sarebbero compresse e soffocate prima di nascere. Pax

vobis! Spetterebbe ai magistrati sardi e alle communi il determinare con quali eque e volontarie

forme si potesse dare immantinente ai detti beni la contemporanea duplice destinazione: 1. d’assicurare, sia sul loro complesso, sia su qualunque loro parte, il prestito d’un primo capitale, bastevole a compiere nel più breve possibil termine le opere pubbliche di più generale necessità; 2. d’essere distribuite in libero godimento, o almeno in libero lavoro, alle communi o ai privati, a compimento di promesse oramai troppo lungamente deluse. In un coll’assegno delle terre, si po- trebbe far assegno anche d’una proporzionata parte delle opere in dati termini di tempo. Fino a che manchi il primo passo, ogni ulteriore studio sarebbe vano»; 66 Cfr. C. Cattaneo, Un primo atto di giustizia, cit., p. 138.

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Sulla corrispondenza tra Cattaneo ed Asproni cfr. S. Deledda, Problemi sardi del Risorgimento

visti da Carlo Cattaneo (con un carteggio inedito Cattaneo-Asproni), in “Mediterranea”, a. 5, nn.

2-3, Sassari 1931.

68 L’interesse di questa corrispondenza, oltre a consentire di comprendere come le questioni loca-

li, benché l’Unità fosse stata realizzata da pochi mesi, acquistassero in sede parlamentare risonan- za nazionale e non fossero trascurate dai rappresentanti delle altre regioni, fa apparire ancor mag- giore l’intensità della risposta (18 maggio 1862) che Cattaneo fornì al deputato palermitano, alcu- ne righe della quale potrebbero essere lette come suo testamento ideologico: «Vedete io sono fe-

federalista e individuano nel centralismo amministrativo impositivo l’origine dei problemi legati alla disomogeneità e all’ingiustizia con le quali veniva condotta l’unificazione e dimostrano pure che un’indagine di questo tipo avrebbe potuto essere condotta su ogni altra regione italiana, specie del meridione.

Nel documento La questione sarda tra Otto e Novecento (pagine 53-60)