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Sul finire degli anni Dieci Varsavia era una città in piena crescita. La notevole estensione territoriale del 1916 aveva posto le autorità comunali di fronte a notevoli problemi di carattere urbanistico, primo fra tutti, quello di collegare le estese periferie semirurali e il centro urbano con un sistema adeguato di infrastrutture. Nel dopoguerra, la redazione dei piani regolatori continuò, a partire dal piano-progetto di Tadeusz Tolwinski, in un alternarsi di progetti che erano sempre risultati inadeguati. Nel 1928 la comparsa sulla scena di Stanislaw Rozanski, cui venne affidata la direzione degli studi di progettazione del comune, comportò un deciso riorientamento in senso funzionalista dell’intera opera di elaborazione del piano, comunque nato sotto l’egida della moderna urbanistica tedesca a cui Tolwinski, allievo di Stubben, educò, dalla cattedra di cui era titolare presso il Politicnico, un’intera generazione di urbanisti. In questo clima, cominciarono a delinearsi le condizioni per l’elaborazione di quel lavoro teorico che divenne, forse, il più apprezzato contributo fornito dai polacchi all’urbanistica europea della prima metà del Novecento, il progetto teorico dal titolo Warszawa funkcjonalna.

Nella genesi di Varsavia funzionale influirono probabilmente anche le particolari condizioni di sviluppo della capitale polacca. La città era cresciuta nel corso dell’Ottocento in maniera piuttosto innaturale, nel senso che la presenza della doppia

cintura di fortificazioni difensive impedì al territorio urbano di espandersi a macchia d’olio una volta che l’industrializzazione cominciò ad attirare ingenti masse di contadini dalle campagne e dalle regioni circostanti. In ragione di ciò la crescita urbana potè avere luogo solo lungo le fasce di territorio poste nei pressi delle vie di comunicazione che uscivano da Varsavia. In alcuni casi tali aree edificate suburbane nacquero sotto forma di città-giardino, data la popolarità delle proposte urbanistiche anglosassoni, specialmente all’interno delle classi sociali più elevate, quelle che potevano accedere più facilmente ai suoli agricoli del suburbio.

Il progetto di città-regione Warszawa funkcjonalna trovò quindi la propria origine proprio in questa situazione relativamente atipica, in cui la crescita urbana produsse una sorta di sistema in cui, da un compatto centro urbano, si allungavano verso le campagne circostanti delle strette fasce di edificazione. In un contesto del genere, il compito che Syrkus – appartenente al gruppo Praesens – e Chmielewski – del gruppo U – si dettero era quello di urbanizzare l’intera regione, disurbanizzando (ovvero decongestionando) nel contempo il denso nucleo urbano centrale. Si voleva, insomma, organizzare il terriotorio della regione in maniera logica e funzionale, allo scopo di appianare le differenze fra le aree urbane e quelle rurali. Collaborarono con loro anche Stefan Zbigniew Rozycki, per la raccolta dei dati geomorfologici, Tadeusz Tillinger per l’elaborazione dello schema delle vie d’acqua, Jerzy Hryniewiecki che curò le elaborazioni grafiche, mentre la moglie di Syrkus, Helena, si occupò della redazione del testo.

Allo studio, terminato nel 1934, venne dato il titolo di Varsavia funzionale. Un contributo per l’urbanizzazione della regione di Varsavia. Venne reso pubblico al congresso del Cirpac (Comité international puor la réalisation des problèmes d’architecture contemporaine), tenutosi a Londra nel maggio del 1934.

Prima, però, era già stato presentato, grazie alla traduzione in francese e in tedesco fatta da Helena Syrkus, in uno degli incontri settimanali del gruppo Cirpac a Zurigo. Alla riunione in cui si discusse dello studio di Chmielewski e di Syrkus fu presente anche Hans Bernoulli, urbanista di Basilea che quattro anni prima era stato invitato in Polonia a fornire la propria consulenza dal comune di Varsavia1. Le opinioni di Bernoulli erano note e molto vicine a quelle degli urbanisti varsaviani. Lo svizzero era uno strenuo difensore della collettivizzazione dei suoli, a suo avviso l’unico strada per giungere ad una pianificazione coerente dello sviluppo urbano. Fu naturale, quindi,

1 Vd. Cap. 1.

che Bernoulli indicasse nella comunalizzazione dei suoli l’unico modo per evitare che lo studio Warszawa funkcjonalna non rimanesse una esercitazione esclusivamente teorica.

