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Nel luglio del 1939 a Stoccolma si tenne il congresso internazionale dell’urbanistica e dell’abitazione. Della delegazione polacca facevano parte anche Syrkus, Tolwinski e Zakowski, in rappresentanza della cooperativa edilizia Wsm. Vi erano, naturalmente alcuni membri dei Ciam. Fu uno di questi, il tedesco W. Schütte, a riferire a Syrkus e a Tolwinski che un certo Friedrich Pabst gli aveva mostrato il documento con il quale, a partire dal 1 ottobre dello stesso anno, veniva nominato architetto-capo di Varsavia. A

quanto scrive Helena Syrkus1, a tale notizia i polacchi reagirono come se si fosse trattato di uno scherzo di cattivo gusto.

La notizia riportata da Schütte, come si è visto nel paragrafo precedente, si rivelò tragicamente reale. Pabst e molti altri architetti tedeschi collaborazionisti si adoperarono per produrre dei piani per la riduzione delle capitale della Polonia ad una insignificante cittadina di provincia. Molto probabilmente non immaginarono mai che, contemporaneamente, tutti i migliori architetti e urbanisti varsaviani si impegnarono, spesso a rischio delle loro stesse vite, in una serie di innumerevoli azioni clandestine allo scopo di continuare l’attività di progettazione dello sviluppo urbano di Varsavia in qualità di capitale dello stato polacco. Skibniewski, anche lui „arruolato” negli studi di progettazione clandestini, a questo proposito ricorda:

La problematica sulla quale gli architetti e gli urbanisti lavorarono in maniera molto viva durante tutti gli anni della guerra e dell’occupazione fu l’elaborazione di concezioni per la ricostruzione e l’estensione di Varsavia. [...] tale opera fu condotta nei luoghi più disparati, in patria come all’estero. Dopo l’invasione di settembre [del 1939], questi lavori furono portati avanti, ad esempio, nei campi per prigionieri di guerra in Germania, così come fra gli architetti e gli ingegneri internati a Kowno. Un centro molto forte dell’architettura e dell’urbanistica polacche fu fondato in Inghilterra, a Londra e a Liverpool, attorno alla scuola di architettura che lì venne attivata. [...] Infine, in Unione sovietica, dove una parte della gioventù polacca studiava presso i laboratori di architettura, i lavori di molti studenti furono dedicati a Varsavia2.

Le prime decisioni al riguardo vennero prese immediatamente dopo la capitolazione di Varsavia. A seguito della scomparsa del sindaco Starzynski, fucilato dalla Gestapo il 27 ottobre 1939, uno dei due vicesindaci (che continuarono a godere della fiducia incondizionata della popolazione polacca), Julian Kulski, venne nominato dai tedeschi borgomastro commissariale. Costui ricorda come fu proprio l’altro ex- vicesindaco Jan Pohoski, a prendere la decisione di far sì che i laboratori di progettazione comunali continuassero il loro lavoro, in vista dei cantieri che si sarebbero aperti una volta che la guerra fosse terminata3.

1

H. Syrkus, Dzialalnosc architektow i urbanistow w Warszawie w okresie okupacji hitlerowcej 1939-

1945, Warszawa lat wojny i okupacji, in J. Gorski (a cura di), Warszawa stolica Polskiej Ludowej, z. 3,

PWN, Warszawa 1973, pp. 317-44;. 2

O zniszczeniach, odbudowie i przyszlosci Warszawy, p. 273, in J. Gorski (a cura di), Warszawa stolica

Polskiej Ludowej, z. 3, PWN, Warszawa 1973, pp. 267-300.

Di conseguenza, il Dipartimento di pianificazione urbana creato da Rozanski nel 1934 continuò il proprio operato. Rozanski stesso, rimase al vertice del laboratorio fino al 1944. Tutti i laboratori – quello per il piano generale diretto da Spychalski, quello per i piani settoriali di Czerny, e quelli per i piani di quartiere – rimasero attivi. Per di più, venne reso operativo un laboratorio per il piano regionale, con al vertice Chmielewski.

