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Le reazioni attraverso la stampa e le lotte operaie

Nel documento La questione sarda tra Otto e Novecento (pagine 104-106)

La maggior parte della stampa isolana, soprattutto “Il Corriere di Sar- degna”50, accese ed inasprì la polemica sul tema, contro le due leggi del ‘63 e del ‘65, che avrebbero dovuto favorire la viabilità e la sistemazione definitiva della proprietà stabile, ma dalle quali invece scaturirono due fu- neste conseguenze: «si tolse al paese un mezzo gratuito di ricchezza e si crearono moltissime liti»51. E tutto ciò non poteva che spingere la numero- sissima e povera classe dei piccolissimi proprietari «nell’ispida strada del proletariato»52.

L’inopportuna applicazione delle leggi conduceva, dunque, al moltipli- carsi delle liti, costringendo i sardi a spendere per difendere i loro averi; infatti il demanio spesso includeva tra gli ademprivi vaste estensioni di terreni comunali e numerose proprietà private. Il “Corriere” ascriveva, dunque, la questione ademprivile alla questione sarda rimarcando come in un certo senso, non vi fosse stata soluzione di continuità nella trasforma- zione istituzionale che nel recente passato aveva investito l’Isola con la «perfetta fusione»: «i sardi si erano opposti ma il processo continuava nel suo corso perverso; si trattava in sostanza della continuazione dei soliti sintomi autoritari del viceregnato, adottati sotto le nuove spoglie dei de- creti prefettizi e, insomma, del regime costituzionale»53.

Lo stesso Salaris nel marzo del 1865 criticò il progetto, ma poi non propose di modificare la legge per evitare un ulteriore ritardo nella costru- zione delle ferrovie. La stampa affrontò l’argomento degli ademprivi per anni, protestando vivacemente contro la concessione di quei terreni alla Società ferroviaria, rifacendosi, più volte e in forme diverse, a quanto so- stenuto dal Cattaneo qualche anno prima. Proprio la pubblicistica contri-

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Opinione del tutto discordante da quella sostenuta dalla “Gazzetta” sarebbe stata espressa sulle colonne del “Corriere di Sardegna” che proprio il 2 agosto del 1864 aveva iniziato le sue pubbli- cazioni. Il nuovo giornale (fondato da Gavino Scano e che vide succedersi alla direzione perso- naggi di spicco quali lo stesso Scano, Stara, De Francesco, Lazzarini e Tuveri) era nato proprio in contrapposizione alla “Gazzetta Popolare” ed all’utilizzo privatistico che dell’ex foglio democra- tico aveva fatto proprio Sanna Sanna accusato, per le sue mire affaristiche, di aver alienato al giornale l’appoggio di parte della borghesia e dei funzionari pubblici. L’inasprirsi dell’antago- nismo tra i due maggiori quotidiani sardi è testimoniato dal trasferimento di buona parte della redazione della “Gazzetta” (tra cui Giovan Battista Tuveri e Antioco Cadoni) a quella del “Corrie- re”; cfr. “Il Corriere di Sardegna”, nn. 67, 69, 92, 96 e 109 del 1864.

51

Cfr. “Il Corriere di Sardegna”, n. 6 dell’8 gennaio 1870.

52 Cfr. “Il Corriere di Sardegna”, n. 8 dell’11 gennaio 1870. 53 Cfr. “Il Corriere di Sardegna”, n. 38 dell’11 febbraio 1870.

Capitolo terzo 105

buì a sollevare e ad alimentare, per tutta la seconda metà degli anni ses- santa e per buona parte del decennio successivo, un movimento d’opinione che si propose di riprendere in esame, alla luce dei nuovi eventi, il percor- so e le cause che avevano condotto alla «fusione» e gli effetti che, a breve termine, essa aveva generato nell’Isola.

