• Non ci sono risultati.

La ricostruzione della capitale: una scelta politica

Nel 1944, prima che l’Armata rossa arrivasse a Varsavia, era già scoppiata la contesa sul futuro ruolo della città nella struttura statale che la Polonia avrebbe assunto nel dopoguerra. A Londra ebbe luogo una vera e propria battaglia politica fra il governo polacco in esilio, riconosciuto dagli anglo-americani, e il Comitato di liberazione nazionale (Pkwn), costituitosi nel luglio del 1944 (grazie all’appoggio dell’Unione sovietica) quale organo esecutivo temporaneo. L’oggetto del contendere era la possibilità, o meno, di ristabilire la sede della capitale della nuova Polonia a Varsavia. Nelle fila del Pkwn, non tutti, infatti, erano d’accordo sull’opportunità di riportare il governo a Varsavia2. A far sorgere dei dubbi erano soprattutto le condizioni materiali della città, nonché il fatto che essa, con l’avanzare delle truppe sovietiche e il ritiro di quelle tedesche, si sarebbe probabilmente trovata lungo il fronte dei combattimenti.

All’epoca, però, i propositi di Stalin erano già piuttosto chiari, come emerge dalle memorie di Wladyslaw Gomulka, allora segretario del Partito operaio polacco. In un incontro fra i due, avvenuto il 22 luglio 1944, Gomulka, dopo aver esposto i dubbi di alcuni dei membri più influenti del Pkwn riguardo le possibilità che una città in rovina fosse in grado di ospitare la sede del governo, prese atto che l’unica condizione che il Cremlino poneva per l’elargizione degli aiuti materiali e finanziari necessari ad avviare la ricostruzione di Varsavia, era che quest’ultima venisse ricostruita nelle sua qualità di città-capitale: «potrete ricostruire Varsavia nel più breve tempo possibile solamente alla condizione che, così come è adesso, diventerà la sede del governo provvisorio e di tutte le agenzie statali centrali»3.

1 S. Jankowski, 15-lecie planu ogolnego Warszawy, «Przeglad Kulturalny» 13 (1960), p. 8. 2

J. Gorski, Odbudowa Warszawy w latach 1944-1949. Wybor dokumentow i materialow, PWN,

Warszawa 1977, pp. 82-83.

Nonostante le incertezze, il ruolo di Varsavia come capitale di stato venne riconosciuto in una mozione del Krn (il Consiglio nazionale di stato, creato nel 1944 su iniziativa del Partito operaio polacco come primo organo direzionale della Polonia postbellica) nella seduta del 3 gennaio 19451. In tale documento si legge che

Il Consiglio nazionale di stato vede in Varsavia la capitale dello stato polacco indipendente. Le rovine di Varsavia sono il simbolo della lotta inflessibile del popolo polacco per la libertà e la democrazia, lotta che ha accompagnato la capitale nel corso di tutte le insurrezioni, della difesa del 1939 e dell’occupazione nazista [...]. Il Consiglio nazionale di stato ritiene che la ricostruzione di Varsavia sia uno dei compiti essenziali dello stato nell’opera di ricostruzione del paese.

Non appena la città venne liberata dalla truppe tedesche, il 21 gennaio 1945, a Lublino si svolse una «drammatica» seduta del consiglio dei Ministri che durò fino a notte fonda, nella quale – come ricordò anni dopo Leon Chajn, all’epoca viceministro della Giustizia – il futuro ruolo di Varsavia venne animatamente discusso. La maggior parte dei ministri era contraria a trasferirvi gli organi di potere; si preferivano la vicina Lodz, o anche l’antica capitale Cracovia, risparmiata dalla guerra. Bierut, allora a capo del Consiglio nazionale di stato, manifestò le proprie perplessità sul fatto che Varsavia, città il cui centro era stato sostanzialmente raso al suolo dai nazisti e in cui le vie di comunicazione erano distrutte o minate, fosse materialmente in grado di accogliere da subito la sede del governo provvisorio.

