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La questione abitativa e le cooperative edilizie

Nella Varsavia di inizio Novecento, il 47% degli alloggi della città era costituito da rifugi di un solo vano, abitati, in media, da 5 persone. La soffocante presenza della cintura di fortificazioni aveva costretto gli abitanti a vivere all’interno di un’area urbana piuttosto ristretta, in cui le densità abitative aumentarono a seguito del trasferimento di grandi masse di persone dalle aree rurali circostanti, attirate a Varsavia dalla prospettiva di un lavoro. Nei primi quindici anni del Novecento la popolazione aumentò di circa 200.000 unità, arrivando a toccare gli 883.000 abitanti nel 1914. La situazione abitativa della maggior parte della popolazione che si ammassava nella Varsavia ritornata, nel 1918, ad essere capitale di una Polonia indipendente era, quindi, decisamente precaria1.

Le condizioni di affollamento appena descritte vengono tradizionalmente presentate dalla maggior parte della storiografia polacca come un fattore di rischio, che assumerebbe proporzioni ancora maggiori qualora la situazione di Varsavia venga paragonata e quella delle altre capitali dell’Europa dell’epoca. Tuttavia, lo studioso inglese Peter Martyn ha recentemente chiarito come, nonostante le peculiarità della crescita urbana di Varsavia negli anni a cavallo fra Otto e Novecento, la città fece registrare delle densità abitative del tutto simili, se non addirittura più basse, rispetto a quelle delle altre grandi città europee2. Quando Berlino toccava i 569 a/h nel 1919, e Parigi raggiungeva i 545 a/h nel 1920, Varsavia nel 1913 – prima, cioè, che l’allargamento territoriale del 1916 aprisse il territorio urbano al di là delle fortificazioni russe – contava 408 a/h. Come in altre città di simili dimensioni demografiche, a Varsavia la popolazione era costretta ad utilizzare a scopi abitativi qualsiasi angolo degli edifici, comprese le cantine e i sottotetti, e qualsiasi costruzione, a cominciare dalle baracche in legno. La capitale della rinata Polonia, insomma, non era un caso eccezionale, ma uno dei tanti nell’Europa di allora.

Durante gli anni della dominazione russa, una combinazione di più fattori fece sì che, da un punto di vista dell’ordine spaziale, il nucleo centrale di Varsavia si sviluppasse in maniera particolarmente infelice. Secondo Martyn, molti squilibri furono causati dalle politiche ultraliberiste di gestione del territorio implementate dalle autorità

1

Cfr. M. Brokowski, Stan wlasnosci nieruchomej i glod mieszkaniowy w Warszawie, Warszawa 1919. 2 P. Martyn, Przedwojenny uklad zabudowy srodmiescia Warszawy w swietle rezultatow spisu

zariste, poco o affatto interessate allo sviluppo organico della città, che si risolsero in continue ondate di speculazioni edilizie. A questo si aggiunsero gli effetti distorsivi generati dalle strettissime limitazioni che impedivano l’impiego a fini residenziali, e/o commerciali, di quella consistente parte del territorio cittadino posta sotto la tutela delle autorità militari, le quali godevano della massima indipendenza decisionale per gli immobili e per i suoli che si trovavano in prossimità dell’enorme Cytadela settentrionale, lungo la fascia delle fortificazioni, nei punti di congiunzione delle arterie urbane di maggiore importanza strategica, nei pressi delle numerose caserme, degli arsenali, dei magazzini militari, dei campi di manovra, ecc. Da ultime le costanti difficoltà finanziare della municipalità impedirono l’avvio di efficaci politiche di urbanizzazione di un territorio urbano costretto a sopportare la pressione di una crescita demografica molto rapida.

L’importanza del problema venne chiaramente percepito anche dalla classe degli architetti. Nel 1925, il preside della cattedra di progettazione rurale presso il politecnico di Varsavia scrisse, a proposito dei compiti degli architetti:

l’impulso principale verrà esercitato nel riconoscere l’odierno problema residenziale, essendo consapevoli che dalla risoluzione di tale questione, così urgente e tuttavia da noi ancora appena abbozzata, dipenderà in misura significativa non solo l’immagine del paese, ma anche, cosa ben più importante, l’igiene spirituale e fisica dell’attuale generazione e di quelle a venire1.