Durante l’occupazione alcune concezioni che erano già state studiate negli anni Trenta vennero ulteriormente approfondite. Rozanski lavorò al prolungamento di via Marszalkowska in direzione nord verso il quartiere di Zoliborz. Bieganski, Skibniewski, Nowicki e Marczewski, invece, studiarono la possibilità di ricavare, parallelamente alla strada storicamente più importante di Varsavia, ulica Nowy swiat, una Nowy swiat bis che alleggerisse il traffico nella via più rappresentativa della città. Altre soluzioni, come il progetto di edificazione di un quartiere ministeriale nella zona del ghetto, rasa al suolo dai tedeschi nel 1943, dovettero prendere in considerazione le distruzioni inflitte dagli occupanti.

Le attività del Dipartimento di pianificazione urbana rappresentarono un caso abbastanza tipico di resistenza underground organizzata nella ex-capitale, diventata fin da subito la capitale dello stato clandestino parallelo1. Le attività si svolgevano su tre livelli differenti: il lavoro ufficiale, quello legalmente consentito dai tedeschi, il lavoro dissimulato, messo in scena per sviare i controlli, e il lavoro propriamente clandestino. In pratica, venne creato un vero e proprio sistema parallelo che funzionava nella zona d’ombra assicurata dalle attività ufficiali legalmente consentite dagli occupanti tedeschi. Queste attività clandestine non si esaurivano nella elaborazione di progetti non autorizzati, o meglio vietati, ma comprendeva anche una vasta rete di operazioni volte alla copertura delle persone coinvolte attivamente nelle operazione della resistenza – attraverso ad esempio un impiego fittizio – nonchè al loro sostentamento. Fu proprio il possesso di una carta di impiego che ne attestava l’inserimento presso il dipartimento diretto da Rozanski a evitare a Boleslaw Bierut, futuro presidente della repubblica e segretario del partito, la deportazione in Germania. La copertura delle attività di resistenza era arrivata al punto che nei locali del dipartimento avevano sede diverse „agenzie” dell’Ak, l’esercito nazionale impegnato nella resistenza (la scuola-guida, il centro per la distribuzione dei comunicati e dei volantini) e, addirittura, un deposito di munizioni, nonchè un centro del Ppr, il Partito operaio polacco.

1 Vi avevano sede tutti i principali organi politici e il comando centrale dell’AK, l’esercito nazionale. M.M.Drozdowski, A. Zahorski, op. cit., p. 351.

Sempre su decisione del vicesindaco Poholski, venne creata anche una Commissione di esperti di urbanistica, inizialmente incaricata di esaminare i progetti del Dipartimento di progettazione urbana. Vi entrarono a far parte molti dei professionisti più rispettati dell’università di Varsavia, spesso reclutati direttamente dal corpo docenti del Politecnico: J. Chmielewski, R. Gutt, M. Kaczorowski (nel dopoguerra ministro per la ricostruzione), M. Kostanecki, A. Kuncewicz, L. Niemojewski, A. Paprocki, B. Pniewski, J. Zachwatowicz. Al vertice della commissione venne chiamato Tadeusz Tolwinski, l’autore del primo piano di estensione moderno della città, quello del 1916. I lavori che vennero affidati alla suddetta commissione riguardarono alcuni progetti specifici, soprattutto la gestione spaziale di alcune piazze (Saski, Trzech Krzyzy) e di alcune arterie (Waszyngton) 1.

Un altro luogo di resistenza attivo durante l’occupazione nazista fu la stessa Facoltà di Architettura del Politecnico. Prima della capitolazione della città, il prof. Oskar Sosnowski, fondatore e titolare della cattedra di architettura polacca, venne ferito a morte nel cortile della facoltà da una scheggia di un’ordigno tedesco. Pochi giorni dopo il Consiglio di facoltà prese la decisione di non eseguire gli eventuali ordini degli occupanti. Puntualmente, questi ultimi ordinarono la chiusura immediata delle più alte istituzioni scentifiche e scolastiche. Puntualmente, la facoltà di architettura cominciò a impartire le proprie lezioni clandestinamente, seguendo un programma di insegnamento molto articolato.