Varsavia è stata vittima della furia selvaggia dei tedeschi. Nonostante le terribili distruzioni non rinunceremo a Varsavia quale capitale dello stato. Ma nel momento in cui ci insedieremo, dovremo esercitare uno sforzo colossale per garantire alla città le più elementari condizioni di vita. Bisogna ricordare che le vie di comunicazione sono state completamente distrutte [...] Nelle attuali condizioni, sarà opportuno [trasferire] la sede del governo a Varsavia? Piuttosto, sarebbe più giusto, lasciando che nella nostra risoluzione Varsavia venga trattata ugualmente come capitale, portare temporaneamente la sede del governo a Lodz, la città posta al centro del paese più vicina a Varsavia2.

Lodz, d’altronde, era stata relativamente poco danneggiata dai combattimenti. Inoltre, la città, nota come la Manchester polacca, aveva una popolazione prevalentemete operaia. Come alcuni fecero allora notare, era «un importante centro telefonico, telegrafico e postale», e soprattutto era una città «in cui i tedeschi avevano costruito alcuni quartieri,

1 Sprawozdanie stenograficzne z posiedzenia KRN (Sesja VI) w dniu 31 XII 1944 oraz 2-3 I 1945 r., lam. 136-38 (1946).

2

Archiwum Akt Nowych (d’ora in avanti AAN), Urzad Rady Ministrow (Segreteria del consiglio dei Ministri, URM), 5/1097, Protokol posiedzen Rady Ministrow z dnia 21.I. 1945 (Protocollo della seduta

[...] dove esisteva [quindi] una serie di edifici in grado di ospitare la sede del governo»1. Secondo il ministro Rzymowski, inoltre, la scelta di lasciare il governo a Varsavia sarebbe stata dettata, in parte, anche da motivi affettivi, cosa che era da ritenersi inammissibile, dato che gli obblighi (politici) nei confronti del paese avrebbero dovuto prevalere su quelli (sentimentali) nei confronti di Varsavia2.

Non mancarono tuttavia, le voci a favore di Varsavia. Trasferire altrove il governo, anche solo temporaneamente come si voleva fare, non era certo il modo migliore per creare le condizioni necessarie ad affrontare la complicata opera di ricostruzione. Alla fine la proposta di Bierut fu tesa a salvaguardare, perlomeno in maniera formale, il ruolo istituzionale di Varsavia3:

Varsavia dovrebbe essere la capitale, ma concretamente in che modo dobbiamo realizzare questo intendimento? Dovremmo, in tutte le maniere e in tutte le occasioni, sottolineare il carattere di capitale di Varsavia. A tal fine poporrei di tenere la prossima seduta del consiglio dei Ministri a Varsavia. Tuttavia, in relazione alle condizioni tecniche, la nostra sede deve essere posta da qualche altra parte.

Nella seduta successiva, tenutasi il 25 gennaio, Bierut presentò al consiglio dei Ministri il resoconto riguardante la visita-lampo da lui effettuata a Mosca, assieme a Edward Osobka-Morawski, presidente del consiglio. La questione principale del colloquio avuto con Stalin fu proprio il futuro di Varsavia, che venne definitivamente delineato4:

Lo scopo del nostro viaggio a Mosca era [discutere] la questione di Varsavia [...], si trattava di capire se esistevano le condizioni nelle quali avremmo potuto giungere a una rapida ricostruzione della città in qualità di capitale del paese, e su quale aiuto avremmo in tal caso potuto contare da parte dell’Unione sovietica, nostra amica e alleata. Relativamente alla ricostruzione abbiamo ottenuto la più completa unanimità, nel senso che il colonnello Stalin è dell’opinione che Varsavia debba essere ricostruita il prima possibile [...]. Ciò ci pone di fronte al fatto che Varsavia sarà la sede del governo. Assieme al premier siamo quindi giunti alla conclusione che dovremmo tutti ritrovarci il prima possibile a Varsavia, per assicurare con la nostra presenza e la nostra influenza la pià rapida ricostruzione della capitale.