Un altro studioso che dimostrò di apprezzare il lavoro di Chmelewski e Syrkus fu Nicolaus Kelen, docente presso il politecnico di Charlottenbourg, che aveva partecipato all’elaborazione del primo piano quinquennale sovietico. Kelen vinse i suoi stessi dubbi iniziali, relativi alle inesistenti possibilità di condurre, all’interno di un sitema capitalistico, una vera e propria attività di pianificazione territoriale a lungo termine, allorquando, una volta consultate le mappe, si rese conto della completezza del lavoro e, in particolare, dell’utilità che poteva avere per l’intera regione la proposta di scavare un canale di collegamento fra il Mar Nero e il Baltico e di sfruttare adeguatamente il potenziale idroeletrrico dell’area1. La volontà di colmare la tradizionale distanza che separava le aree urbane da quelle rurali era, inoltre, un punto di indubbio valore per un urbanista che aveva potuto lavorare nella Russia dei soviet, dove tali temi avevano dato vita a un dibattito estremamente vivace.

Al congresso di Londra del 1934 erano presenti tutti i migliori esponenti dell’architettura e dell’urbanistica anglosassoni: l’intero gruppo Mars (Modern architecture research group) – che collaborava con lo Housing Centre (il corrispettivo inglese della Compagnia polacca per la riforma della casa) e con il British town planning comitee – nonchè Patrick Abercrombie, Frederic Osborne e Raymond Unwin.

Dopo l’approvazione di molti dei presenti il Cirpac decise di eleggere lo studio di Chmilewski e di Syrkus a modello di sintesi, su cui gli altri gruppi nazionali avrebbero dovuto basarsi nei lavori di preparazione del V congresso Ciam. Un onore che fino ad allora era toccato solo ad Amsterdam, le cui piante preparate dal gruppo olandese vennero prese a modello per l’elaborazione delle mappe delle 33 città che erano state discusse nel corso del IV congresso.

Il geografo polacco Boleslaw Malisz, i cui lavori ebbero una certa eco anche in Occidente, scrisse nel 1974 che il progetto Varsavia funzionale contenva in sè

gli elementi basilari dei modelli elaborati 30 anni più tardi, ovvero il modello della „regione urbanizzata” e quello noto come „ipotesi a corridoio”. Con il concetto di „regione urbanizzata” si intende il processo di decentramento delle funzioni metropolitane in un’area di grandezza regionale, e l’ipotesi „a corridoio” di Whebell (opposta alla teoria dei luoghi centrali di Christaller) si basa sull’assunto che, storicamente, i tracciati delle vie di trasporto, sviluppatisi e ammodernatisi gradualmente,

1 H. Syrkus, op. cit., pp. 156-7.

diventano gli assi [di propagazione] dello sviluppo socio-economico e, in particolar

modo, dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione»1.

In sintesi, come spiegava ancora Malisz, il principio del «decongestionamento funzionale della grande città costituiva la base di Warszawa funkcjonalna [...] Il punto di partenza della concezione era l’assunto che lo spazio geografico può, come diremmo oggi, essere polarizzato in aree a differente intensità di sfruttamento»2. In linea generale, in una impostanzione di questo tipo, il ruolo centrale veniva giocato dalle direttrici lungo le quali si muovevano le arterie di scorrimento dei traffici, attorno alle quali si sarebbero appunto polarizzate le aree ad alta intensità di sfruttamento, ovvero quelle residenziali e produttive. Fra queste ultime, invece, si sarebbero estese le aree a bassa intensità, ovvero quelle agricole e boschive. Il programma consisteva nel decongestionare il nucleo centrale e nell’aprire le direttrici di crescita verso delle prospettive di sviluppo distinte e specializzate. Lungo gli assi di scorrimento del traffico extraurbano si sarebbero concentrate le aree produttive, lungo le vie di comunicazione interne della città e delle località satellite si sarebbero addensate le aree residenziali.

