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Fattori eziologicamente rilevanti nel singolo caso di malattia

BIO-MECCANICO

PIER ALBERTO BERTAZZI C LINICA DEL L AVORO L UIGI D EVOTO

C. Fattori eziologicamente rilevanti nel singolo caso di malattia

Affrontiamo così l’ultima parte. Dato che le cause di malattie sono sempre, con ben poche eccezioni, complessi multifattoriali, come possiamo identificare i fattori eziologi-camente rilevanti nel singolo caso di malattia?

Abbiamo visto che disponiamo di indici quantitativi come per esempio i rischi relativi che ci dicono di quanto aumenta il rischio di contrarre una data patologia a seguito della esposizione ad un certo agente; oppure i rischi o frazioni attribuibili che ci dicono quale proporzione di quella malattia è da considerarsi associata al fattore lavorativo in causa: per i tumori ad esempio, abbiamo molte stime di attribuibilità riassunte nella tabella 4. Altre ne abbiamo viste per lo stress e le malattie muscolo-scheletriche.

Ma resta il problema. Infatti tutte queste stime e valutazioni, e le conclusioni che se ne possono trarre, hanno valore unicamente a livello di popolazione e possono essere rife-rite soltanto ad un astratto “individuo medio” che appartenga a quella popolazione. Il nostro interesse invece è di poter applicare le conoscenze esistenti alla valutazione di un singolo specifico caso.

Per compiere valutazioni sull’individuo possiamo identificare due metodi principali.

Uno è quantitativo, probabilistico e permette di stimare la probabilità che una data esposizione abbia causato la malattia; e può permettere anche di quantificare la proba-bilità del ruolo causale per i diversi fattori coinvolti.

Il secondo approccio si basa invece su una valutazione qualitativa delle evidenze scien-tifiche e porta a concludere se, in quel particolare individuo, l’esposizione abbia fatto parte o meno della trama causale (o complesso causale) che ha portato alla malattia.

Partiamo da quello quantitativo.

Ammettiamo di avere una evidenza molto buona circa l’associazione tra una esposizio-ne e una malattia: il tasso di incidenza tra gli esposti sia di 144x100.000 e il tasso di rife-rimento sia 80x100.000. Il rischio relativo è quindi 1.8. Si tratta di una stima molto pre-cisa (intervallo di confidenza contenuto) e statisticamente significativa. Assumiamo

inoltre che il possibile confondimento e altri possibili bias siano stati controllati e che ripetuti studi abbiano confermato l’associazione per la quale esiste anche una plausibile interpretazione biologica. Con questi solidi dati di base possiamo compiere qualche stima quantitativa. Sulla base dei dati di riferimento, si può notare che 80, cioè il 55.6%

o più della metà dei 144 casi osservati negli esposti, sarebbero occorsi anche in assenza di esposizione. Da ciò si può inferire che un individuo esposto avrebbe avuto più del 50% di probabilità di sviluppare la sua malattia anche in assenza della esposizione.

Assumiamo ora una situazione leggermente differente nella quale non cambia l’inciden-za negli esposti, ma cambia, invece, quella di riferimento (più bassa, 65x100.000 invece di 80x100.000), il rischio relativo diventa 2.2 anziché 1.8. In questo caso, solo il 45.1%

dei casi (65 su 144) nella popolazione esposta sarebbe avvenuto anche in assenza della esposizione. Quindi, possiamo inferire che un individuo esposto che contrae la malattia ha più del 50% di probabilità di avere sviluppato quella malattia proprio a causa della esposizione.

Questo stime appaiono molto semplici ed agevoli. Tuttavia si basano su un metodo forse troppo schematico. In generale, se il rischio relativo è maggiore di 2.0, allora il caso è più-probabilmente-che-no dovuto alla esposizione. Se il RR è, invece, inferiore a 2.0 è più probabile che il singolo caso non sia dovuto all’esposizione.

Possiamo anche esprimere una stima di probabilità per ciascuno dei fattori in gioco.