All’indomani dell’indipendenza polacca, Varsavia era invischiata, come lo erano del resto altre città della rinata repubblica, in una crisi abitativa di grosse proporzioni. I parziali benefici generati dall’abbandono, a seguito dell’arrivo dei tedeschi, della città da parte della minoranza di governo russa e dei suoi numerosi collaboratori furono immediatamente cancellati dall’afflusso dei polacchi che ritornarono in patria dopo la fine delle ostilità, cercando spesso un rifugio nella nuova capitale.

L’emergenza abitativa emerse quindi in tutta la sua drammatica evidenza dalle condizioni particolari generate dallo stato di guerra, tanto che già prima della fine del conflitto il Consiglio di stato decise di limitare per decreto il diritto allo sfratto e di riportare i canoni di affitto ai livelli prebellici2, un’intervento, questo, che venne riproposto anche nel 1945. Nel gennaio del 1919, invece, a poche settimane

1 Katedra i Zaklad Projektowania wiejskiego, p. 441, in Politechnika warszawska 1915-1925, Warszawa 1925, cit. in C. W. Krassowski, op. cit., pp. 41-2.

2 Ustawa tymczasowa o ochronie lokatorow z dnia 4 IX 1918, «Dz. Praw Krolestwa Polskiego», n. 10, poz. 21.

dall’Indipendenza, il neonato stato polacco affidò ai comuni il compito di «ricercare e di stanziare le risorse necessarie alla creazione di una quantità sufficiente di alloggi salubri, economici e piacevoli, destinati soprattutto alle classi meno abbienti»1. Un mese dopo, un successivo decreto2 stabilì l’obbligo della fornitura di alloggi «salubri ed economici» da parte dei comuni, i quali dovevano pure assumersi la responsabilità di gestire tutte le faccende correlate al «benessere materiale, allo sviluppo spirituale e alla salute degli abitanti».

Attraverso la mediazione delle autorità locali – alle quali vennero affidate, qualche anno più tardi, anche la costruzione e la gestione di strutture in grado di accogliere le persone sprovviste di una dimora3 – il governo polacco iniziò così ad intervenire attivamente nella questione abitativa. Alla delimitazione delle competenze non fece seguito, tuttavia, l’assegnazione ai comuni dei fondi finanziari necessari a rendere operativi dei programmi di edilizia popolare di proporzioni adeguate. Le casse dello Stato erano evidentemente in una situazione tutt’altro che florida. Nel 1937 questa palese contraddizione non era ancora stata superata, se è vero che il vicepremier di allora, Eugeniusz Kwiatkowski, si sentì in obbligo di affermare in Parlamento che

per quanto riguarda il governo locale l’esecutivo ha realizzato due azioni in linea di principio opposte. Da una parte ha vincolato le risorse finanziare dei comuni. Dall’altra ha scaricato sulle amministrazioni locali degli obblighi, dai costi economici notevoli, che avrebbe dovuto compiere esso stesso. In questo modo le

amministrazioni locali sono state condannate alla completa paralisi4.

L’attivazione, sempre nel 1919, di un Fondo statale per gli alloggi (Panstwowe fundusz mieszkaniowe)5, stentò a dare dei frutti. Il fondo venne in teoria destinato all’acquisto di terreni sui quali edificare alloggi «piccoli, economici e igienici». Potevano beneficiarne le istituzioni, le cooperative, ma anche i privati cittadini. I prestiti, gravati di tassi di interesse molto bassi, potevano finanziare fino al 95% delle spese totali. Le norme prevedevano la costruzione di abitazioni secondo le seguenti metrature: 65m2 (2 stanze), 85 m2 (3stanze), 110 m2 (4stanze). Fra i primi ad approfittare del fondo furono i membri del nuovo apparato statale che, tramite le varie

1 Dekret o ochronie lokatorow i zapobieganiu brakowi mieszkan z 16 I 1919 r., «Dziennik praw R.P.», 1919, n. 8, poz. 116.

2

Dekret o samorzadzie miejskim z 4 II 1919 r., ibid., n. 13, poz. 140.