1 Ivi, k. 35.

2 Ibidem. Considerazioni simili vennero espresse, grossomodo nello stesso periodo, anche da alcuni esponenti radicali del Towarzystwo Urbanistow Polskich w Zjednoczonym Krolestwie (Associazione degli urbanisti polacchi nel Regno Unito), come Zbigniew Dmochowski e Witold Klebowski, che, quando la seconda guerra mondiale non era ancora finita, si chiedevano se fosse giusto ricostruire Varsavia, o se non fosse piuttosto la ricostruzione una scelta errata, fatta in nome del sentimento.

3

Ivi, k. 36.

4 Ivi, Protokol posiedzen Rady Ministrow z dnia 25.I.1945 r. (Protocollo della seduta del Consiglio dei

La questione non era sicuramente di secondo piano per i membri del governo provvisorio, che era in vita grazie all’appoggio fornito dall’Unione sovietica e che era stato riconosciuto solo dalla Yugoslavia, dalla Cecoslovacchia e dall’Urss stessa. A Londra, inoltre, era attivo il governo in esilio, che si riteneva l’unico legittimo governo polacco e che poteva contare sull’appoggio degli Usa e dell’Inghilterra. In questo contesto di legittimità molto fragile il governo provvisorio filo-sovietico doveva in qualche modo assicurarsi un minimo di consenso da parte della popolazione. E Varsavia, dopo le sofferenze patite negli anni dell’occupazione nazista, possedeva un valore simbolico enorme. Anche per Stalin il futuro della città era molto importante, al punto che nella visita successiva dei delegati polacchi a Mosca si discusse nuovamente di Varsavia, in un momento in cui i tre grandi si erano appena ritrovati a Yalta per parlare del futuro del mondo e di un aspetto di importanza essenziale per la nuova Polonia, ovvero la sua configurazione territoriale. Come venne comunicato nella seduta del consiglio dei Ministri del 22 febbraio 1945, in questa seconda visita fu ottenuta la promessa che la ricostruzione di Varsavia, la capitale dello stato polacco, sarebbe stata per metà finanziata dall’Unione sovietica1.

La volontà di Stalin, ad ogni modo, era conforme al desiderio della nazione polacca. La maggior parte della popolazione civile di Varsavia costretta, su ordine dei nazisti, ad abbandonare la città in seguito all’insurrezione del 1944, vi fece ritorno all’indomani della Liberazione2, nonostante la durezza delle condizioni di vita, la carenza di abitazioni agibili, la mancanza di cibo e di acqua potabile. Le condizioni in cui venne effettuato questo ritorno in massa furono immortalate da Jerzy Putrament, che nel febbraio del 1945 si trovò a percorrere la strada, affollatissima lungo tutto il corso del tragitto, che separava Cracovia da Varsavia:

Camminano a piedi nella burrasca, nel fango, nella neve, carichi di bagagli, di valigie, di fagotti. Vecchi e giovani. I più fortunati siedono in macchina, abbracciati l’un l’altro sulle studebaker, […]. Altri viaggiano in venti sui carri. Altri ancora si sforzano di pedalare in bicicletta. Per la maggior parte, però,. sono a piedi. [...] per quale motivo stanno andando lì? Verso che cosa? Per che cosa? Come vivranno in quei palazzi bruciati? Chi darà loro da mangiare? Chi li terrà caldi? Molti di loro non arriveranno, affamati, infreddoliti, sfiancati da una strada infernale [...] Essi non ritornano a casa, né ai loro beni. Semplicemente vanno verso un punto

dell’emisfero terrestre, verso un concetto che oggi è astratto, quello di Varsavia3.

