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LE LINEE GUIDA DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI MEDICINA DEL LAVORO E IGIENE INDUSTRIALE

ENRICO PIRA

L’elaborazione di linee guida applicabili alla gestione del rischio connesso con l’esposi-zione professionale ad agenti cancerogeni presenta non poche difficoltà e richiede di mediare tra diverse linee di pensiero che comprendono sia chi propone l’astensione da qualsiasi programma di sorveglianza, considerata l’ininfluenza di una eventuale dia-gnosi precoce rispetto al miglioramento della prodia-gnosi, sia chi raccomanda l’organizza-zione di capillari campagne di monitoraggio basate su test di effetto precoce non anco-ra completamente verificati, specie relativamente alla loro validità diagnostica nel caso singolo. Nelle linee guida della Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale (SIMLII) pertanto cercato di raggiungere un equilibrio tra le incertezze scientifiche e la necessità di razionalizzare gli interventi preventivi, tra l’altro generica-mente imposti dalla normativa vigente.

Queste problematiche sono state a lungo dibattute tra gli estensori delle linee guida e la scelta ha privilegiato gli aspetti pratici che consentissero, comunque, un’evoluzione anche sperimentale dei programmi tradizionali di sorveglianza sanitaria. Il processo logico muove dalla definizione degli esposti, identificati, così come previsto anche dal D.Lgs 25/02 specifico per il rischio chimico, in base alle reali condizioni di esposizione piuttosto che alla presunzione del rischio. Coerentemente con questa impostazione, si è ritenuto di poter proporre protocolli di sorveglianza che considerino, oltre agli approc-ci tradizionali, la possibilità di applicare, almeno sull’insieme degli esposti e nel quadro di programmi ben definiti e disegnati, cioè nel quadro di un’attività definibile come

“monitoraggio degli effetti biologici”, metodiche innovative e complesse, in grado di anticipare i potenziali effetti nocivi.

Per i cancerogeni la valutazione del rischio si fonda sulla valutazione dell’esposizione i cui obiettivi sono:

• giudicare se la concentrazione di cancerogeni nei materiali e negli ambienti di lavoro sia contenuta al livello minimo tecnicamente raggiungibile;

• identificare gli esposti (il minor numero possibile) che vengono iscritti al registro di cui all’articolo 70.

La valutazione deve essere condotta secondo le indicazioni riportate all’articolo 63 e pertanto deve tenere conto:

• delle caratteristiche delle lavorazioni;

• dei quantitativi di agenti cancerogeni prodotti ovvero utilizzati;

• del loro stato di aggregazione e della relativa possibilità di rilascio;

• della loro concentrazione;

• della durata e della frequenza dell’esposizione;

• della capacità di penetrare nell’organismo per le diverse vie di assorbimento.

Allo scopo di definire i criteri quantitativi di esposizione che concorrono ad individuare i soggetti per i quali si può configurare un rischio per la salute (destinatari, secondo l’art.

69, della sorveglianza sanitaria), considerato che non tutti i livelli di esposizione possono essere idonei a produrre un rischio significativo, si propone il seguente approccio:

1. verificare se l’entità dell’esposizione è contenuta entro i limiti previsti per la popola-zione generale, ove definiti per quella data sostanza. All’uopo si ritiene indispensa-bile l’utilizzo di un criterio di tipo statistico secondo il tradizionale approccio dell’Igiene Industriale. Si propone, in linea di principio, l’esecuzione di determina-zioni ambientali e biologiche - integrate secondo la natura dell’agente e della dispo-nibilità di valori di riferimento - a cadenza trimestrale per il primo anno. In questa fase i soggetti “esposti” saranno iscritti nel registro di cui all’art. 70. Al termine del periodo di monitoraggio, se il rispetto dei limiti per la popolazione generale sarà stato costantemente osservato l’iscrizione nel registro verrà annullata ma il monito-raggio ambientale e biologico verrà condotto regolarmente a cadenza semestrale a verifica del mantenimento delle condizioni operative/tecnologiche. In caso di modi-fica sostanziale di dette condizioni si dovrà necessariamente ripetere il ciclo di valu-tazioni. Un simile orientamento è previsto dalla legislazione finlandese che, nella istituzione del registro degli esposti a cancerogeni, ha previsto, con una norma del National Board of Labor Protection del 1985, che la notifica deve avvenire se l’esposizione occupazionale supera i livelli di esposizione della popolazione generale (Heikkila e Kauppinen, 1992). Le indagini ambientali dovranno essere effettuate secondo le norme UNI indicate nel DLgs 25/02. Per quanto riguarda i dati biologi-ci, in caso di carenza di valori di riferimento proposti da Enti o Istituzioni scientifi-che, dovranno essere costruiti con criteriologia validata.