3 Ustawa o opiece spolecznej z 16 VIII 1923 r., «Dz.U.R.P.» 1923, n. 92, poz. 726.

4 Cit. in J. Ciegleski, Budownictwo mieszkaniowe e Warszawie w okresie miedzywojennym, p. 120, in A. Janowska (a cura di), Warszawa II Rzeczypospolitej 1918-1939, t. I, PWN, Warszawa 1968, pp. 117-40. 5 Ustawa w przedmiocie utworzenia Panstwowego funduszu mieszkaniowego z 1 VIII 1919 r., «Dz.U.R.P.» 1919, n. 72, poz. 424.

cooperative professionali (militari, insegnanti, liberi professionisti), fecero costruire abitazioni di dimensioni tutt’altro che piccole e di valore economico tutt’altro che modesto1, se è vero che il direttore della Direzione del ministero dei lavori pubblici presso il distretto di Varsavia nel 1926 arrivò ad affermare che i nuovi complessi residenziali innalzati in quegli anni non comprendevano nessun appartamento a due stanze, quello più adatto alle esigenze delle classi meno abbienti2.

A questo punto, vale la pena precisare come, nel corso di tutto il Novecento, e non solo nel secondo dopoguerra, la crescita urbana di Varsavia sia stata un processo nel quale la creazione e lo sviluppo di complessi residenziali, di dimensioni alquanto variabili, ebbe un peso fondamentale nell’organizzazione dello spazio urbano. Proprio nel ventennio interbellico, una sostanziale centralità dei complessi residenziali, capaci di ospitare più famiglie e costruiti su iniziativa di cooperative edilizie di vario genere, cominciò a emergere quale principale forma di risposta alla domanda di abitazioni, soprattutto, ma non solo, per quelle a basso costo. L’esistenza stessa delle cooperative, la gran parte delle quali erano unioni di proprietari – esistevano però anche delle cooperative di locatori, quale era ad esempio la Wsm, la Compagnia d’abitazione di Varsavia – era motivata dalla necessità di mettere assieme i piccoli patrimoni finanziari di più persone, per pervenire all’edificazione di strutture residenziali plurifamiliari in una città in cui la forma edilizia più comune era la grande caserma d’affitto. I suoli sui quali queste cooperative poterono edificare le proprie colonie furono soprattutto i terreni di proprietà del demanio posti nelle periferie, dal momento che la municipalità di Varsavia ne possedeva ben pochi.

Nel 1925, dopo anni di iperinflazione e in concomitanza con una riforma valutaria che riuscì a stabilizzare la situazione finanziaria della Polonia, il decreto sull’estensione delle città stabilì che lo stato avrebbe assistito, per il tramite della Banca nazionale per l’economia (BGK, Bank gospodarstwa krajowego) fondata l’anno precedente, l’edilizia residenziale attraverso un ulteriore fondo statale (Panstwowe fundusz gospodarcze)3, attivato grazie ai prestiti provenienti dall’estero, in specifico dalla banca statunitense Dillon, Read & Co. A Varsavia, inoltre, lo stato cominciò anche a concedere alle cooperative delle quantità significative di terreni, circa 70 ettari, dei

1 Le cooperative professionali come sì è visto anche nel paragrafo precedente, furono in grado di fornire ai propri iscritti delle strutture residenziali di ottima qualità.

2

J. Minorski, Polska nowatorska mysl architektonyczna w latach 1918-1939, PWN, Warszawa 1970, p. 14.

quali 60 a canone secolare, in base al decreto del 29 novembre 1921 riguardante la destinazione dei terreni per l’edilizia residenziale

