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L’estensione della città fra le due guerre: il caso esemplare del quartiere di Zoliborz

All’indomani dell’Indipendenza, il quartiere di Zoliborz non esisteva ancora. Varsavia, infatti, terminava prima, in prossimità delle vie Muranowska e Mila, che segnavano il limite meridionale dell’area della Cittadella2, il poligono militare difensivo costruito dai russi a partire dagli anni Trenta del XIX secolo, circondato da uno spianato in cui vigeva il divieto assoluto di innalzare edifici in muratura. La zona era stata scelta dai comandi russi perche dalle sue alture il fuoco dei cannoni poteva facilmente arrivare fino al cuore della città3. Di conseguenza quello che era stato agli inizi dell’Ottocento un prestigioso quartiere residenziale venne forzatamente trasformato in una vasta area militare.

Dopo la Prima guerra mondiale, non appena le condizioni economiche lo consentirono – cosa che avvenne solo qualche anno dopo la fine delle ostilità – per Zoliborz iniziò, quasi da un giorno all’altro, una fase di prepotente crescita che non conobbe sosta fino al 1939. Le soluzioni impiegate dagli architetti furono le più svariate, a causa della natura molto eterogenea della committenza, e andarono dallo storicismo classicheggiante al fuzionalismo più radicale. Inizialmente fu lo Stato stesso a individuare in Zoliborz la zona ideale da destinare all’insediamento delle classi sociali a lui più vicine: quella dei militari e quella degli impiegati. Venne così allestita una sorta di sobborgo-giardino dominato da uno stile dichiaratamente storicista, quello che trovava nello dworek, la tradizionale residenza di campagna della nobiltà polacca, la propria fonte di ispirazione. Successivamente le cooperative di locatori vi costruirono i propri complessi residenziali, basati su un linguaggio stilistico totalmente differente, espressione inequivocabile di posizioni ideologiche talmente manifeste da far sì che tali colonie vennissero ben presto soprannominate Zoliborz czerwony, Zoliborz rosso. Nella

1 J. Chmielewski, S. Syrkus, Warszawa funkcjonalna. Przyczynek do urbanizacji regionu warszawskiego, Warszawa 1934, pp. 35-6.

2 H. J. Moscicki, Cytadela warszawska. Zarys historii budowy, Warszawa 1963. 3 Zoliborz wczoraj, dzis i jutro, Warszawa 1970.

regione settentrionale di Varsavia, che si sviluppò praticamente dal nulla come un quartiere marcatamente residenziale, è possibile quindi ripercorrere tutte le fasi dello sviluppo architettonico-urbanistico della capitale della Polonia nel corso dell’intero ventennio interbellico. Al riguardo, Lech Klosowicz ha recentemente scritto:

Zoliborz, che continuò a essere edificato fino al 1939, mostra i cambiamenti nel modo di trattare la forma architettonica intervenuti nel corso degli anni. Gli edifici anteriori si riallacciano alla tradizione patria, in cui si possono leggere temi classici, interpretati con grande varietà di modi; quelli posteriori, invece, manifestano

caratteristiche tipiche del modernismo e del funzionalismo centro-europeo1.

Le prime case furono costruite solamente nel 1922, in un momento in cui la spinta edilizia era ancora piuttosto debole e tendeva a concentrarsi soprattutto nelle aree centrali di Varsavia. Le periferie, come Zoliborz appunto, rimanevano ancora tali. Sul finire del decennio, però, grazie anche all’appoggio che lo stato decise di garantire al settore delle costruzioni, ebbe inizio una fase di boom edilizio. Le aree inedificate settentrionali costituivano un terreno ideale in cui costruire. Erano poste nelle immediate vicinanze del centro ed erano ancora sostanzialmente vergini. Negli anni 1931-33 Zoliborz riuscì quindi ad attirare da 1/3 ai 3/5 degli investimenti edilizi dell’intera Varsavia2.

L’attività di pianificazione dello sviluppo spaziale dei terreni diventati, dopo la fine della guerra, proprietà dello stato – Zoliborz era uno di questi – era stata affidata ai laboratori di progettazione delle municipalità, che a partire dal 1920 avevano l’obbligo di redarre i piani regolatori e i piani di estensione. Nel caso di Varsavia bisognava decidere della destinazione dei terreni inedificati posti tra la doppia cintura di fortificazioni militari. Nel Biuro da spraw regulacji i zabudowy miasta della capitale, attivo fin dal 1917 con il nome di Sekcja, operavano tra gli altri Tadeusz Tolwinski e Antoni Jawornicki, un architetto specialista delle soluzioni dal «carattere paesaggistico e rappresentativo»3. Quest’ultimo fu l’autore del piano settoriale di Zoliborz, in cui l’eco dell’urbanistica classicheggiante di matrice francese si fece chiaramente sentire4.