Manteniamo l’esempio numerico precedente di un RR pari a 1.8 tra gli esposti. L’espo-sizione è dunque responsabile di un eccesso di rischio relativo pari a 0.8. Di quel rischio, possiamo allora dire, l’occupazione è responsabile per il 44% (0.8/1.8) mentre gli altri fattori, che interessano tutta la popolazione e non solo gli esposti, sono respon-sabili per il 56%. Questo calcolo può essere compiuto anche quando i fattori di esposi-zione da considerare siano più di uno.

Prendiamo ancora l’esempio di questo ipotetico cancerogeno occupazionale che negli esposti porta il RR da 1.0 (popolazione di riferimento) a 1.8 (rischio in eccesso negli esposti pari a 0.8). Assumiamo però che anche il fumo di tabacco influisca su quel rischio, e in maniera molto più forte, incrementando il rischio relativo di ben 5 volte (RR=5.0, rischio relativo in eccesso nei fumatori=4.0). Prendiamo il caso di un indivi-duo che è esposto, che fuma e che ha contratto la malattia di interesse (RR=1.0+0.8+4.0=5.8).

Seguendo il metodo che abbiamo visto - e che possiamo chiamare probability of causa-tion- si può giungere a stimare che:

• l’occupazione è responsabile di quella malattia per il 14% (0.8/5.8)

• il fumo di tabacco è responsabile per il 69% (4.0/5.8)

• altri fattori, comuni anche alla popolazione generale, sono responsabili per il 17%

(1.0/5.8).

Questo metodo può sembrare molto semplice e chiaro. Tuttavia i suoi limiti sono nume-rosi e, tra questi, il fatto che non vengono considerate le interazioni tra i fattori ed il fatto che le stime sono in realtà, ancora una volta, valide per l’ipotetico individuo medio della popolazione, ma non necessariamente per il nostro specifico caso individuale.

Queste stime si basano sull’assunto che la somma dei contributi dei diversi componenti debba necessariamente avere un tetto al 100%. Queste proporzioni di responsabilità possono invece sovrapporsi e non hanno un limite superiore. Poiché nessuna malattia ha un singolo agente come causa, ogni caso può essere attribuito in contemporanea a molte cause componenti (necessarie). La somma delle proporzioni di malattia attribui-bili a ciascuna causa componente può essere superiore a 100% e non è necessario che la loro somma totalizzi forzatamente 100%.

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Resta il metodo qualitativo che si basa su una triplice evidenza che richiede di essere integrata e valutata in maniera esperta e competente:

• Obiettiva evidenza di un nesso causale tra le due entità (esposizione e malattia)

• Obiettiva evidenza della malattia nell’individuo (accuratezza diagnostica)

• Obiettiva evidenza di esposizione dell’individuo (storia; indicatori anche di suscetti-bilità; modalità di esposizione, livello e latenza)

L’esposizione di interesse, come entità, deve essere una causa riconosciuta della malat-tia in considerazione, come entità (non come singolo caso) sulla base di:

• robusta e valida evidenza epidemiologica;

• modelli animali appropriati e riproducibili;

• documentazione morfologica o funzionale del processo patogenetico.

La malattia della persona particolare deve essere identica, o entro lo spettro dia-gnostico, della malattia che come entità è stata eziologicamente associata alla espo-sizione

L’esposizione di interesse del particolare soggetto deve avere proprietà comparabili (in termini, ad es., di intensità, durata, latenza) a quelli dimostratisi capaci di causare la malattia in considerazione.

Valutare se nella storia di quella persona l’esposizione a stata una componente del complesso causale sufficiente a produrre quella malattia è il cuore di questo proces-so valutativo. Ci vuole qualcuno che valuti e sappia riconoscere i componenti del complesso causale e se tra questi sia compreso il lavoro. Se sì, allora il lavoro è riconoscibile come causa necessaria, in quel caso non di quella malattia come entità.