Nel 1926 un colpo di stato mise il potere nelle mani del nuovo governo autoritario di Pilsudski, che dimostrò di percepire con una certa preoccupazione la situazione in cui si trovavano i maggiori centri urbani della Polonia, dove il disagio che covava all’interno delle masse operaie poteva scatenare esplosioni di violenza difficili da controllare. Una chiara manifestazione dei sentimenti del nuovo regime nei confronti della crisi abitativa degli strati più disagiati delle popolazioni urbane si sarebbe avuta qualche anno dopo, quando nei mesi più bui della crisi che colpì la Polonia e il mondo intero a cavallo fra gli anni Venti e Trenta, il Governo polacco fece circolare sulle pagine della propria pubblicazione ufficiale, la Gazzetta polacca, slogan quali «aiutare gli operai non è filantropia, è autodifesa!», oppure «ricordati che la battaglia contro la disoccupazione è una battaglia contro il comunismo!»1. Negli ambienti politici della capitale, la questione abitativa venne paternalisticamente concepita come un problema sociale da risolvere, sia a destra che a sinistra. Il ministro competente per le faccende dell’edilizia dichiarò nel 1928 che gli alloggi statali avrebbero dovuto difendere l’operaio non solamente dalle intemperie, ma anche «dall’alcolismo, e i suoi figli dall’influsso della strada, e la famiglia intera dal divorzio»2. I modelli abitativi da adottare non erano, però, equivalenti. La casa monofamiliare veniva infatti collegata al capitalismo, all’individualismo e al miraggio dell’Occidente, mentre il condominio multipiano rimandava al socialismo, al collettivismo, allo spettro dell’Est3.

La svolta del 1926, quindi, si tradusse in un intervento più deciso dello stato nel settore dell’edilizia: alcune iniziative che si prefiggevano lo scopo di fornire degli alloggi dignitosi alle masse operaie vennero sostenute, per quanto con risultati alquanto contraddittori. Ad esempio, la Cooperativa d’abitazione di Varsavia Wsm, che era stata fondata nel 1921 e che era stata costretta a interrompere quasi completamente i lavori di edificazione nell’unità residenziale di Zoliborz non essendo più riuscita a ottenere i prestiti della Bgk, proprio nel 1926 ottenne un finanziamento di 50.000 dollari dal comune.

1 Cit. in W. Krassowski, op. cit., p. 48. 2

W. Krassowski, op. cit., p. 60.

3 H. Jasienski, Kronika. Dom jednorodzinny a dom wielomieszkaniowy, p. 47, «Architekt», 23 (1930), pp.47-55.

Tab. 3: i finanziamenti all’edilizia a Varsavia nel periodo 1925-38 secondo i gruppi di investitori

Finanziamenti concessi in percentuale del totale Anno Totale dei finanziamenti in milioni di zloty Alle cooperative Ai privati Agli istituti pubblici Al comune di Varsavia 1925 1926 1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 12,2 9,3 42,5 29,3 24,9 46 40,5 20,8 5,6 6,5 9,9 12,2 6,6 6,2 50,8% 58,7% 65,7% 64,6% 78,5% 79,7% 70,8% 56,8% 51,5% 44,4% 37,2% 21,7% 12,9% - 32% 23,4% 22,1% 21,4% 4,3% 6,4% 4,6% 6% 15,5% 52,6% 59,5% 76% 85,9% - 17,2% 17,9% 12,2% 11,6% 14,4% 7,1% 20,9% 29,6% 31,4% 1,7% 2,8% 2,3% 1,2% - - - - 2,4% 2,8% 6,8% 3,7% 7,6% 1,6% 1,3% - - - - (fonte: J. Cegielski, op. cit., p. 125)

Nel 1927 vennero rivisti i meccanismi di elargizione dei prestiti statali, che cominciarono a farsi molto consistenti grazie ai capitali finanziari stranieri. Il compito di suddividere i finanziamenti provenienti dalla Bgk era stato assegnato alle Commissioni per l’estensione (Komisja rozbudowy), degli organismi indipendenti che erano stati istituiti nel 19191, grazie anche alle insistenze di un consigliere comunale di nome Teodor Toeplitz (uno dei fondatori della Wsm), un attivista sociale che fece della risoluzione della questione abitativa lo scopo della propria intera esistenza. I criteri vennero rivisti in senso restrittivo – vennero favorite le cooperative e le istituzioni pubbliche rispetto ai privati – e i prestiti vennero resi più onerosi, in conseguenza dell’esperienza fallimentare del Fondo statale per gli alloggi, che nei primi anni Venti (1919-1924) era stato in gran parte utilizzato per la costruzione di alloggi di grandi dimensioni, in palese contraddizione con il suo significato intrinseco.