1 L. Klosiewicz, op. cit., p. 215. 2

J. Cegielski, Stosunki mieszkaniowe w Warszawie w latach 1864-1964, Warszawa 1968, pp. 234-5. 3 Regulacja i zabudowa m. st. Warszaway...., p. 29.

Fig. 10: il nuovo quartiere residenziale di Zoliborz come venne raffigurato all'inizio degli anni Venti. In «Architektura i Budownictwo» 6 (1926), p. 5

Lo sviluppo del quartiere di Zoliborz, secondo quanto scrive Lukasz Heyman nel suo splendido lavoro dedicato alla storia di tale parte di Varsavia, rispecchiò fedelmente gli ideali estetici verso i quali il giovane stato polacco decise di rivolgersi una volta riconquistata l’unità nazionale: erano le realizzazione del classicismo polacco del periodo a cavallo fra il Settecento e l’Ottocento, a loro volta influenzate dal classicismo francese.

La struttura di base della rete stradale, nonchè quella delle piazze (sebbene in misura diversa) è l’espressione di alcune tendenze ben definite dell’urbanistica polacca [...] nel caso qui ricordato venne adottata una concezione monumentalistica, redatta sotto forma di arterie e di piazze tracciate con slancio, la cui disposizione geometrica, assiale e radiale, mirava a ricollegarsi con una determinata tradizione storica, quella costituta dalla pianificazione spaziale del classicismo polacco del XVIII secolo, del regno del Congresso e dall’urbanistica francese1.

La stessa distruzione di Zoliborz, che era stata intrapresa dai russi per far posto alla loro cittadella difensiva, non fu altro che un motivo di ulteriore attrazione per l’intera area: essa poteva essere ripopolata dagli abitanti della città in un processo di riappropriazione dalla forte carica simbolica, che fu particolarmente intensa nei primi anni del dopoguerra. Era una regione di Varsavia che, a causa della sua storia, era diventata un «simbolo nazionale»; di conseguenza i primi a costruire le proprie dimore a Zoliborz

furono, non a caso, gli ufficiali dell’esercito e gli impiegati della nuova amministrazione statale.

Il piano di divisione e di edificazione dei terreni statali (plan podzialu i zabudowy terenow panstwowych), pubblicato nel 1926, prevedeva per Zoliborz una configurazione della rete stradale a forma trapezioidale, con al centro una grande piazza a stella (l’attuale piazza Wilson) in cui si incorciavano le due vie perpendicolari (Mickiewicza e Stoleczna) che suddividevano il tutto in quattro settori.

La parte meridionale dell’area venne concessa all’Associazione cooperativa residenziale degli ufficiali (Mieszkaniowe stowarzyszenie spodzielcze oficerow w Warszawie) per l’edificazione delle residenze degli alti gradi dell’esercito (Zoliborz oficerski) nel 1922. Lo scopo perseguito dal progettista, Kazimierz Tolloczko, fu quello di far rinascere l’assetto tradizionale cancellato dai russi. L’area nuovamente accessibile ai polacchi, andava in qualche maniera „ripolonizzata” dopo gli anni della dominazione straniera. Si decise di ancorarsi alla tradizione. Lo dwor, la dimora di campagna dell’aristocrazia, con i suoi alti tetti spioventi e con il portico colonnato divenne il modello di riferimento per la nuove classi agiate della capitale. Già prima dello scoppio della Grande guerra lo styl dworkowy, d’altronde, era stato individuato come la risposta più coerente al bisogno di rappresentazione dello spirito nazionale che nella Polonia dei primi del Novecento si era prepotentemente risvegliando. Le decorazioni potevano rimandare al neo-classicismo di fine Settecento, l’ultimo periodo di grandezza dello stato polacco prima dell’epoca delle spartizioni, oppure al barocco, o al rinascimento polacco. Non che questo fosse, ad ogni modo, un fenomeno tipicamente polacco. Numerosi critici hanno agevolmente mostrato come tale ricerca dello spirito nazionale percorse l’intera Europa di quegli anni, immediatamente prima e dopo la Grande guerra1

Lo styl dworkowy, proprio in virtù della sua capacità di far rivivere le forme di una tradizione che veniva considerata come tipicamente polacca, possedeva tutti i requisiti necessari per essere quel «ponte tra gli anni antichi e quelli vecchi, tra il 1795 e i primi anni di indipendenza» che si voleva ricreare a Zoliborz.