Gli autori individuarono quindi quelli che erano i due principali assi di sviluppo della futura Varsavia. Essi correvano lungo le due grandi vie di comunicazione all’incrocio delle quali era posta la città: un primo corridoio longitudinale che univa Parigi e Mosca (una “via transcontinentale”), e un’altra “via intramarittima” che avrebbe potuto, se adeguatamente sfruttata, congiungere il Mar Baltico al Mar Nero. In una visione di così ampio respiro Varsavia diveniva un punto nodale del traffico internazionale, una potenzialità da tenere ben presente in fase di elaborazione dei futuri piani di gestione territoriale.

I due urbanisti polacchi calcorano, in base alla situazione geofisica della regione di Varsavia, i limiti naturali di sviluppo della città (cui attribuirono il nome di Varsavia Maximum, o Vmax). Questi margini fisici di crescita, posti nelle cittadine di Modlin a Nord e di Czersk a Sud, disegnavano un’area di sviluppo potenziale delimitata dall’arco descritto dal corso della Vistola fra queste due località. Era, questa, una superficie estremamente vasta, con un raggio di circa 30 km, che doveva essere trasformata in una città-regione capace di dare alloggio a circa due milioni di persone. Le principali città- satellite sarebbero state: Wyszkow nad Bugiem, Minsk Mazowiecki, Garwolin, Warka, Grojec, Mszczonow, Sochaczew, Wyszogrod e Nasielsk.

1

B. Malisz, W poszukiwaniu przyszlego ksztaltu Warszawy, p. 8, «Kronika Warszawy» 3 (1974), pp. 5- 30.

Lo schema funzionale che reggeva il piano di città-regione di Chmielewski e di Syrkus prevedeva un superamento del classico schema di crescita radiale, nel quale il centro cittadino era anche il luogo attraverso cui passavano tutte le arterie del sistema di comunicazioni stradale e ferroviario. Il transito non necessario delle vie di comunicazione nazionali e internazionali sarebbe stato fatto scorrere all’esterno del nucleo metropolitano centrale, in modo da decongestionarlo. Solamente in una città- regione così alleggerita, infatti, le varie funzioni avrebbero potuto ricevere la propria collocazione spaziale ottimale.

La zonizzazione proposta in Varsavia funzionale, ancora molto generica, prevedeva una divisione della regioni in fasce di urbanizzazione:

1- la fascia metropolitana, quella centrale, in cui erano concentrate le funzioni politiche, amministrative e educative dell’intera città-regione. Doveva essere la porzione di città dal carattere più concretamente rappresentativo. Il modello cui gli autori facevano esplicitamente riferimento era il centro della Ville Radieuse di Le Corbusier;

2- la fascia commerciale si sarebbe allungata da Zyrardow a Tluszcz, seguendo la direttrice Est-Ovest del corridoio intercontinentale, e avrebbe raccolto i traffici commerciali che si sarebbero sviluppati lungo la grande via transcontinentale Parigi- Mosca ;

3- una prima fascia di transito in direzione Nord-Sud, che avrebbe evitato il centro città;

4- la fascia residenziale, collocata lungo il corso del fiume;

5- la fascia industriale, parzialmente adagiata lungo la riva sinistra della Vistola. Quest’area era progettata seguendo le forme della città lineare teorizzata nel 1930 dall’urbanista russo Myliutin. Le abitazioni degli operai erano poste in prossimità delle fabbriche, in modo da limitare drasticamente gli spostamenti operai-fabbrica dei lavoratori. La separazione dalla zona produttiva, e dalla linea ferroviaria che vi scorreva accanto, era garantita da un’ampia fascia verde che avrebbe schermato le abitazioni dai rumori e dall’inquinamento delle fabbriche;

6- un secondo cordone di transito che avrebbe attraversato la città-regione sull’asse Est-Ovest, lungo il quale si sarebbe raggruppate le strutture di riposo e di villeggiatura, soprattutto nella zona a Sud-Est, dove le condizioni del terreno si facevano più favorevoli per la creazione di aree di svago della popolazione.

