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Negli ultimi mesi del 1944, dopo che i nazisti avevano cominciato a «pacificare» l’insurrezione di Varsavia radendo al suolo le aree centrali della città, emerse un deciso cambiamento di scala nelle elaborazioni teoriche prodotte nei laboratori di progettazione clandestini. Prima dello scoppio della sollevazione, Varsavia era ancora una città che aveva subito danni meno ingenti, ad esempio, di Londra. Conseguentemente, fino ad allora, l’attività di progettazione si era concentrata sulla elaborazione di piani settoriali contenenti alcune migliorie parziali da applicare ad un territorio urbano immodificabile nel suo complesso, in uno stato di necessaria continuità con lo sviluppo territoriale fino ad allora sperimentato dalla città. Erano, questi, dei piani destinati alla rivisitazione o alla ristrutturazione di porzioni limitate del territorio urbano, quali piazze, arterie, complessi architettonici. Oppure erano piani che si occupavano di aspetti specifici (aree verdi, ad esempio, o la viabilità), che non prevedevano una completa rivoluzione rispetto all’assetto territoriale del 1939.

A seguito dell’ondata di distruzione con le quali i nazisti decisero di placare l’insurrezione, tuttavia, si rese manifesta l’opportunità (e la necessità) di individuare dei progetti per il dopoguerra molto meno vincolati alla strutture urbane preesistenti, che i nazisti avevano smantellato. Di conseguenza, si intravide la possibilità di ripensare la città nella sua totalità, e non solo in alcune sue parti.

A Lublino, nel novembre del 1944 si tenne la prima riunione della Sarp, l’Organizzazione degli architetti polacchi. Secondo quanto scrisse Michal Kaczorowski,

1 Ibidem.

all’epoca direttore dell’Ufficio per la pianificazione e la ricostruzione presso il Pkwn (comitato di liberazione nazionale) e in seguito ministro della Ricostruzione, in quella occasione si discusse della questione della proprietà dei suoli, un aspetto fondamentale per l’opera che si sarebbe dovuta affrontare una volta liberata anche la riva sinistra di Varsavia1. Nella mente dei progettisti polacchi erano ben chiare le infinite possibilità che la nazionalizzazione dei suoli avrebbe dischiuso. Non solo i polacchi, ma tutti gli urbanisti di orientamento progressista, d’altronde, avevano già prospettato tali soluzioni ormai da molto tempo. Per quanto riguardava poi il problema di quale ruolo affidare alla città nel dopoguerra, ovvero la possibilità di reinsediare o meno il governo a Varsavia, vi fu un generale consenso fra la Sarp e l’Ufficio per la pianificazione riaguardo al fatto che Varsavia avrebbe dovuto tornare ad essere quanto prima la capitale della Polonia2, e in quanto tale avrebbe dovuto essere ricostruita. Le missive scambiatesi da questi due organismi3 mostrarono quindi, una visione del futuro molto più chiara rispetto a quella che all’epoca avevano i vertici politici del Pkwn.

Prima ancora che Varsavia fosse liberata, lavorando su dati frammentari o inesistenti circa l’estensione delle distruzioni sull’altra parte della Vistola (foto aeree, racconti parziali), nel quartiere di Praga conquistato dall’Armata rossa venne elaborato un breve memoriale riguardante la ricostruzione della città. A quanto scrive Sigalin, tale scritto risalirebbe all’ottobre-novembre del 1944. Vi erano presenti delle Tesi generali che delineavano in maniera già molto chiara quali vie avrebbe imboccato la rinascita della città. In particolare, le prime due tesi ribadivano la necessità di ricostruire Varsavia nella sua interezza e in qualità di capitale dello stato, le altre due affermavano molto distintamente la volontà di produrre, attraverso l’opera di ricostruzione, una vera e propria rivoluzione urbanistica tramite l’applicazione del modello della città-regione funzionale:

3- L’organismo di Varsavia deve subire un [processo di] decentramento attraverso la precisa localizzazione delle zone direzionali, di quelle produttive, di quelle residenziali e di quelle per lo svago, prendendo in considerazione, assieme alla città, la totalità della regione circostante compresa in un raggio di circa 30km dal centro, cosa che provocherà il rapido rigenerarsi di Varsavia.