Gli autori degli edifici di Zoliborz oficerski furono Romuald Gutt, Rudolf Swierzynski, in futuro due dei più autorevoli rappresentanti del modernismo moderato degli anni Trenta, Tadeusz Tolwinski, autore del progetto per il piano di estensione di Varsavia del 1916 e Kazimierz Tolloczko2. Gli edifici erano a due, tre o quattro piani –

1

A. K. Olszewski, Nowa forma w architekturze polskiej. Teoria i praktyka, Wroclaw 1967; in J. Starzynski (a cura di), Art around 1900 in Central Europe, Krakow 1999

monofamiliari, bifamiliari e a schiera – ed erano pensati per ospitare dalle 4 alle 10 famiglie. Come si vede, coostituivano delle unità residenziali assai differenziate, immerse nel verde degli irrinunciabili giardini privati.

L’impianto urbanistico complessivo, infatti, venne concepito secondo la lezione della città-giardino di Ebenezer Howard e William Morris, allora molto di moda in Polonia. Zoliborz oficerski era, parafrasando uno degli slogan più famosi coniati durante gli anni della repubblica popolare, una sorta di sobborgo-giardino profondamente internazionale per quanto riguardava la sua configurazione spaziale, ma molto nazionale nei contenuti, quelli nostalgici e pieni di sentimentalismo verso il passato dello styl dworkowy.

La costruzione della colonia venne iniziata, come detto, nel 1922. La prima serie di edifici, in tutto 75, venne ultimata l’anno successivo, quando venne iniziata la seconda serie di 60 unità, terminata nel 1924, anno di inizio della III serie di 30 abitazioni. Zoliborz oficerski nel suo insieme fu completato nel 1927.

L’altro complesso ealizzato in questi anni fu quello di Zoliborz urzedniczy, Zoliborz degli impiegati, commissionato dal ministero dei Lavori pubblici a Aleksander Bojemski, Marian Kontkiewicz, Romuald Gutt e K. Saski1. I lavori iniziarono nel 1923 e durarono fino al 1926.

Un’altra realizzazione degna di nota fu la cosidetta colonia di Zoliborz dziennikarski, Zoliborz dei giornalisti2, costruita per la Cooperativa edilizia residenziale dei giornalisti di Varsavia. Le dimensioni erano molto più contenute, e anche le soluzioni architettoniche impiegate da Tolloczko non erano particolarmente impegnative. I tetti spioventi erano spariti e le facciate, molto semplici, erano sostanzialmente prive di elementi decorativi. Il progetto risaliva al 1927 quando le avanguardie funzionaliste varsaviane avevano già cominciato a diffondere il proprio innovativo modo di intendere l’arte del costruire. Tolloczko sembrò risentire di tali influssi, perlomento a livello della scarna composizione esterna. Il programma di rinnovamento delle forme del vivere e la ricerca di funzionalità negli interni che caratterizzava le avangardie era, tuttavia, totalmente assente. La colonia, infatti, era costituita da casette a schiera, ville bi-familiari e un condominio, in cui gli appartamenti erano generalmente di 4 stanze e di 90 m2. Erano la dimora tipica dell’intelligencja facoltosa della Varsavia di quegli anni, non l’alloggio minimo che i funzionalisti stavano cercando di definire; erano le dimore di professionisti ben pagati che

1 A. Raniecki, Dzial mieszkaniowey wystawy „Mieszkanie i miasto”, «AiB» 6 (1926), pp. 29-35 2 Osiedle dziennikarskie na Zoliborzu projektu arch. Kazimierza Tolloczko, «AiB» 1 (1931), pp. 17-23.

sceglievano consapevolmente di vivere nello stesso complesso residenziale posto in un’area piuttosto prestigiosa della prima periferia, non gli appartamenti a basso costo per le masse popolari.

Estremamente interessante fu il complesso e contraddittorio processo di valutazione di questa prima fase dello sviluppo di Zoliborz che si consumò sulla stampa specialistica dell’epoca. Secondo la ricostruzione che ne fa Heyman, i giudizi furono assai differenti e rispecchiavano in pieno la differenza di scuola che esisteva nell’architettura polacca dell’epoca. Il mensile Architekt, edito a Cracovia, sembrò apprezzare il «carattere accogliente e modesto dell’architettura suburbana» di Zoliborz, in questo modo manifestando chiaramente la sua appartenenza a una scuola architettonica, quella di Cracovia appunto, mossa in primo luogo dalla ricerca di valori estetici capaci di soddisfare l’occhio dell’osservatore. Il varsaviano Architektura i Budownictwo, invece, pur lodando la composizione generale dei complessi residenziali di Zoliborz, non potè esimersi dal lamentare lo spreco di tanto spazio per la costruzione di case e di ville che non contribuivano assolutamente a risolvere la crisi abitativa che colpiva le classi popolari. Confermava in questo modo, la propria adesione a uno modo specificamente varsaviano di intendere l’architettura come arte guidata da fini sociali e non fine a se stessa.

