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Employability e Alta Formazione.

Vanna Boffo

2. Employability e Alta Formazione.

La categoria di employability inizia a diventare importante nell’ambito dei ri- sultati in uscita dai corsi di studio universitari alla fine degli anni Novanta del No- vecento nel mondo anglosassone. In particolare, due autori, Peter Knight e Mantz Yorke hanno diffuso alacremente proprio un nuovo modo di guardare sia all’em- ployability che alla funzione del curriculum universitario per il mondo del la- voro. Sono aspetti che, attualmente, nell’Universita` italiana, non stiamo affron- tando e non stiamo prendendo in considerazione. Il lavoro rappresenta un conte- sto trascurato per la costruzione di curricula universitari, ancora oggi la didattica che si pratica si concentra piu` sulle conoscenze che sulle capacita` (Fedeli, Frison & Grion, 2017). Le competenze sono spesso lasciate in sottordine e ci dimenti- chiamo che l’oggi costruira` il mondo del domani. Che cosa e` l’employability? La definizione che viene assunta riguarda un insieme di conoscenze, abilita`,capabi- lity, responsabilita` che i laureati dovrebbero raggiungere come conseguenza degli studi universitari.

« a set of achievements – skills, understandings and personal attributes – that make gradua- tes more likely to gain employment and be successful in their chosen occupations, which benefits themselves, the workforce, the community and the economy » (Yorke & Knight, 2006: 3).

Questa definizione, famosa fra gli studiosi del settore, illustra con particolare enfasi come il problema del lavoro dei laureati sia un riflesso del percorso curri- culare, dove le capability, le conoscenze, le skills dovrebbero essere acquisite per dare al soggetto la capacita` di continuare per tutto l’arco della vita a svilup- pare cio` che sara` necessario per mantenere un livello di crescita umana e profes- sionale.

Il problema riguarda anche la differenza fra l’employability dei laureati e il lavoro dei laureati una volta usciti dai percorsi universitari. Affermano i due citati studiosi, in un saggio di circa quindici anni fa:

« Our definition of graduate employability is near-tautologous, being the possession of the understandings, skills and personal attributes necessary to perform adequately in a gradu- ate-level job. The near-tautology is dissipated when the nature of the graduate-level job is brought into consideration. For some jobs, a key need is for disciplinary expertise: the computer industry and social work provide two contrasting examples. In the field of Infor- mation Technology, accreditation by major companies is competing with awards from higher education (Adelman 2001), giving employability a very specific disciplinary focus in- deed. For other jobs, the need is for a person who can instead offer a broadly-based com- petence. The point is illustrated by Purcell and Pitcher (1996) who found that for many years over 40% of ‘graduate jobs’ had been advertised in the UK in terms more or less in- different to applicants’ subject of study. Harvey et al. (1997) showed that employers in the UK tended to value generic skills more highly than disciplinary-based understanding and skills [...]. The message seems to be ‘Give us a bright and engaged graduate, and we will build specific expertise for this organisation on top of that’ » (Knight & Yorke, 2002: 261- 262).

Accadeva venti anni fa cio` che attualmente stiamo ascoltando quando le aziende costruiscono i profili professionali da inserire nelle bacheche degli an- nunci. Il problema e` quale tipo diemployability si possa sostenere per dare ai nostri studenti le migliori possibilita` di inserimento lavorativo. Yorke e Knight suggeriscono con altri studiosi (Harvey, 1999, 2001, 2003, 2004), che la categoria debba connettersi con il curriculum di studio, qualsiasi esso sia. Non si tratta di consegnare skills o competenze, si tratta di modificare la didattica, di far entrare la formazione del se´ personale all’interno dei corsi, si tratta di superare le key- skills per arrivare a dotare i laureati delle potenzialita` necessarie per continuare a rinnovare la propria capacita` di stare nei luoghi di lavoro di vita. L’Universita` deve proporsi per il ruolo-guida nella formazione delle nuove generazioni e puo` farlo solo attraverso un processo che veramente consegni agli studenti la possibi- lita` di apprendere ad apprendere, il senso del se´ personale e professionale, le co- noscenze disciplinari, ma anche le capacita` di leggere i contesti e di orientarsi nell’arco della vita. Questi aspetti sono quelli che corrispondono al modello USEM, acronimo di:

– « Understanding;

– Skills (subject-specific and generic);

– Efficacy beliefs (and self-theories generally);

– Metacognition (including reflection) » (Yorke & Knight, 2006: 4).

Laddove Understanding significa puntare l’attenzione sulla comprensione dei saperi, potremmo affermare al modo di Edgar Morin (2000, 2001, 2015), Skills individua invece quella parte di competenze proprie della disciplina stu- diata, ma anche trasversali,Efficacy Beliefs sono quelle capacita` personali che ri- guardano la propria efficacia personale, essere consapevoli di cio` che si e` e di cio` che si possiede come teoria del se´, infine Metacognition riguarda la capacita` di ri- flettere, di produrre senso critico verso il mondo e la vita, ma anche verso il la- voro e la professione. Come fare per raggiungere questo livello di capacita`/com- petenze che non sono all’attenzione dei curricula universitari? La dimensione di-

dattica potrebbe supportare un cambiamento nella consapevolezza di costruire un rapporto vero ed efficace con il mondo del lavoro. Alcune idee gia` sono pre- senti in letteratura:

« In other words, curricular aims and design, learning and teaching, and assessment (espe- cially formative feedback) all need to be pointing in the same general direction. Pro- gramme leaders and designers should be asking whether the approach to teaching and as- sessment is

– consistent with a rounded conception of employability;

– structured to encourage progressively higher levels of autonomy;

– appropriately balanced throughout the programme (across contemporaneous units of study and across time);

– allowing those skills and qualities (that usually need longer than a study-unit to deve- lop) the opportunity to grow progressively;

– involving a variety of pedagogic methods and styles;

– encouraging deep rather than surface learning (or, put another way, weighting quality of learning more heavily than quantity of learning);

– valuing collaboration in learning for what it can offer to employability (but taking care to deal appropriately with assessment issues);

– providing plenty of feedback in a manner designed to enhance the capacity for self-asses- sment and to lead to enhanced future performance;

– helping students to become aware of, and document (perhaps via portfolios), what they have achieved during their period of time in higher education » (Knight & Yorke, 2002: 269).

Come dire che la costruzione dell’employability passi dal cambiamento di- dattico/metodologico all’interno dei curricula di studio. Non siamo molto distanti da quella modifica alla didattica che viene richiesta anche dalle indicazioni mini- steriali sul nuovo sistema di valutazione dei corsi di studio (Ministero dell’Istru- zione, dell’Universita` e della Ricerca, 2016), ovvero AVA 2.0. Cio` che preme met- tere in evidenza in questo contesto e`, pero`, il fatto che il cambiamento non debba essere fine a se stesso, indichi una modifica delle ragioni e dei fini per i quali l’Alta Formazione oggi, in Italia, possa avere un nuovo passo per ampliare i propri confini a molti piu` studenti, perche´ sia in grado di accompagnarli nella loro crescita personale e professionale, perche´ sia in grado di consegnare capa- cita` per il futuro, perche´ possa davvero ‘‘insegnare a vivere’’ come Morin indica in una delle sue ultime e illuminanti pubblicazioni (Morin, 2015).

3. I servizi di Placement degli Atenei: un nuovo ruolo per l’Orienta-