• Non ci sono risultati.

Una genesi incerta e dibattuta

Nel documento La questione sarda tra Otto e Novecento (pagine 32-35)

La natura, così come l’origine, degli ademprivi però è controversa. Ad ogni modo si tratta di un termine latino-medioevale, forse di origine galli- ca e significa una passività per chi lo imponeva, un vantaggio per chi lo riceveva, derivando perciò da «ademptis rebus» (o «adimere privilegium» in riferimento all’idea di grazia). Sulla sua origine esistono comunque di- verse interpretazioni (secondo il Musio da «ad rem privium» e, secondo Loddo Canepa da «ad empriu», sulla base delle Costituzioni di Catalogna, ove si legge «emprius de lenya, pastures y ayguas»), ma va sempre inteso come «uso della terra e dei suoi prodotti in determinate circostanze di tempo, luogo e di condizione giuridica». Ciò che importa è che quest’ul- timo studioso, oltre ad aver osservato che l’origine del vocabolo deve es- sere ricercata nei paesi mediterranei della costa franco-spagnola, da Mar- siglia a Barcellona, dimostra pure che prima della conquista catalano- aragonese in Sardegna già esisteva il diritto d’uso al quale il termine si ri- ferisce. Inoltre, dai suoi studi, e prima da quelli del Solmi e del Brandileo- ne, l’elemento che risulta più importante è quello secondo cui il diritto d’ademprivio è dei singoli, ma in quanto membri della comunità. Molto simile sembrò a giuristi e politici dell’Ottocento il diritto di cussorgia, un’istituzione collaterale assai diffusa per molti secoli in Sardegna. Ma, a prescindere dal fatto che le prime testimonianze di essa risalgono soltanto all’epoca aragonese e pertanto potrebbe essere una filiazione dell’adem- privio, si può senza dubbio affermare che i due istituti rappresentavano interessi contrastanti, in quanto ogni concessione cussorgiale consisteva in una sottrazione di beni dall’uso della comunità per destinarli all’uso esclu- sivo del singolo. Inoltre il diritto di ademprivio si concretizzava in modi assai diversi e su beni di varia natura (pascoli, boschi seminativi, stagni, etc.), mentre la cussorgia era una speciale concessione del signore che, in cambio di un canone, concedeva il terreno solo come pascolo. Infine l’ademprivista poteva godere del diritto solo nell’ambito della giurisdizio- ne cui apparteneva, mentre il cussorgiale poteva essere un «forestiere», un estraneo alla comunità e, addirittura, allo stesso feudo. I cagliaritani, ad esempio, godevano di molte cussorgie, talvolta definite erroneamente a- demprivi nei documenti, in varie giurisdizioni feudali dell’Isola. Insomma, la cussorgia pare essere simile alle concessioni livellarie enfiteutiche, dif- ferenziandosi soltanto nello scopo, che non consiste tanto nel migliora- mento del fondo, quanto nel miglioramento delle razze del bestiame. Ab- bandonando il discorso tecnico-giuridico restano due fatti reali: la presen-

za più o meno ampia di questi diritti, di cui godettero per molti secoli le popolazioni delle campagne, e le successive implicanze, che insorsero al- lorché intervenne lo Stato italiano per abolirli, in nome della unificazione legislativa. In realtà quest’ultimo fatto non fu solamente un’operazione di carattere tecnico-giuridico, ma un lacerante intervento all’interno della struttura economico-sociale sarda, il quale investì in pieno le componenti base della società, i pastori e i contadini appunto, coinvolgendoli in uno scontro, forse non voluto, ma comunque ugualmente drammatico e violen- to, destinato ad avere conseguenze di cui si sente un’eco lontana ancora oggi7.