Nel periodo 1925-38 la Banca nazionale dell’economia stanziò 743,5 milioni di zloty, che servirono alla costruzione di circa 150.000 abitazioni. Circa un terzo (270 milioni si zloty) dei finanziamenti a favore dell’edilizia residenziale dell’intera Polonia furono convogliati nella capitale2. Come si è già visto, a Varsavia la parte più grande dei fondi statali venne concessa alle coperative edilizie, arrivando a toccare, anche a seguito

1 Ustawa o dostarczeniu pomieszczen przez zarzady gmin miejskich, «Dziennik Ustaw» 92 (1919), poz. 498.

2

J. Szczypiorski, Od Piotra Dziewieckiego do Stefana Starzynskiego. Gospodarka komunalna m. st.

Warszawy w latach 1915-1939, Ossolineum, pp. 193-207. Warszawa 1968, Maly rocznik statystyczny,

delle riforme del 1927, una percentuale vicina all’80% nel 1930 (nel 1925 era 50,8%), mentre la percentuale a beneficio dei privati scese al 6,4%, (nel 1925 era il 32%).

Il boom edilizio si consumò con effetti notevoli sul finire degli anni Venti, prima dello scoppio della crisi economica, in concomitanza con l’entrata nel mercato immobiliare di nuovi investitori statali di grosse dimensioni, come il Fundusz kwaterunku wojskowego, istituito nel 1927 e volto alla costruzione di alloggi per i militari (ufficiali e sottoufficiali), la cassa di risparmio Pko, nonché lo stesso Comune di Varsavia. A favorire il processo contribuì sicuramente anche la decisione di destinare all’edilizia residenziale una parte consistente dei suoli di proprietà statale.

Un altro istituto che cominciò a investire nell’edilizia fu l’Istituto di previdenza sociale Zus (Zakald ubespieczen spolecznych). Nel 1929 il ministero del Lavoro e dei servizi sociali decise di impiegare una parte dei capitali dello Zus nella costruzione di appartamenti di piccole dimensioni1. Dopo l’approvazione dell’iniziativa da parte del consiglio dei ministri, si giunse all’attivazione, nel 1930, della Società edilizia residenziale dell’istituto di previdenza sociale. L’azione di tale società venne indirizzata verso quei centri in cui la situazione residenziale era più complicata: Lodz, Leopoli, Cracovia, Pozanan e Varsavia erano le città più grandi interessate. L’organizzazione del laboratorio di progettazione venne affidata a Rudolf Swierczynski. Vi trovarono un impiego molti giovani architetti, molti dei quali legati al mondo delle avanguardie varsaviane e alla Cooperativa d’abitazione Wsm: Bohdan Lachert, Jozef Szanajca, Stanislaw Brukalski, erano fra questi, assieme a Jan Najman, Jan Kukulski, Dymitr Olanski. Più tardi sarebbe stato assunto anche un giovane studente del politecnico, Piotr Bieganski, futuro direttore, dal 1947, del Dipartimento di architettura monumentale presso l’Ufficio per la ricostruzione della capitale.

I laboratori di progettazione dello Zus operavano in maniera collettiva, come da prassi per gli architetti delle avanguardie. La grandezza delle unità abitative variava tra 21,5 m2 a 75m2. Nelle intenzioni dei progettisti l’appartamento-modello non doveva essere ideato dal nulla, dato che già esisteva ed era da loro ben conosciuto: si trattava dell’appartamento minimo presentato a Francoforte nel corso del congresso Ciam del 1929, salutato in maniera estremamente positiva dai progettisti della Zus. Essi lo descrissero come «un’opera che chiude un certo periodo della storia dello sviluppo della questione abitativa e che costituisce la quintessenza delle concezioni riguardanti la

1 Piotrowski et al., op. cit.

soluzione razionale del problema degli spazi abitativi»1. Purtroppo, per delle ragioni di natura economica, i modelli Ciam non poterono essere applicati.