Le lezioni venivano tenute dai docenti, dai loro assistenti e da coloro fra i dottorandi che superarono l’esame di abilitazione all’insegnamento proprio in quegli anni. Venivano interrote solamente nei giorni in cui i nazisti scatenavano le misure di repressione più dure. Talmente straordinarie furono le condizioni in cui queste persone continuarono il proprio operato che ripercorrere qualche percorso biografico sembra doveroso. Piotr Bieganski, ad esempio, riuscì ad addottorarsi nel 1942, discutendo la propria tesi nell’appartamento di uno dei professori, Stefan Bryla, il preside della facoltà, fucilato l’anno seguente dai nazisti proprio per la sua attività di insegnamento. Bieganski divenne nel 1947 direttore del dipartimento di Architettura antica presso l’Ufficio per la ricostruzione della capitale. Negli anni dell’occupazione, oltre allo studio e all’insegnamento, partecipò anche alle operazione del laboratorio in cui venivano forgiati i documenti falsi necessari ai resistenti. Uno di questi laboratori aveva sede proprio nella facoltà di architettura. Lo stesso Jan Chmielewski, autore, assieme a

Syrkus, del progetto Warszawa funkcjonalna del 1934, conseguì il dottorato durante la Seconda guerra mondiale.

I progetti che vennero elaborati nei laboratori della facoltà furono svariati. Fra questi quello per l’escavazione di un tunnel stradale in direzione di Wola all’altezza del ponte di Kierbedz1.

Accanto a questi organismi di resistenza di derivazione, per così dire, istituzionale, un altro luogo fondamentale di opposizione alle intenzioni dei nazisti fu il Pau (Pracownia architektonyczna-urbanistyczna), il Laboratorio architettonico- urbanistico.

Durante i bombardamenti tedeschi del settembre del 1939, il siedlung Wsm di Rakowiec, che si trovava in prossimità dell’aereoporto di Okecie, venne colpito. Anche il siedlung Tor di Kolo venne danneggiato. I lavori di riparazione e di messa in sicurezza delle strutture pericolanti vennero intrapresi dalla Spb, l’impresa edile che faceva capo alla Wsm. Dopo qualche mese, gli occupanti fecero sapere che la Spb avrebbe potuto continuare a operare legalmente non solo a Varsavia, ma in tutto il territorio del Governatorato generale.

Intanto, nel gruppo degli abitazionisti, gli architetti e gli attivisti sociali che avevano operato nel mondo delle cooperative d’abitazione e delle avanguardie, si contavano già le prime defezioni. Jozef Szanajca, arruolatosi volontariamente, era scomparso il 24 settembre. Stanislaw Brukalski, invece, era stato internato nel campo per ufficiali di Woldenberg. Juliusz Zakowski si era rifugiato in Gran Bretagna2. Gli altri, quelli che erano rimasti a Varsavia, tentarono di propseguire il prorio lavoro nelle nuove condizioni imposte dai tedeschi.

Nel 1940 la Wsm commissionò alla Spb uno studio per l’estensione dell’osiedle di Rakowiec. Immediatamente venne istituito un Laboratorio architettonico-urbanistico (Pau) la cui esistenza venne, nel giro di qualche mese, legalizzata. Al vertice della struttura, che poteva operare grazie ai finanziamenti dell’istituto assicurativo Pzuw, vi era Szymon Syrkus.