Come segnalato nel paragrafo precedente “Il Corriere di Sardegna”, prendendo posizione contro la Compagnia, denunciava la lentezza dei la- vori scrivendo che l’impresa costruttrice faceva ricorso a qualsiasi espe- diente pur di risparmiare. La accusava, inoltre, di avidità e, dietro le sue pretese, scorgeva una minaccia per il futuro dell’Isola54.

Per la verità le difficoltà della Compagnia erano state aggravate dalla sospensione dei lavori nel giugno 1865, dovuta al pericolo della malaria. La stagione lavorativa andava da novembre a giugno, mentre tutti i lavori pubblici venivano sospesi durante i mesi estivi55. A ciò va aggiunto lo sta- to di frequente agitazione tra gli operai, a causa del sistema di reclutamen- to e del trattamento loro riservato. Le maestranze, reclutate in continente con la garanzia di una determinata retribuzione, una volta giunte nell’Isola non vedevano corrisposta la cifra pattuita. Dai rapporti ricevuti dal prefet- to di Cagliari, dal sottoprefetto di Oristano e dal sindaco del capoluogo la preoccupazione per le proteste era grande, e crebbe ancora quando alcuni tumulti sfociarono in tragici episodi di violenza, conclusisi con l’intervento delle forze dell’ordine e la morte di alcuni operai manifestan- ti56.

54

Cfr. “Il Corriere di Sardegna” n. 20 del 24 gennaio 1866.

55 Robert Tennant la definisce una «consuetudine» dell’Isola «che durò finché la Compagnia non

la interruppe»; così «quando, all’avvicinarsi di giugno, mancava poco per il completamento, tutti i lavoratori italiani, in sintonia con il costume prevalente, lasciarono l’Isola per le loro case nel continente»; inoltre l’autore ritiene che «se la stagione lavorativa fosse durata altre sei settimane sarebbe stata completata la ferrovia tra Cagliari ed Oristano, per una lunghezza di 94 Km. La co- sa, tuttavia, non avvenne e fu uno di quei contrattempi i quali, spesso, cambiano il corso degli eventi»; cfr. R. Tennant, Le ferrovie sarde (traduzione e note di L. Ortu), in “Quaderni Bolotane- si”, vol. 13, 1987, p. 197.

56 Oltre che dagli esposti inviati dagli stessi operai al prefetto ed alle altre autorità competenti, le

agitazioni degli operai impegnati nella costruzione delle linee ferroviarie sono ricostruibili anche dalle cronache dei giornali dell’epoca. Nei primi mesi di lavoro, tra il 1864 e il 1865, sollecitava- no alla Compagnia Reale e alla Smith, Knight e C. il pagamento di compensi dovuti e il rimpatrio gratuito, dato che la maggior parte degli operai, provenienti dal settentrione, non disponevano delle cifre necessarie per l’imbarco; cfr. L. Del Piano, La Compagnia reale e delle ferrovie sarde, cit., pp. 516-533.

I reclami dei lavoratori erano originati non solo dalle promesse disatte- se, ma anche dal fatto che, avendo l’impresa sospeso l’attività, essi spesso si trovavano senza lavoro e dunque senza mezzi per provvedere alla pro- pria sussistenza. Dal canto suo la società ferroviaria non si impegnava per eliminare le ragioni di malcontento, esercitando nei loro confronti molte- plici forme di ricatto: i salari erano pagati con grande ritardo e veniva im- posto il lavoro a cottimo con ritmi di lavoro inaccettabili per gli operai57. La causa principale delle proteste era, ad ogni modo, il trattamento quasi coloniale al quale gli operai erano sottoposti, il che contribuì ad esacerbare il rapporto con i dirigenti58. I disordini continuarono per alcuni mesi e terminarono soltanto quando la società sospese definitivamente i lavori che sarebbero stati ripresi solo dopo la firma della nuova convenzione, a distanza cioè di alcuni anni.

Nel documento La questione sarda tra Otto e Novecento (pagine 104-106)