2. Nel caso in cui non siano disponibili limiti relativi alla popolazione generale, sarà ovviamente obbligatoria l’iscrizione nel registro degli esposti. Se sono disponibili valori limite di esposizione professionale, il rispetto di tali limiti potrà essere utiliz-zato per una graduazione del programma di sorveglianza sanitaria. Questo princi-pio, già enunciato nella normativa relativa agli esposti a Cloruro di Vinile Monomero, attribuisce al medico competente l’organizzazione della sorveglianza

“caso per caso, tenuto anche conto dei dati ambientali e di esposizione” (DPR 962/82, ora abrogato - Direttiva CEE 78/610).

3. Fermo restando che gli eventuali limiti di esposizione non devono essere superati (articolo 62), il rispetto documentato dei limiti di esposizione non deve esimere dall’attuazione di un programma di sorveglianza sanitaria. Questo principio trova una giustificazione razionale nella stessa definizione di valore limite, che fa riferi-mento alla “quasi totalità” o alla stragrande maggioranza, ma mai alla “totalità”

dei lavoratori, creando quindi il presupposto della necessità della sorveglianza sani-taria sui lavoratori a rischio.

Per attivare e graduare la sorveglianza sanitaria, si propone arbitrariamente di conside-rare i lavoratori

• non esposti, se l’esposizione è contenuta nei limiti previsti per la popolazione genera-le, ove definiti;

• esposti a concentrazioni moderate, se rilevate concentrazioni comprese entro il 50%

del valore limite;

• esposti a concentrazioni elevate, se rilevate superiori al 50% del valore limite.

Fatte queste considerazioni, sussiste ancora la difficoltà pratica nello stabilire soglie di rischio, o concentration trigger (Straif e Silverstein, 1997), basate non tanto sulle tracce di sostanze eventualmente reperibili nell’aerodisperso o sulle superfici del luogo di

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ro, così difficili da misurare, quanto sulla quantità d’uso/numero di occasioni/tempo, per esempio nell’arco del mese o dell’anno lavorativo. Sempre in riferimento al Registro finlandese questo problema è stato superato considerando esposti i soggetti che, nel corso dell’anno, utilizzano la sostanza per più di venti giorni lavorativi e per buona parte della giornata, con l’ovvia eccezione di eventi accidentali (Heikkila e Kauppinen, 1992).

Un approccio analogo può essere proposto solo se vengono adottate procedure che garantiscano un rigoroso rispetto delle norme di sicurezza nelle diverse fasi di processo o utilizzo, tali da comportare livelli di esposizione contenuti entro i valori di concentra-zione proposti per la popolaconcentra-zione generale. Va infatti considerato che il rischio, inteso come probabilità che insorgano patologie tumorali nella popolazione considerata, non dipende solo dalle proprietà intrinseche della(e) sostanza(e) utilizzata(e), cioè dal potere cancerogeno di ciascuna sostanza, ma anche dai livelli di esposizione nelle particolari condizioni di impiego proprie dell’attività lavorativa presa in considerazione e dalla eventuale esposizione a co-cancerogeni o promotori, nonché dal numero e dalla suscet-tibilità dei lavoratori esposti.

Un percorso razionale dovrebbe muovere dalla misura dei livelli di dose interna (moni-toraggio biologico) per considerare successivamente i diversi momenti di risposta dell’organismo suscettibile, distinguendo tra effetti reversibili e non reversibili. Il flusso è schematizzato nella figura 1.

Il riferimento ad effetti precoci e reversibili dovrebbe escludere la sorveglianza sanita-ria come attività rivolta alla diagnosi precoce: questa infatti, sia consentito dirlo, sem-mai è una mezza sconfitta sotto il profilo preventivo, dato che la sua efficacia è subor-dinata ai mezzi terapeutici disponibili, tuttora assai scarsi, per esempio nei confronti del cancro professionale più diffuso, quello polmonare.