Ancora più trancianti furono i giudizi espressi dai membri delle avanguardie. Szymon Syrkus definì senza mezzi termini le realizzazioni dei primi anni del dopoguerra «un barocchetto assolutamente provinciale, una evoluzione assolutamente stentata e imbecille dell’architettura prebellica»1. Più specifico il giudizio di Edgar Norwerth, che descrisse Zoliborz nei seguenti termini: «casette singole, deformate su tutti i lati, strade piegate in maniera artificiale, curve inaspettate presso le quali l’architetto si sforza inutilmente di diversificare il panorama»2.

Negli stessi anni in cui a Zoliborz si era dato il via alla costruzione delle dimore per gli uffciali e per i ceti impiegatizi della nuova amministrazione pubblica, la Cooperativa residenziale varsaviana Wsm riuscì a ottenere dei terreni sui quali edificare i propri complessi residenziali popolari. La posa della prima pietra della prima colonia si ebbe nel 1925.

Il progetto della colonia I, redatto da Bruno Zborowski, prevedeva la costruzione di quattro stabili: un grande edificio frontale, adiacente la strada, composto di 76

1

S. Syrkus, Architektoniczne podstawy budownictwa mieszkaniowego, «Odbudowa gospodarcza» 2 (1925), p. 22, cit. in L. Heyman, op. cit., p. 73.

appartamenti, un’altro di 27 e due palazzine interne da 4 abitazioni l’una. Un’ala dell’edificio frontale era adibita a casa collettiva. Vi trovarono posto un club, la biblioteca, la sala di lettura, due negozi interni e il locale dell’amministrazione. I primi appartamenti furono completati nel 1927; l’intera colonia nel 1928. Il primo villaggio Wsm fu una realizzazione ibrida. Stilisticamente, infatti, era ancora ancorata alle proposte estetiche dello styl dworkowy, per quanto quelle utilizzate da Zborowski fossero alquanto semplici, in genere delle sobrie citazioni rimandanti al barocco e al classicismo. Nella maniera opposta rispetto alla colonia di Zoliborz dziennikarski, gli esterni, di chiara impostazione tradizionale, non erano coerenti con gli interni. I nuovi contenuti, le nuove funzioni della nuova architettura non avevano ancora trovato delle soluzioni plastiche specifiche e coerenti. La maniera di intendere l’organizzazione degli spazi interni, e in particolar modo lo sviluppo di quelli collettivi, invece, costituiva già una netta discontinuità con il passato.

Queste prime realizzazioni della Wsn, la colonia I ma anche la II, erano state progettate avendo come punto di riferimento dichiarato le strutture che allora erano state recentemente completate a Vienna nel quadro dei programmi di edilizia popolare della giunta comunale. I complessi di Gürtel, Sandleiten, Grillgasse, Phillipsgasse, Kaisemühlendamm, tutti ben noti ai polacchi, erano stati progettati secondo uno spirito tutt’altro che rivoluzionario per quanto riguardava le forme esterne, e costituivano certamente una fonte ineludibile di ispirazione. Tuttavia le innovazioni sociali che sostennero tali programmi di edilizia popolare, non avendo ancora trovato delle forme estetiche parimenti innovative, dovettero adoperare quelle più tradizionali. Anche perchè le alternative erano ancora in fase di elaborazione o, come nel caso dei siedlung di Ernst May a Francoforte, erano delle eccezioni non ancora sufficientemente conosciute e, forse, apprezzate. Cionondimeno, nel corpo principale della colonia II, Zborowski dimostrò di conoscere l’opera di Gropius1 e di Le Corbusier2, coprendo l’edificio con un tetto-terrazzo che venne utilizzato per le lezioni dei bambini dell’asilo. Nel caso della Wsm, l’adesione della stessa alla corrente moderna avvenne solo in un secondo momento, e coicise con l’inizio della collaborazione con gli architetti di Praesens. Furono quindi le colonie III e V a dare per prime l’impressione di essere in presenza di complessi dotati di una propria anima specifica e coerente, profondamente

1 Qualche anno più tardi apparve in polacco il seguente articolo dell’artista tedesco: W. Gropius, O

zabudowaniu niskim czy wysokim, «AiB» 4 (1934), pp. 153-6.