Lo Zus riuscì a costruire nella capitale polacca alcuni edifici residenziali, solo in parte accessibili alla classe operaia, a causa degli affitti troppo elevati anche per gli appartamenti più piccoli. Il quartiere fu sempre quello di Zoliborz. Vale la pena di notare come l’incursione nel mondo dell’edilizia residenziale della Zus – a Varsavia vennero costruiti meno di 1000 appartamenti – assicurò ai cosiddetti „abitazionisti” delle avanguardie un riconoscimento simbolico (oltre che uno stipendio) del loro operato da parte del governo. Una volta che lo stato polacco decise, infatti, di intervenire direttamente nel campo dell’edilizia popolare, o presunta tale, dovette forzatamente appoggiarsi alle esperienze che gli architetti delle avanguardie e gli attivisti della Wsm avevano maturato negli anni precedenti.

Il crollo della borsa americana non si fece sentire immediatamente in Polonia, ma con l’inizio degli anni Trenta la spinta edilizia si arrestò e la situazione si fece decisamente critica. In questo periodo in città vi erano circa 100.000 persone senza fissa dimora2.

Il settore immobiliare cominciò timidamente a riprendersi solo nel 1933-34. Nel 1933 un decreto di sgravio fiscale sugli edifici di nuova costruzione tentò di tradurre in legge le teorie keynesiane anche nel settore dell’edilizia. Non solo lo stato doveva investire nell’edilizia residenziale, ma anche i privati avrebbero dovuto essere invogliati a farlo grazie all’aiuto finanziario, appunto, degli sgravi fiscali, che nel periodo in questione superarono il totale delle somme investite dai privati3.

Gli esiti del decreto del 1933 si fecero sentire immediatamente. I finanziamenti, diminuiti sostanzialmente a causa delle difficoltà economiche – dalla quota massima di 40 milioni di zloty del 1930 ad un minimo di 5,6 milioni nel 1933 – furono ripartiti fra cooperative e persone fisiche in maniera completamente ribaltata rispetto al periodo immediatamente precedente: se ancora nel 1932 le cooperative edilizie avevano assorbito il 56,8% del totale, mentre i privati ebbero solo il 6%, questi ultimi nel 1934 ottennero il 52,6% (le cooperative il 44,4%), per poi balzare all’85,9% nel 1937 (alle cooperative solo il 12,9%).

La facilità con la quale era possibile aggirare le norme sull’edilizia popolare, accompagnata dal suddetto cambiamento nelle modalità di elargizione dei prestiti,

1

ivi, p. 57.

2 M. M. Drozdowski, op. cit., p. 291. 3 J. Cegielski, op. cit., p. 126.

favorì infatti la costruzione delle residenze dei ceti più agiati, piuttosto che l’edificazione di piccole ed economiche abitazioni per le classi meno abbienti. Il fenomeno fu talmente evidente che il decreto di sgravio fiscale del 1933 venne ribattezzato polemicamente „lex E.Wedel”, dal nome del facoltoso capitano d’industria del settore della cioccolata che si fece erigere un fastoso palazzo nel 19371. Le abitazioni di piccola metratura che vennero realizzate spesso erano dei confortevoli „apartment house”: il modernismo moderato e lussuoso della seconda metà degli anni Trenta aveva poco a che fare con l’edilizia popolare.

In questo periodo la spinta edilizia raggiunse dimensioni veramente notevoli, se non altro a livello quantitativo. Nel periodo 1919-39 a Varsavia vennero edificate circa 60.000 nuove abitazioni, la metà delle quale nel quinquennio precedente la Seconda guerra mondiale, quasi 16.000 solo nel 1937-382. Mentre negli anni Venti si era costruito soprattutto in centro, le aree protagoniste di questo boom furono, negli anni Trenta, soprattutto le periferie, quartieri come Mokotow o Zoliborz, ma anche Grochow, Ochota, Kolo, Targowek, che ospitarono, a seconda degli anni, il 60% se non addirittura quasi l’80% delle nuove costruzioni3. A favorire la crescita delle zone periferiche fu sicuramente la costruzione e l’estensione delle arterie stradali che innescarono quel processo di decentramento postulato nei piani regolatori elaborati negli studi del comune.

La questione abitativa non era stata, ad ogni modo, assolutamente risolta. Nel 1934, su decisione del Comitato economico del Consiglio dei Ministri, venne così attivato un nuovo istituto statale, la Società degli insediamenti operai TOR (Towarzystwo osiedli robotnicznych) 4, operante in tutta la Polonia: lo stato cominciò in