Credo di poter concludere con tre affermazioni circa la valutazione del nesso esposizio-ne malattia esposizio-nel singolo individuo:

• sul caso singolo è sempre necessaria una indagine particolare, una ricostruzione

“storiografica” approfondita dei fatti;

• dei molti possibili complessi causali di quella data malattia uno solo si è realizzato in questa specifica circostanza e va riconosciuto;

• non esiste, e tanto più per le malattie che stiamo considerando, un modello di vali-dità generale che si applichi ad ogni singolo caso particolare.

Tabella 1

Indagine in 15 stati membri UE, 2000 147 milioni di lavoratori Frequenza patologie:

» 30% soffre di rachialgia

» 28% di “stress”

» 20% di affaticamento cronico

» 17% di dolori muscolari

» 13% di cefalea Costi stimati:

» circa 20 miliardi di Euro/anno

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ACGIH www.acgih.org/home.htm (A1) Carcinogeno riconosciuto per l’uomo. L’agente è risultato carcinogeno per l’uomo sulla base dei risultati di studi epidemiologici. (A2) Carcinogeno sospetto per l’uomo. Dati sull’uomo adeguati per qualità ma controversi o insufficienti oppu- re l’agente è risultato carcinogeno in animali con dati considerati rilevanti per l’esposizione dei lavoratori. Applicata quando si ha evidenza ridotta sull’uomo e sufficiente in animali con rilevanza per l’uomo. (A3) Carcinogeno riconosciuto per l’animale con rilevanza non nota per l’uomo. E’ risultato carcinogeno in animali ad una dose relativamente elevata o per vie di somministrazione, in sedi, di tipo istologico o mediante mecca- nismi che possono non essere rile- vanti per i lavoratori esposti. Gli studi epidemiologici non conferma- no un incremento del rischio del cancro per l’uomo esposto.

IARC www.iarc.fr (1) Sicuramente cancerogeno per l’uomo. Vi è sufficiente evidenza di cancero- genicità nell’uomo in studi epide- miologici adeguati. Eccezionalmente l’evidenza nell’uomo è meno che sufficiente ma c’è sufficiente eviden- za in animali e forti evidenze in uomini esposti che l’agente agisce attraverso un meccanismo rilevante. (2A) Probabilmente cancerogeno per l’uomo. Vi è evidenza limitata nell’uomo e sufficiente negli animali. In alcuni casi solo sulla base di evidenza ina- deguata nell’uomo e sufficiente in animali e forte evidenza che il mec- canismo operi anche nell’uomo. Eccezionalmente solo sulla base di limitata evidenza nell’uomo. (2B) Possibilmente cancerogeno per l’uomo. Vi è evidenza limitata nell’uomo e meno che sufficiente negli animali. Anche in caso di evidenza inadegua- ta sull’uomo se vi è sufficiente evi- denza negli animali. Oppure nel caso di inadeguata evidenza sull’uomo se vi è evidenza limitata di cancerogeni- cità negli animali insieme con altri dati rilevanti di supporto.

EPA www.epa.gov (A) Carcinogeno riconosciuto. Evidenza sufficiente di cancerogeni- cità in studi epidemiologici adeguati (B1) Probabile cancerogeno. Evidenza limitata nello uomo e suf- ficienti in animali(B2) Probabile cancerogeno. Evidenza sufficiente in animali e inadeguata (o assenza di dati) nell’uomo (C) Possibile cancerogenoEvidenza limitata in studi su animali in assen- za di dati sull’uomo OSHA www.osha.gov (Categoria 1)Sono disponibili e positi- vi: (a) studi epidemiologici,(b) uno stu- dio al ungo termine su una singola specie animale insieme con altre evi- denze concordanti, (c) uno studio a lungo termine positivo e adeguata- mente condotto su una specie in cir- costanze per quali non è ritenuta necessaria la disponibilità di altre evidenze concordanti (Categoria 2) (a) la sostanza risponde ai criteri espressi al punto (a) della prima categoria ma l’evidenza è solo sug- gestiva (b) la sostanza risponde ai criteri espressi al punto (b) della prima categoria. in una singola specie ma senza evidenza di concordanza

Tabella 2 Agenzie di valutazione della cancerogenicità di sostanze e composti e classi e criteri di classificazione utilizzati.