1 M. Kaczorowski, Do Warszawy przez Lublin, «Stolica» 28-9 (1974), p. 16. 2

Ricordato in M. Kaczorowski, Sprawa Warszawy w polityce ministerstwa Odbudowy, in J. Gorski (a cura di), Warszawa stolica Polskiej Ludowej, z. 1, PWN, Warszawa 1970, pp. 41-74.

3 J. Sigalin, Warszawa 1944-1980. Z archiwum architekta, t. I, PIW, Warszawa 1986. Le due lettere appaiono nelle pp. 56-58. In particolare, nella lettera inviata dalla direzione temporanea della SARP al Pkwn si afferma che «Varsavia deve rimanere la capitale della Polonia sia per delle ragioni storico- culturali, sia in relazione alla sua posizione geografica».

4- La ricostruzione di Varsavia deve seguire la direzione del progresso più ardito nel campo dell’organizzazione degli spazi di vita collettivi, in quello degli standard urbani e in quello dei trasporti, attraverso la salvaguardia del tradizionale volto della città, attraverso la completa ricostruzione delle aree storiche, attraverso la valorizzazione del paesaggio conformemente alle condizioni naturali del terreno e alla sua destinazione1.

Nello stesso periodo Roman Piotrowski, la moglie Anatolia e Helena Syrkus, membri del Pau – dopo essersi spostati a Cracovia a seguito della capitolazione dei rivoltosi e della sucessiva decisione dei tedeschi di disperdere la popolazione civile di Varsavia – ripresero il proprio lavoro alla luce delle nuove opportunità che la distruzione della città poneva, preparando uno schema per l’organizzazione della ricostruzione. Proprio Piotrowski, nel passo che segue, ricordò a distanza di anni le proprie sensazioni di quel periodo, rendendo esplicite le linee di congiunzione che legavano il lavoro delle avanguardie funzionaliste del Ventennio interbellico ai progetti elaborati nei laboratori clandestini durante gli ultimi mesi dell’occupazione nazista, nonchè, di conseguenza, gli stessi piani presentati nei primissimi mesi del dopoguerra, che dei lavori del 1944 erano i figli naturali. Scrive Piotrowski che,

Quando, nel’autunno del 1944, si iniziarono i lavori a Cracovia non avevamo certamente nessun contatto con il Pkwn di Lublino, ma non avevamo nessun dubbio che Varsavia sarebbe stata ancora la capitale, anche se non conoscevamo esattamente il livello delle distruzioni e non eravamo in grado di prevedere i tempi di realizzazione della ricostruzione. Stabilimmo tuttavia che si sarebbe dovuto creare un organismo dotato di quei poteri speciali che sarebbero in seguito stati affidati al Bos. [...] Dal momento che nel piano urbanistico di Warszawa funkcjonalna si prevedeva la specializzazione funzionale di alcuni quartieri, separati l’un l’altro da fasce di vegetazione, riconoscemmo che i vari settori avrebbero dovuto essere ricostruiti in maniera organica [...] nel momento in cui mi fu detto, all’inizio del febbraio del 1945, dell’attivazione dell’Ufficio per la ricostruzione della capitale, non dovetti così improvvisare, ma al contrario mi venne data la possibilità di collegarmi a riflessioni e a lavori precedenti2.

Le attività di pianificazione del Bos vennero portate avanti in un clima di consapevole e ricercata continuità con la progettualità antecedente. Nell’archivio dell’Ufficio vennero conservati molti dei piani degli anni Venti e Trenta3, sia quelli elaborati nei laboratori del comune, come era d’altronde naturale dato che il Bos stesso

1 J. Sigalin 1963, op. cit., p. 35.

2 R. Piotrowski, O sniszczeniach, odbudowie i przyszlosci, p. 277, in J. Gorski (a cura di), Warszawa

stolica Polskiej Ludowej, z. 3, PWN, Warszawa 1973, pp. 267-300.

3 A. Kaczowska, Biuro odbudowy stolicy, in J. Gorski (a cura di), Warszawa stolica Polskiej Ludowej, z. 1, PWN, Warszawa 1970, pp. 341-65.