Lo scopo ufficiale era quello di preparare i materiali e gli elaborati grafici per la riparazione dei siedlung di Rakowiec e di Kolo. In realtà si volevano proseguire i lavori

1 J. Gorski, Drugie narodziny miasta, Warszawa 1945, PIW, Warszawa 1976, p. 297. 2 H. Syrkus, op. cit., p. 230.

sull’assetto sociale ed economico della futura Varsavia e sulla conseguente configurazione spaziale che ne sarebbe derivata.

Il punto di partenza delle ricerche fu il progetto Varsavia funzionale. Uno dei due coautorii, Chmielewski, negli anni precedenti aveva potuto sviluppare il modello del 1934 nei laboratori dell’Ufficio per il piano regionale da lui diretto, giungendo alla definizione di un piano regionale per la Conurbazione varsaviana. Naturalmente, Chmielewski garantì ai colleghi del Pau un accesso privilegiato alla documentazione dell’ufficio.

Seguendo la pratica del lavoro collettivo, consueta per gli architetti delle avanguardie, nel Pau vennero costituiti i seguenti gruppi di lavoro:

1- il gruppo per gli studi sulla città di Varsavia e sulla sua regione, con a capo Chmielewski e Syrkus. Vi erano, tra gli altri, Piotrowski, Skibniewski, Spychalski, Dziewulski;

2- il gruppo di studio sui quartiere residenziali di Varsavia, diretto da Skibniewski; vi partecipava anche Tolwinski;

3- il gruppo per l’elaborazione del piano di estensione del siedlung Wsm di Zoliborz di Barbara Brukalska, che pubblicò nel dopoguerra i resoconti delle proprie attività in I principi sociali della progettazione dei siedlung residenziali;

4- il gruppo di progettazione del piano di estensione del quartiere Wsm di Rakowiec, affidato ai coniugi Syrkus;

5- il gruppo per la preparazione del progetto riguardante il quartiere industriale occidentale, diretto da Dziewulski.

Tutte le peronalità appena ricordate entrarono a far parte dei quadri dell’Ufficio per la ricostruzione della capitale, istituito dopo la liberazione di Varsavia nel gennaio del 1945. Piotrowski, ad esempio, ne diventò il direttore. Skibniewski, invece, firmò il primo piano di ricostruzione.

Nei laboratori del Pau la primavera del 1940 fu dedicata al tema I servizi collettivi quali fattori di trasformazione dei siedlung. Fu, quello dell’organizzazione della vita comunitaria delle colonie, una delle problematiche che con maggiore passione venne in continuazione rivisitata e perfezionata durante gli anni dell’occupazione, quasi che le condizioni di vita estreme degli anni della guerra non avessero fatto altro che convincere gli abitazionisti della necessità assoluta di riorganizzare le forme del vivere comune dopo la fine del conflitto.

Nella relazione appena citata, nella quale venne presentato un modello costituito da un doppio siedlung parallelo con al centro l’area dei servizi collettivi, posta trasversalmente rispetto ai condomini residenziali, si può leggere come il livello di standardizzazione delle unità abitative avrebbe dovuto essere commisurato ancora più efficacemente agli stili di vita degli inquilini. La disposizione degli edifici, immersi nel verde, avrebbe dovuto essere invariabilmente la più favorevole possibile, in modo da sfruttare adeguatamente la luce solare. Al centro del siedlung si ergevano, come detto, le costruzioni che avrebbero ospitato i servizi collettivi: le scuole e gli asili, posti nelle vicinanze delle attrezzature sportive, ma anche la farmacia, i gabinetti medici, le sedi degli organi amministrativi, il centro di approvigionamento – quest’ultimo costituito da negozi di alimentari di vario tipo, nonchè da mense – i garage e le officine di riparazione per le automobili

a seconda del modo o stile di vita, gli edifici [...] avranno una configurazione interna variabile e, di conseguenza, delle forme esterne variabili e delle diverse orientazioni rispetto al percorso del sole. I segni a forma di croce, ad esempio, rappresentano le alte costruzioni per le persone sole o per le famiglie poco numerose [...]. I rettangoli paralleli indicano gli edifici a galleria con i corridoi in direzione nord. Le finestre dei vani di servizio daranno su tali corridoi: cucine, bagni, anticamere. I soggiorni e le camere da letto godranno del sole a mezzogiorno, e dalle loro finestre si vedranno le aree verdi intercondominiali. La parte numericamente maggiore sarà costituita da edifici posti in direzione longitudinale, i cui appartamenti saranno illuminati sia da Est che da Ovest. [...] L’accesso a tutti i condomini sarà assicurato da stradine [...] separate dalle arterie stradali pubbliche1.