E’ opportuna una valutazione generale, di sintesi, sulle utilità di questi indicatori in campagne di sorveglianza sanitaria in esposti a sostanze chimiche con effetti mutage-ni/cancerogeni.

a) Allo stato attuale, il monitoraggio con indicatori di dose interna sembra essere il più applicabile nelle situazioni in cui sono noti gli agenti in gioco, anche se serve solo per valutare l’entità delle esposizioni.

b) L’utilizzo di indicatori di dose biologicamente efficace (addotti al DNA e alle pro-teine), quando i metodi siano disponibili, permette una migliore valutazione dell’esposizione. I metodi necessitano tuttavia di validazione per quanto riguarda la relazione con gli effetti. Allo stato attuale il loro impiego è limitato a protocolli di ricerca.

c) Il test di effetto biologico precoce, pur essendo teoricamente più validi per la valuta-zione del rischio, sono però aspecifici e non sono quantitativamente validati.

Essendo i metodi non ben standardizzabili ed essendo i risultati influenzati da vari fattori, la loro applicazione nel monitoraggio richiede lo studio contemporaneo di appropriati gruppi di riferimento. I risultati, ma già la loro pianificazione, devono comunque essere messi in relazione a dati relativi all’esposizione. A questo riguardo può essere utile l’esempio del monitoraggio con diversi indicatori dell’esposizione a cloruro di vinile. Sono stati proposti sia indicatori di dose interna sia di dose biolo-gica efficace (AC, mutazioni puntiformi, micronuclei per le esposizioni recenti) applicabili per valori ambientali di 5 ppm. Considerato che l’attuale TLV per il clo-ruro di vinile proposto nell’allegato VIII bis del D.Lgs 626/94 è di 3 ppm ne conse-gue che il rispetto del limite ambientale esclude di fatto l’utile applicazione di questi ausili, già in riferimento alla loro sensibilità.

d) Il test della frequenza di aberrazioni cromosomiche nei linfociti è attualmente l’unico per cui esista una validazione per effetti a lungo termine (aumentato rischio di tumori). Tuttavia il metodo non è applicabile su larga scala essendo laborioso e costoso, in quanto richiede notevole impiego di tempo di personale altamente quali-ficato. Test più semplici, quali ad esempio quello della frequenza di micronuclei nei linfociti, non sono validati.

Qualora si voglia programmare un monitoraggio mediante indicatori di effetto biologi-co prebiologi-coce, non bisogna trascurare i problemi etici che si impongono. È necessaria l’informazione dei soggetti circa gli scopi ed i limiti dei test, nonchè sul significato tut-tora non chiaro dei risultati.

Una necessaria premessa alla formulazione di proposte di protocolli finalizzati alla sor-veglianza sanitaria è rappresentata da alcune considerazioni riassuntive di varia natura, ma da tenere in debito conto nella valutazione del significato globale della sorveglianza sanitaria.

- Quando si passa dalla valutazione dell’esposizione a quella del rischio emerge, per comune accettazione della comunità scientifica, che questa non è definibile; è tutta-via graduabile (ad esempio, il rischio cancerogeno da CVM si pone ad ordini di grandezza da quello delle amine aromatiche sotto il profilo della dose necessaria).

- La legge è onnicomprensiva, nel senso che non distingue le situazioni stabili (in genere pochi agenti cancerogeni in quantità prefissate: industria) da quelle mutevoli (molte sostanze in quantità e tempi di uso variabilissime: laboratori...). Ciò compor-ta ben diverse possibilità di valucompor-tazione e controllo.

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- L’attenersi ad una sorveglianza sanitaria aspecifica e sostanzialmente poco utile implica, a monte, la fondamentale ed insostituibile opera di prevenzione per un ambiente di lavoro intrinsecamente sicuro; in caso contrario la sorveglianza sanita-ria sarà graduata anche in funzione delle carenze sul piano tecnico-preventivo ed in base a criteri di fattibilità o di rapporti costi-benefici.

- La necessità di sorveglianza sanitaria dovrà adeguarsi al progressivo ottenimento di valori di riferimento per la popolazione generale, al di sotto dei quali l’istituzione della sorveglianza sanitaria è un “nonsense”.