L’economista Giuseppe Todde scriveva che «gli usi civici sono quei diritti di godimento che tutti gli abitanti di un comune o di una frazione, uti cives, hanno sopra determinate terre appartenenti al comune, alla fra- zione, ai privati»8. In pratica consistevano nel far pascolare gratuitamente

7 G. Musio, Sul progetto d’abolizione degli ademprivi in Sardegna, Cagliari 1859; Id., Gli Adem- privi, in “L’Epoca”, n. 29 del 13 aprile 1859; E. Besta, Il diritto sardo nel Medio Evo, Torino,

1899; F. Brandileone, Note sull’origine di alcune istituzioni giuridiche in Sardegna durante il

Medio Evo, Firenze 1902, pp. 1-55; R. Di Tucci, La proprietà fondiaria in Sardegna dall’alto medio evo ai nostri giorni. Studi e documenti di storia economica e giuridica, Tip. Ledda, Caglia-

ri 1928; C. Du Cange, Glossarium Mediae et infimae latinitatis, I Band, Graz 1954, voce «adem- prum», p. 74; L. Bulferetti, Il riformismo settecentesco in Sardegna, Fossataro, Cagliari 1966; A. Boscolo (a cura di), Il feudalesimo in Sardegna, Fossataro, Cagliari 1967; M. Atzori, Per

un’interpretazione del riformismo agrario settecentesco in Sardegna, in “Studi Sardi”, vol.

XXIII, Gallizzi, Sassari 1975; L. Del Piano, La Sardegna nell’Ottocento, Chiarella, Sassari 1984.; M. Masia, Il controllo sull’uso della terra: analisi socio giuridica sugli usi civici in Sardegna, Cuec, Cagliari 1992.

8

G. Todde, voce Ademprivio, in Enciclopedia giuridica Italiana, vol. I parte II, sez. I, 1892, pp. 73-162. Sulla definizione del termine cfr. anche A. Marangoni, voce Ademprivi, Adimplivii, Dirit-

ti d’uso già in vigore in Sardegna in Il Digesto Italiano, Torino 1884, vol. II parte I, pp. 125-159;

G. Curis, voce Ademprivi, in Novissimo Digesto Italiano, Torino 1968, pp. 281-285, Id., voce Usi

civici, in Nuovo Digesto Italiano, Torino 1940, pp. 742-760; G. Palermo, voce Usi civici, in No- vissimo Digesto Italiano, Torino 1975, pp. 209-242; P. Federico, voce Usi civici, in Appendice Novissimo Digesto Italiano, Torino 1980-1987, vol. VII, pp. 1025-1035; M. Onida, Origine e natura degli usi civici in Sardegna, in “Archivio Vittorio Scialoja” per le consuetudini giuridiche

agrarie vol. 4 fasc. n. 1-2, Firenze Dicembre 1937; E. Parziale, Gli Ademprivi in Sardegna, in “Rivista dei demani Usi civici - Acque - Miniere”, 1931, vol. VII, 2. serie, p. 273-285; G. Marsili,

Studi sui demani comunali delle provincie napolitane e siciliane e sugli ademprivi di Sardegna,

Torino 1864; G. Conteddu, Sistemazione della proprietà ademprivile in Sardegna, in relazione

all’ordinamento generale della proprietà fondiaria nell’Isola, in “Rivista dei Demani Usi civici -

Acque - Miniere”, 1933, vol. VII, serie 2., pp. 513-528; A. Ghiani, Le leggi speciali per la Sarde-

gna, Editrice sarda, Cagliari 1954, pp. 9-44, M. Zaccagnini, A. Palatiello, Gli usi civici, Novene,

Napoli 1964; E. Gessa, La città e il suo territorio forestale. Gli ademprivi di Cagliari nei secoli

XIV-XIX, in Università degli Studi di Sassari, VII Settimana della Cultura Scientifica, Sassari

il bestiame, nel seminare, nell’utilizzare corsi d’acqua, nel raccogliere le- gna, sughero, ghiande, nello sfrondare alberi, naturalmente sempre in ter- reni liberi e destinati all’uso collettivo, che potevano essere non solo de- maniali, ma anche baronali, comunali e persino privati; in questo caso si pagava un piccolo canone annuo e si poteva esercitare il diritto subordina- tamente al proprietario. Essi si estendevano per circa un sesto dell’intera superficie dell’Isola.