Il modello appena presentato, uno studio toerico che non era destinato a essere realizzato, presenta tutti i requisiti tipici del siedlung residenziale, elaborato nel corso dei due decenni precedenti dagli architetti e dagli urbanisti europei appartenenti al movimento moderno. È da considerarsi come una vera e propria dichiarazione programmatica, o una sintesi delle intenzioni, rilasciata dagli abitazionisti legati al mondo delle avanguardie e delle cooperative varsaviane. Il siedlung veniva ormai concepito come il luogo di trasformazione dell’individuo e, conseguentemente, della società. La vita individuale andava „socializzata” e la società „collettivizzata” grazie all’azione di una rete di istituzioni comunitarie capaci di far germogliare delle nuove forme di collaborazione e di vita comune.

1 Ivi, pp. 233.

Per fare ciò era necessario liberare la donna dal fardello dei lavori domestici e della cura dei bambini. Mense, asili e scuole perseguivano questo scopo prioritario. Fin dal 1940 il siedlung di Zoliborz si impose come primo obbiettivo istituzionale proprio quello di organizzare la rete di servizi necessari affinchè le donne potessero diventare protagoniste attive nella vita pubblica.

A partire dal 1941, grazie all’inizio della collaborazione con il Pau del sociologo Stanislaw Ossowski, una figura che ebbe una influenza enorme sui lavori del laboratorio diretto da Syrkus, le teorie sociologiche alla base del concetto di siedlung vennero ulteriormente affinate, grazie proprio all’influenza esercitata dal sociologo, impegnatosi nella ricerca di «nuovi stili di vita collettivi»1. Il Pau fin dalla sua fondazione, d’altronde, raccolse nelle proprie fila personalità dalle competenze professionali molto differenziate. Accanto agli ingegneri, agli architetti e agli urbanisti vi erano anche economisti, sociologi, storici, sindacalisti. L’occupazione nazista tolse loro ogni freno. Ciò che per la realizzazione dei propri progetti fino al 1939 era considerato un prerequisito necessario ma sostanzialmente irraggiungibile – la proprietà pubblica dei suoli urbani – divenne, nei lavori prodotti durante la Seconda guerra mondiale, un presupposto di partenza irrinunciabile. E, nel momento in cui gli architetti poterono unirsi agli urbanisti per la progettazione di grandi complessi residenziali in cui il bene della collettività potesse finalmente sostituirsi all’interesse dei privati, le finalità stesse della progettazione si aprirono verso orizzonti molto più estesi. La pianificazione arrivò ad abbracciare non solo l’utilizzo dei mattoni, del ferro e del cemento, non solo la definizione dei tracciati stradali o delle posizioni degli edifici, ma anche, se non soprattutto, l’organizzazione di nuovi stili di vita collettiva capaci di trasformare, megliorandoli, i tratti della personalità individuale. Si poteva, infatti, rovesciare completamente le finalità implicite nell’attività stessa di progettazione: non il perseguimento della comodità della famiglia singola (rin)chiusa nel proprio alloggio indipendente, ma l’apertura degli spazi abitativi familiari verso la comunità.