1

Ivi, Protokol posiedzen Rady Ministrow z dnia z dnia 22.II.1945 r. (Protocollo della seduta del

Consiglio dei ministri del 22.02.1945), k. 84.

2 Nel maggio del 1946 il numero degli abitanti aveva già superato il mezzo milione, mentre nel gennaio del 1945 a Varsavia erano rimasti solo 150.000 persone.

3 J. Putrament, Warszawa w lutym, «Odrodzenie» 13 (1945), pp. 83-4, in J. Gorski, Pamiec odbudowy

Una volta arrivati gli esuli avrebbero trovato, come annotò Jozef Sigalin, futuro architetto-capo di Varsavia, dopo la sua prima perlustrazione nella parte occidentale della capitale, una città nella quale le mura dei cimiteri erano diventate ormai superflue. Non dividevano più, infatti, i due mondi1, quello dei morti e quello dei vivi. La città era in ginocchio, come si evince chiaramente dalle stime dei danni presentate in occasione della VII seduta del Krn, tenutasi nel maggio del 1945:

a soffrire maggiormente è il centro, dove la percentuale di abitazioni completamente distrutte arriva al 60,08%, e la quantità di quelle salvate a solo il 15,33%. Al secondo posto si trovano il quartiere occidentale con dei valori, rispettivamente, del 65,76% e del 16,86%, e quindi quello settentrionale, con il 44,79% di case distrutte e il 36,92 di case salvate. Le condizioni migliori sono quelle della parte meridionale, dove la perdita di edifici si attesta al 37,29%, e la quantità degli edifici superstiti arriva al 41,03%2.

Anche la Chiesa, una istituzione di importanza enorme per il popolo polacco, appoggiò con forza l’idea della ricostruzione immediata. Il primate polacco August Hlond, tramite una breve dichiarazione sulla ricostruzione di Varsavia scritta nel maggio del 1947, affermò l’esistenza di un «obbligo morale» di ricostruire Varsavia, scritto con il sangue polacco. «La stessa costituzione fisica del paese, nonchè il suo onore, invocano una capitale» proseguiva Hlond, «che sarà un vivo polo di gloria e il centro direzionale delle attività statali e che non potrà essere nè una tomba nè una distesa di macerie»3.

Alla fine, i termini della questione vennero felicemente sintetizzati dal sindaco di Varsavia, Marian Spychalski. Dalle sue parole traspare chiaramente come la ricostruzione di Varsavia fosse vissuta come una grande possibilità, che l’urbanistica non doveva sprecare, di mettere in pratica i propri dettami teorici. Allo stesso tempo, era, però, anche una questione di orgoglio nazionale.

1- Varsavia deve essere sì ricostruita nella sua interezza, ma in maniera tale che lo stato delle distruzioni venga pienamente sfruttato al fine di pervenire al risanamento dell’organismo della città dalle sue mancanze e dalle sue patologie risalenti al periodo prebellico. 2- Il ruolo della città in qualità di capitale dello Stato, di principale centro dei servizi, della cultura nazionale e della produzione di beni di

1 J. Sigalin, Nad Wysla wstaje warszawski dzien, Iskry, Warszawa 1963, p. 28.

2 Referat kierownika BOS, R. Piotrowskiego, o stratach oraz programie i kolejnosci prac, in

Sprawozdanie stenograficzne z posiedzen Krajowej Rady Narodowej (Sesja VII) w dniach 3,4,5,6 V 1945 r., lam 241-283 (1946).

alta qualità, nonchè di punto centrale dello scambio di beni, deve essere mantenuto in pieno, secondo la tradizione e in base alle posizione [geografica] particolarmente favorevole della città. [...] La ricostruzione di Varsavia [...] è allo stesso tempo una questione riguardante il nostro onore nazionale. Dobbiamo fornire al mondo una prova della nostra vitalità facendo cicatrizzare il più rapidamente possibile le ferite procurateci. Il mantenimento incondizionato di Varsavia quale capitale statale è l’unica risposta consapevole al colpo infertoci e la più degna forma di protesta contro la barbarica distruzione1.