L’espressione «uso civico» è ad ogni modo generica, possedendo diffe- renti denominazioni nelle varie parti d’Italia ed includendo molteplici ti- pologie di sfruttamento comunitario della terra. Tra esse appare necessaria una distinzione a monte non solo tra le due forme più diffuse, ademprivio e cussorgia di cui si è appena trattato. Il termine «ademprivio» (ad impreu: «ad uso») potrebbe essere fatto risalire agli aragonesi, ed indica in maniera generica lo sfruttamento comunitario della terra che si manifesta in Sarde- gna in forme caratterizzanti e dalla connotazione differente dal resto del territorio nazionale. Tipologie tipiche della Sardegna nell’uso della terra sono, ad esempio, le vidazzoni, terre vicino alla villa e destinate alla semi- na esercitata con il ciclo rotatorio e che alla fine dell’anno agrario si tra- sformano in paberili, zone temporaneamente aperte al pascolo prima di essere reintegrate nell’ambito della coltivazione. È necessario sottolineare pure che i diritti ademprivili potevano essere esercitati, sia su terreni pri- vati sia su terreni demaniali e comunali, con l’eccezione delle terre chiuse e comunque principalmente nei “saltus”, le terre lontane dalle “ville”. Tali consuetudini avevano garantito che nell’Isola, per secoli, coesistessero e si avvicendassero le due attività economiche dell’agricoltura e della pastori- zia, appunto per via di questi sistemi, dunque, solo apparentemente in con- trasto tra di loro. In realtà lo sfruttamento collettivo e comunitario, sostan- zialmente fondato su una sorta di autoregolamentazione, consentiva la fruizione della terra e la coesistenza dei due basilari sistemi economici.

Ancora all’ambito dell’ademprivio sono ascrivibili le orzaline, terreni destinati alla semina dell’orzo collocati vicino agli accampamenti dei pa- stori e per questo soggetti all’avvicendamento con il pascolo, per differen- ziarli da quelli che seguivano una coltivazione annuale definiti narboni9.

Tornando per un attimo all’istituto della cussorgia («cum sorte»: con- sortile o consorziale), parrebbe, invece, essere antecedente all’infeuda- zione dell’Isola. C’è chi sostiene chi sostiene che questa forma comunita-

ria sia derivata dall’ademprivio assumendo col tempo una connotazione propria e definita. Sorto con i caratteri di temporaneità e di collettività, l’ademprivio sarebbe col tempo, ed in alcune zone dell’Isola10, divenuto appannaggio esclusivo di alcune famiglie, le quali anziché esercitare i di- ritti d’ademprivio sull’intero territorio della villa, privilegiarono determi- nate aree in cui diedero vita a piccole aziende e nuovi nuclei abitati. In questo senso l’ademprivio venne lentamente svuotato del proprio carattere di sfruttamento collettivo e provvisorio acquisendo pian piano una forma di diritto permanente ed esclusivo. Lo studioso identifica due tipologie di cussorgie: le prime, citate nel pregone del Viceré, Conte Des Hayes, del 2 aprile 1741, concesse «a titolo di vera proprietà» con l’intento di favorire l’allevamento del bestiame, si trasformarono concretamente in possedi- menti privati; le seconde, «concessioni fatte a puro titolo di pascolo», per la loro natura simile a quella ademprivile vennero assimilate agli adempri- vi e dunque successivamente contemplate nelle leggi che si rivolgevano alla loro abolizione11.

Si deve infine segnalare che, all’interno del sistema comunitario, si e- rano realizzate forma di appropriazione individuale di terreni recintati con muretti o siepi (cungiadura). Si trattava di una sorta di «proprietà imper- fetta», dedicata a colture specializzate e sviluppatasi per alienazione da parte del feudatario o del fisco.

Nel documento La questione sarda tra Otto e Novecento (pagine 32-35)