Nel giro di pochi anni, gli abitazionisti arrivarono a concepire il siedlung come una vera e propria repubblica in miniatura retta da un sistema estremamente elaborato di democrazia diretta. Le forme di autogoverno delle comunità numericamente limitate

1 Come avrebbe recitato, nel dopoguerra, il titolo di un suo libro: S. Ossowski, Ku nowym formom zycia

erano da sempre uno dei principali temi di riflessione di Tadeusz Tolwsinki1, il sindacalista che era stato uno dei padri della Wsm nel 1921, entrato anche lui a far parte del Pau, con il quale cominciò anche a collaborare un altro pensatore vicino al mondo delle cooperative, l’avvocato Teodor Duracz (uno dei confondatori del Ppr in uno dei locali Wsm).

In una relazione del 19432 venne presentata la struttura organizzativa del siedlung ideale, suddivisa in tre livelli sovrapposti.

i)- Il livello elementare era quello costituito dalla casa (dom), ovvero il condominio, mediamente composto di 60 appartamenti e abitato da 230 persone. Le aree comuni interne erano: una hall e una sala di lettura. La commissione della dom, che si sarebbe riunita regolarmente soprattutto per dirimere gli eventuali conflitti fra locatori, avrebbe eletto un rappresentante (e il suo aiutante), una figura che avrebbe difeso gli interessi degli inquilini e che avrebbe contemporaneamente sorvegliato i beni di proprietà della comunità. ii)- Ad un livello superiore, la kolonia, formata di dieci dom e quindi abitata complessivamente da circa 2300-2500 persone, avrebbe a suo volta eletto un consiglio, composto dai dieci rappresentanti delle dom e da altri 10 delegati della kolonia, un rappresentante e un segretario, nonchè un tirbunale. iii)- Infine l’osiedle, o siedlung, composto di 5 colonie per un totale di 11.500 persone, avrebbe eletto i propri vari organi secondo uno schema simile, ma ancora più esteso: un consiglio, un consiglio di controllo, un consiglio di amministrazione, un tribuale.

Contando i sostituti, i vice, le varie commissioni e sottocommissioni, circa 350- 400 persone sarebbero state direttamente coinvolte nella gestione „politica” della vita della comunità.

Il siedlung, naturalmente era solo una struttura intermedia. Nell’approffondimento del progetto di Warszawa funkcjonalna l’intera città-regione di Varsavia era edificata tramite dei siedlung posti, nelle aree destinate a tale scopo, uno accanto all’altro. In tal modo, la rete dei legami sociali si sarebbe estesa ben oltre i confini tradizionali della città. Le relazioni sociali, infatti, avrebbero corso lungo le varie reti che avrebbero tenuto assieme i vari componenti del siedlung e, conseguentemente, avrebbero avvolto l’intera città. Nel condominio residenziale, la

1 Nel 1946, una volta diventato sindaco di Varsavia, Tolwinski pubblicò La questione dell’autogoverno

alla luce delle esperienze di democrazia popolare. S. Tolwinski, Zagadnienia samorzadu w swietle doswiadczen demokracji ludowej, Warszawa 1946.

2 Zagadnienie organizacji osiedla spolecznego. Uwagi zgloszone i przedyskutowane wstepnie w PAU dnia

dom, la relazione sociale sarebbe stata quella comune di vicinato, fortificata però dall’esistenza di luoghi in cui poter coltivare tali legami: sali comuni e club, questi ultimi dotati di una delle meraviglie della tecnica moderna, gli apparecchi televisivi. Nel secondo livello, quello della kolonia, i legami si sarebbero invece sviluppati attorno alle attività di educazione dei bambini negli asili comuni, oppure nei negozi di alimentari comunitari, o negli spazi verdi fra un edificio e l’altro. Al livello ancora successivo la popolazione dell’intero siedlung si sarebbe incontrata nei luoghi appartenenti all’intera collettività: la scuola elementare, i terreni sportivi, la casa della collettività. I siedlung sarebbero quindi stati alla base dei due livelli successivi: il quartiere e, infine, l’intera città-regione.

Come si vede, architettura, urbanistica e sociologia si strinsero assieme per