segue: Tabella 2 ACGIH www.acgih.org/home.htm (A4) Non classificabile come carcino- geno per l’uomo definitivamente per insufficienza di dati. Gli studi in vitro o su animali non forniscono indicazioni sufficien- ti per classificare l’agente in una delle altre categorie. (A5) Non sospetto come carcinogeno per l’uomo sulla base di studi epide- miologici appropriatamente condot- ti. Oppure l’evidenza di scarsa carci- nogenicità nelle prove su animali è supportata da dati di meccanismo IARC www.iarc.fr (3) Non può essere classificato in merito alla sua cancerogenicità per l’uomo.L’evidenza è inadeguata nell’uomo ed inadeguata o limitata negli animali. Eccezionalmente in caso di evidenza inadeguata nell’uomo ma sufficiente nell’anima- le se vi è forte evidenza che il mecca- nismo d’azione negli animali sia diverso da quello operante nell’uomo. Raccoglie tutti gli agenti che non trovano collocazione in altri gruppi. (4) Probabilmente non cancerogeno per l’uomo.Vi sono evidenze che indicano assenza di cancerogenicità nell’uomo e negli animali. In alcuni casi se vi sono evidenze inadeguate sull’uomo ma evidenze di assenza di cancerogenicità negli animali in pre- senza di un ampio numero di dati rilevanti a supporto.

EPA www.epa.gov (D) Non classificabileper evidenze inadeguate in uomo e animali oppu- re non disponibilità di dati (E) Non cancerogeno per l’uomo. Assenza di evidenza cancerogenicità in uomo e animali OSHA www.osha.gov

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34 CEE http://europa.eu.int

NTP http://ntp-server.niehs.nih.gov/ Note per essere cancerogene per l’uomo.Sufficiente evidenza in studi epidemiologici e sperimentali su cel- lule o tessuti umani. Ragionevolmente considerate cance- rogene per l’uomo.Limitata evidenza di in studi sull’uomo che indicano una relazione casuale credibile, non potendo però escludere spiegazioni alternative CCTN Commissione consultiva Tossicologica nazionale

DFG http://www.df.de (1) Sostanze in grado di provocare il cancro. Studi epidemiologici adeguati e positivi. Oppure dati epidemiologici limitati più eviden- za di meccanismo d’azione rilevante per l’uomo. (2) Sostanze considerate cancerogene.Evidenze sufficienti da studi a lungo termine su animali. Oppure evidenze limitate ottenute da studi su animali più evidenze da studi epidemiologici. Dati limitati da studi sperimentali supportati dall’evidenza di un meccanismo d’azione rile- vante per l’uomo, dai risultati di test in vitro e dai risultati di studi su animali a breve termine. (3) Sostanze preoccupanti ma per le quali risul- ta impossibile una valutazione conclusiva per mancanza di dati. L’inserimento in questa categoria è provvisorio. (3A)Soddisfano i criteri di classificazione per categoria 4 o 5, ma non ci sono dati sufficienti per stabilire un MAK.(3B)Non evidenza suf- ficiente per la loro classificazione in altre cate- gorie da studi in vitro o su animali. Necessari altri studi. MAK o BAT se non dotate di effetti genotossici.

(1) Sostanze note per gli effetti cancerogeni sull’uomo. Esistono prove sufficienti per stabilire un nesso causale tra l’esposizione umana ad una sostanza e lo sviluppo di tumori (2) Sostanze che dovrebbero considerarsi cancerogene per l’uomo. Esistono elementi sufficienti per ritenere verosimile che l’esposi- zione possa provocare lo sviluppo di tumori, sulla base di ade- guati studi a lungo termine effettuati su animali e altre informazioni specifiche (3) Sostanze da considerare con sospetto per possibili effetti cance- rogeni sull’uomo (3a)Sostanze saggiate in modo sufficiente, evidenza cancerogena inadeguata per classificare in categoria 2. Ulteriori esperimenti non aggiungerebbero elementi utili a modificare la classificazio- ne.(3b)Sostanze saggiate in modo insufficiente. Dati disponibili inadeguati, ma preoccupanti per l’uomo. Classificazione provvi- soria, occorrerebbero ulteriori esperimenti per conclusioni defini- tive.