I notevoli sforzi necessari per riportare in vita quella che, nonostante le distruzioni subite, continuava a essere la capitale della Polonia, furono notevolmente aggravati della situazione politica, in cui tale operazione dovette essere avviata. Le operazioni belliche degli ultimi mesi di guerra avevano posto i territori polacchi sotto l’influenza dell’Unione sovietica. Varsavia venne liberata nel gennaio del 1945, ma altre città tedesche che sarebbero in seguito passate alla Polonia come Stettino (Szczecin) o Hirschberg (Jelona Gora), rimasero in mano ai nazisti fino a primavera inoltrata; Breslavia (Wroclaw) addirittura, fu conquistata dall’Armata rossa quattro giorni dopo la caduta di Berlino, il 6 maggio 1945. Intanto, in febbraio, a Yalta, i tre grandi avevano stabilito che la Germania sarebbe stata divisa in quattro zone di occupazione, e che il governo della futura Polonia sarebbe dovuto nascere da un accordo fra la componente filosovietica presente in loco – il governo provvisorio – e le forze filoccidentali, rappresentate in parte dal governo polacco in esilio, costituitosi in Francia nel 1939 e poi trasferitosi a Londra, e in parte dai partiti democratici non ancora messi al bando.

La ricostruzione di Varsavia cominciò, quindi, in un quadro politico dai contorni tutt’altro che definiti. Il 31 dicembre 1944 il Comitato di liberazione nazionale (Pkzn) si era trasformato, con il pieno consenso di Mosca, in un vero e proprio Governo provvisorio della repubblica di Polonia (Rtrp). A quest’ultimo accettò di unirsi uno solo dei rappresentati del governo in esilio di Londra, Stanislaw Mikolajczyk, il quale aveva fatto ritorno in patria al fine di costituire un Governo provvisorio di unità nazionale (Trjn), che fu presieduto, fino alle elezioni del febbraio del 1947, da Edward Osobka- Morawski – un socialista di antica data appartenente al mondo delle cooperative edilizie2 –.Secondo lo storico polacco Marian Marek Drozdowski, nella Varsavia appena liberata dai nazisti «si tentò di credere, nonostante tutto, nelle possibilità di

1

J. Kazimierski, Dzialalnosc wladz miejskich Warszawy w swietle Sprawozdania dla Polskiego Komitetu

Wyzwolenia Narodowego, pp. 110-111, «Kronika Warszawy» 4 (1970), pp. 89-124.

evoluzione democratica del paese»1. Speranze, queste, che portarono allo scioglimento degli organi di comando clandestini, il Consiglio di unità nazionale e la Delegazione in patria del governo in esilio, che nel frattempo aveva perso ogni credibilità dal momento che gli Stati uniti e la Gran Bretagna, fin dal febbraio del 1945, avevano deciso di riconoscere formalmente il Trjn, il governo provvisorio di unità nazionale. Nonostante i moniti lanciati dal governo in esilio a Londra riguardo alla completa illegittimità delle autorità polacche filosovietiche, la realtà del fait accompli fu, fin da subito, piuttosto chiara: le divisioni dell’Armata rossa, dopo aver sconfitto i nazisti, erano infatti rimaste in territorio polacco a segnalare in maniera inequivocabile le intenzioni di Stalin, che non aveva tardato a inviare la Nkvd (la polizia politica) per cominciare a purgare il popolo polacco dai più pericolosi «elementi antisocialisti».