Nel proporre alcuni orientamenti mirati, relativamente ai metodi per il controllo perio-dico dei lavoratori esposti a cancerogeni specifici e/o al rischio di specifici tumori, è necessario premettere che non è stato considerato tutto quanto riguarda l’entrata al lavoro esponente al rischio, vale a dire gli elementi ed i corollari della visita medica pre-ventiva.

Pertanto, in particolare, non viene fatto alcun riferimento a proposte di screening gene-tico, al fine di individuare, fra l’altro, un’eventuale suscettibilità al cancro (Van Damme et al., 1995) sulla base, ad esempio, del riscontro di vari polimorfismi metabolici geneti-camente determinati, predisponenti al cancro del polmone (debrisochina, aril-idrocar-buro idrossilasi: Vineis et al., 1992; destromorfano: Gaffuri et al., 1991) o della vescica (aril-idrocarburo idrossilasi: Kadilubar et al., 1992). Quindi non si entra nemmeno nei rilevanti problemi etico-sociali che queste pratiche, ove prese in considerazione, solleve-rebbero (Van Damne et al., 1995; Vineis 1998).

Una considerazione particolare è stata dedicata al tumore professionale più importante riguardo ad incidenza e gravità della prognosi, ovvero il carcinoma del polmone.

Si rende infatti necessaria una valutazione a monte degli ausili diagnostici disponibili per lo screening di questa neoplasia nell’ottica di un miglioramento della prognosi e, pertanto, su quali possano essere le procedure da adottare con vantaggio per la sorve-glianza sanitaria. Ad oggi non vi è evidenza di una riduzione della mortalità per tumore del polmone a seguito dell’organizzazione di campagne di screening imperniate sullo strumento diagnostico più diffuso e consolidato nel tempo cioè la radiologia del torace, anche in combinazione con la citologia sull’escreato e, pertanto, autorevoli istituzioni, quali il National Cancer Institute, sostengono che ad oggi tale prassi non parrebbe utile, anche se non sono ancora disponibili i risultati di un grande studio randomizzato volto a valutare l’eventuale beneficio derivante dal ricorso ad un esame radiografico annuale del torace (Prostate, Lung, Colorectal and Ovarian (PLCO) Cancer Screening Trial - National Cancer Institute), in cui sono stati arruolati 74.000 soggetti.

In pratica il gruppo di lavoro non ritiene utile il ricorso alla radiologia tradizionale del torace nella sorveglianza sanitaria degli esposti ad agenti oncogeni polmonari, ma tale ausilio diagnostico viene riferito alla autonomia decisionale del singolo medico compe-tente sottolineando che, qualora venisse adottata come pratica di screening, il periodi-smo di controllo non può essere superiore ai dodici mesi.

E’ stata discussa l’opportunità di procedure di diagnosi per immagine mediante TC spi-rale a basse dosi (LDTC) rilevandone i vantaggi e gli svantaggi. Anche in questo caso i protocolli non prevedono scelte obbligate ma demandano al medico competente ogni opzione decisionale. Questa posizione è stata oggetto di critiche ma il gruppo di lavoro ritiene che sia opportuno discutere se si debba indirizzare le decisioni cliniche in base alle migliori evidenze disponibili o farle discendere esclusivamente dalle migliori possi-bili, consci del fatto che per motivi diversi (etici, economici, metodologici) queste

potrebbero non essere mai disponibili. A questa filosofia decisionale sono state ispirate nel tempo le scelte per le procedure di sorveglianza sanitaria con proposte di protocolli che, pur non adeguate ai criteri della “Evidence Based Medicine”, hanno costituito il riferimento per le scelte operative del medico del lavoro che si rivolge, ricordiamo, alla tutela della salute non della popolazione generale, ma di gruppi particolari e ristretti di persone che hanno maturato, non per loro scelta deliberata, un’importante esposizione ad agenti oncogeni polmonari. Tra queste, si ricorda la proposta di Rubino, Scansetti, Terracini e Tomatis in merito ai criteri e metodi di controllo periodico dei lavoratori esposti a rischio da cancerogeni che prevedeva, per il tumore del polmone, il controllo periodico mediante la radiografia del torace e l’esame citologico dell’escreato. Preme pur sottolineare come il tentativo di applicare alla prevenzione i criteri della “Evidence Based Medicine” sia discutibile, per l’ovvio conflitto di natura etica tra le esigenze della scienza di ottenere “prove” certe e quelle della prevenzione di intervenire su fattori di rischio eliminabili.

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