segue: Tabella 2

segue: Tabella 2 CEE http://europa.eu.int NTP http://ntp-server.niehs.nih.gov/CCTN Commissione consultiva Tossicologica nazionale

DFG http://www.df.de (4) Sostanze con potenziale capacità carcinoge- netica ma assente o minima capacità genotossi- ca.Attribuito MAK. Evidenza che l’aumento della proliferazione cellulare od il cambiamento della differenziazione cellulare hanno un ruolo importante nel meccanismo d’azione. Considerati i molteplici meccanismi d’azione e le loro relazioni dose- tempo- risposta (5) Sostanze con effetti cancerogeni e genotossi- ci, la cui potenza è considerata talmente bassa che non è atteso un significativo contributo al rischio di sviluppare cancro nell’uomo,se i valori MAK e BAT sono rispettati. La classificazione è supportata da informazioni sul meccanismo d’azione, dose dipendenza e dati tossicocinetici pertinenti al confronto fra specie.

(4) Sostanze non valutabili. (4a)Assenza di studi o studi inadeguati o limitati che comunque non hanno segnalato effetti cancerogeni. La classificazione è provvisoria.(4b) Esperimenti adeguati hanno indotto effetti can- cerogeni di dubbio significato per l’uomo. Ulteriori esperimenti non aggiungerebbero elementi utili a modificare la classificazio- ne. (5) Sostanze probabilmente non cancerogenesulla base di studi epidemiologici e/o sperimentali adeguati insieme ad altre infor- mazioni specifiche.

Tabella 3: Rischio relativo di malattia coronarica

Lavoro giornaliero Lavoro a turni

Non fumatori 1 1.3

Fumatori 1.6 2.7

Obesità 1.3 2.3

Tenkanen et al. (1998)

Tutte le età 1 1.3

45-55 anni: - Uomini 1.6

45-55 anni: - Donne 3.0

Knutsson et al. (1999)

Tabella 4: Proporzioni di tumori attribuibile alla occupazione

Higginson (1969): 1% oral, 1-2% lung, 10% bladder, 2% skin.

Higginson e Muir (1976): 1-3% total cancer.

Wynder e Gori (1977): 4% total cancer M, 2% total cancer F.

Higginson e Muir (1979): 6% total cancer M, 2% total cancer M+F.

Bridboard et al. (1981): 23-38% total cancer (13-18% asbestos).

Doll e Peto (1981): 4% (2%-8%) total cancer.

Hogan e Hoel (1981): 3% (1.4%-4.4%) total cancer (asbestos alone).

Vineis e Simonato (1991): 1-5% lung, 14-24% bladder cancer.

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Figura 1: Associazione esposizione/effetto

Figura 2

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Figura 3: Processo multistadio di cancerogeni

Lavorativi Personali

MOVIMENTI RIPETITIVI

ALTA FREQUENZA E VELOCITÀ

USO DI FORZA

POSIZIONI INCONGRUE

COMPRESSIONI DI STRUTTURE ANA-TOMICHE

COLPI RIPETUTI UTILIZZANDO LE MANI

RECUPERO INSUFFICIENTE

VIBRAZIONI

DISERGONOMIE DEGLI STRUMENTI

USO DI GUANTI INADEGUATI

ESPOSIZIONE A FREDDO

LAVORO A RITMI VINCOLATI

PARCELLIZZAZIONE LAVORO

SESSO

ETÀ

TRAUMI E FRATTURE

PATOLOGIE CRONICHE

STATO ORMONALE

ATTIVITA’ TEMPO LIBERO

STRUTTURA ANTROPOMETRICA

CONDIZIONE PSICOLOGICA

ESPERIENZA LAVORATIVA

Figura 4: Fattori causali nelle WMSD

Figura 5: Cause Sufficienti e Cause Componenti