Il decentramento avrebbe consentito uno sviluppo armonico dell’intera regione, secondo una gestione funzionale dei compiti e delle zone di influenza: lungo la riva destra le stazioni climatiche, a Sud-Ovest il settore agrario, a Nord la zona adibita alla coltivazione ortofrutticola, a Nord-Ovest (in prossimità della foresta Kampinos) i luoghi per la cultura fisica e a Sud-Est il settore industriale.

Nel progetto di Chmielewski e Szyrkus Vmax doveva essere generata dalla combinazione di due processi concomitanti: l’urbanizzazione delle campagne circostanti e la disurbanizzazione o decongestionamento del nucleo urbano centrale.

Il ragionamento che sosteneva questa convinzione era primariamente politico, più che urbanistico, e coincideva con un sentire comune a molti di questi architetti, consapevoli di vivere in un’epoca tormentata, in cui l’architettura poteva e doveva diventare uno strumento per migliorare la vita delle persone, indipendentemente dalla loro appartenenza sociale (gli stessi Chmielewski e Szyrkus partecipavano in quegli anni all’esperienza della Cooperativa d’abitazione varsaviana – Wsm). L’estensione spaziale di Vmax era valutata come una variabile naturalmente finita, e quindi costante. In virtù di ciò l’unica variabile dipendente poteva essere solamente la produttività del suolo. Ecco perché, per riuscire a soddisfare in maniera equilibrata i bisogni di tutti gli strati sociali, e non solamente quelli dei più abbienti, le potenzialità di Vmax dovevano essere sfruttate per intero. Disurbanizzare il centro urbano e urbanizzare le periferie semi-rurali erano i soli modi possibili per creare uno spazio fisico uniforme che fosse anche uno spazio sociale sufficientemente egualitario. In una tale situazione di omogeneità di utilizzo dei suoli, ognuno avrebbe avuto pari diritti di usufruire dello spazio, senza distinzioni gerarchiche derivanti dall’appartenenza di classe o dal patrimonio economico. Era, questo, il sogno più ardito dell’urbanistica funzionalista, il punto d’arrivo di tutta la sua ricerca, sia a livello architettonico che urbanistico, ed è qui che risiede l’importanza avuta dal progetto Warszawa funkcjonalna di Syrkus e di Chmielewski nell’opera di ricostruzione avviata dopo la Seconda guerra mondiale, in quelle condizioni politico-economiche totalmente differenti che a lungo i due autori avevano sognato, consapevoli che i propri principi teorici sarebbero stati applicabili solo in regime di comunalizzazione del suolo cittadino. A tal proposito i due affermarono:

Attualmente sappiamo fin troppo bene che il nostro progetto entra nel terreno dell’utopia. Fino a quando una città non potrà usufruire dei terreni per il soddisfacimento dei bisogni generali, fino a che il suo sviluppo dipenderà dagli interessi particolaristici dei proprietari privati, dei progetti di tale tipo non avranno nessuna possibilità di essere realizzati in maniera completa [...] La visione [di

Varsavia funzionale] non ci nasconde le condizioni esistenti. Noi non stiamo provando [...] a inebriarci di entusiasmo per la tecnica per poi dimenticare la crisi, la disoccupazione, la mancanza di abitazioni per le masse. Sappiamo bene che in questo momento, allorquando le relazioni di produzione e di consumo sono ancora così lontane dall’essere messe nel dovuto ordine, e in cui le forze sociali si fanno strada mostrando un notevole dinamismo, possiamo progettare la Varsavia del

futuro, città funzionale, solamente in maniera teorica1.

2.7 L’estensione della città fra le due guerre: il caso esemplare del quartiere di