La Polonia, intanto, aveva notevolmente cambiato i propri confini, perdendo i territori orientali a favore dell’Urss, e incamerando le regioni occidentali, in precedenza occupate dalla Germania. Di conseguenza, fu attraversata da enormi movimenti di popolazione, che interessarono principalmente i polacchi dei territori passati a far parte dell’Unione sovietica, che dovettero trasferirsi nelle terre guadagnate a scapito della Germania, dove milioni di tedeschi furono costretti ad abbandonare le proprie case in base agli accordi stipulati a Potsdam. A questi si aggiunsero gli ucraini e i bielorussi, che dovevano essere restituiti all’Unione sovietica, nonché gli ebrei polacchi, 250.000 dei quali decisero di trasferirsi in Palestina.

Nel frattempo, anche se gli spazi riservati alle forze di opposizione non furono completamente oscurati, a Varsavia i comunisti erano riusciti a impossessarsi di tutti i principali centri di comando. Il ministero della Pubblica sicurezza, quello della Difesa, l’Ufficio superiore per il controllo degli organi di stampa, nonché l’agenzia si stampa statale, e la gran parte dei quotidiani e delle stazioni radio erano sotto il loro controllo. Poterono così lanciare una campagna di propaganda volta a screditare il governo in esilio e le forze di resistenza clandestine, additate come agenti dell’imperialismo occidentale, e a esaltare il ruolo dell’Unione sovietica nella liberazione della Polonia e nella sconfitta del nazismo.

A livello degli organi di governo locale, a Varsavia si istituì un Consiglio popolare che andò a sostituire il Consiglio municipale di prima dello scoppio della guerra. Dal 1945 al 1950 la poltrona di sindaco fu occupata da Stanisalw Tolwinski, una delle personalità più in vista del movimento sindacale degli anni prebellici, nonché uno

1 M.M. Drozdowski (2004), p. 417

dei fondatori e fra i principali organizzatori della Wsm, un’organizzazione che non solo fornì alla nuova Polonia post-1945 il proprio patrimonio di esperienze teoriche ed operative nella costruzione di siedlung collettivi, ma anche, come si vede, diverse personalità che andarono ad occupare posizioni chiave nella struttura statale completamente rinnovata del dopoguerra.

Mentre nella capitale i comunisti riuscivano a far scendere in piazza decine di migliaia di persone per manifestare contro la politica degli Stati Uniti, gli arresti di massa e le azioni contro le forze di opposizione proseguirono senza alcun freno. Si giunse così alle elezioni del 1947 svoltesi sotto il pieno controllo dei comunisti. Secondo le cifre ufficiali, l’80,1% dei voti andarono al Blocco democratico, nel quale erano confluiti i due grandi partiti di sinistra allora esistenti: il Partito polacco degli operai (Ppr) – fondato nel 1942 nelle sale della Wsm, la cooperativa d’abitazione varsaviana – che aveva preso il posto del Partito comunista polacco, liquidato su ordine di Stalin sul finire degli anni Trenta, e il Partito socialista polacco (Pps), tradizionalmente più vicino alle posizioni del socialismo europeo. Il più grande partito borghese, il Psl (il Partito contadino) fu accreditato del 5% dei voti, quando secondo le proprie fonti aveva ottenuto il 69% dei voti1.

Il primo governo „liberamente” eletto della Polonia post-bellica fu affidato a Jozef Cyrankiewicz, il candidato del Blocco democratico. Presidente della repubblica fu invece nominato Boleslaw Bierut, leader del Comitato di liberazione nazionale, un’altra personalità che, come si è visto nel capitolo precedente, era stata molto vicina al mondo delle cooperative d’abitazione, attive nella capitale durante il ventennio interbellico: era stato uno dei primi inquilini della Wsm.

Il processo di annientamento delle forze di opposizione proseguì fra nuove ondate di arresti, processi, deportazioni, che colpirono soprattutto i membri dell’Ak, l’esercito nazionale, formalmente sciolto poco dopo la Liberazione di Varsavia, e ulteriori restrizioni della libertà degli organi di stampa, sottoposti a una censura sempre più minuziosa. Gli stessi membri dei partiti di sinistra non furono risparmiati. Molti