2 A. Lauterbach, Le Corbusier: L’urbanisme, «AiB» 10-11 1926, pp. 45-51; E. Norwerth, Le Corbusier:

diversa da quella degli altri edifici circostanti. Le colonie Wsm, insomma, cominciarono a costituire una frattura con il resto del quartiere, una sorta di piccolo mondo a parte, solo verso la fine degli anni Venti. In particolare, proprio con le colonie III e V, Zborowski dette prova di aver ormai completato il proprio personale processo di distacco dalle forme architettoniche tradizionali che aveva impiegato nei primi due complessi, e si accostò alle realizzazioni di uno dei grandi „amici” delle avanguardie varsaviane, l’olandese Oud:

Gli edifici di entrambe le colonie sembrano non aver fine: nel pensiero di base dell’architettura moderna essi possono essere allungati aggiungendovi degli elementi sempre nuovi. Il caratteristico motivo arrotondato dei balconi d’angolo introduce un momento fluido di separazione delle forze dinamiche e allo stesso tempo accentua i bordi del volume [...] Il prototipo di tale motivo va ricercato,

forse, nell’opera di J.J.O. Oud (siedlung di Hoek van Holland)1.

La vera cesura, però, fu probabilmente la colonia IV. Il progetto venne elaborato dai coniugi Brukalski, Barbara i Stanislaw (in seguito sarebbe stato, ad ogni modo, modificato). I lavori cominciarono nel 1928. L’elemento più innovativo introdotto dai Brukalski fu la cucina francofortese, ideata da Greta Schütte-Lichotzky: in un’area di dimensioni piuttosto ridotte tutte le attrezzature erano posizionate in maniera funzionale, in modo da utilizzare in maniera ottimale il poco spazio disponibile, di eliminare i movimenti non necessari, e di incanalare gli spostamenti dell’inidividuo lungo delle linee rette.

Contemporaneamente, gli architetti di Praesens cercarono di indirizzare i propri progetti verso dei presupposti di economicità finalizzati alla riduzione dei costi di costruzione. Cercarono quindi di standardizzare gli elementi costruttivi, di rendere ripetibili in serie le unità abitative, o parte di esse – si pensi alla piccola cucina- laborartorio – di collegare gli appartamenti con un sistema di corridoi „a galleria” in modo da ridurre il numero dei vani delle scale.

Nel terreno della colonia IV, che secondo i piani avrebbe dovuto diventare il complesso socio-educativo che avrebbe servito anche le altre colonie, ebbero inizio i lavori di costruzione della centrale di riscaldamento comune, secondo il progetto curato da Zborowski. Nel 1930 venne invece edificata la grande lavanderia centrale, collocata in un edificio di quattro piani con struttura in cemento armato. L’acqua calda proveniva direttamente dalla centrale a carbone. Al primo piano vi erano i bagni comuni. Come

1 L. Heyman, op. cit., p. 105.

tutti i locali collettivi, la lavanderia doveva in qualche maniera ricompensare gli abitanti delle metrature ridotte degli appartamenti, della mancanza di vasche nei bagni privati, delle cucine rinpicciolite fino a farne dei laboratori. Venne progettato anche un complesso educativo, dove sarebbero state raccolte le scuole e gli asili, ma non venne mai realizzato a causa della mancanza di finanziamenti. Le scuole e gli asili vennero quindi ricavati in alcune parti degli altri edifici già esistenti.

I giovani architetti funzionalisti poterono giovarsi dell’appoggio della Wsm anche nel caso della colonia VIII. Il progetto venne affidato a due giovani dipendenti dell’Ufficio per il piano regionale: Jan Chmielewski e Juliusz Zakowski nel 1930. Il discorso sull’existenzminimum era stato recepito pienamente dalla Wsm, che si apprestò quindi a costruire nella nuova colonia un numero preponderante di alloggi di dimensioni minime: 129 non avrebbero superato i 34m2; 35, di due stanze, variavano fra i 38 e i 46 m2; solo 20, di tre stanze e mezzo, avrebbero al massimo raggiunto i 69 m2. L’appartamento tipo, quello cosiddetto a una stanza e mezzo, era costituito da una stanza e da un’area di servizio in cui trovavano posto la cucina-laboratorio, i servizi igienici e una piccola anticamera.

La stessa rete stradale della zona venne parzialmente modificata secondo i bisogni del siedlung della Wsm, profondamente diversi da quelli per cui erano stati pensati i tracciati iniziali, disegnati per soddisfare le esigenze di un’area su cui avrebbero dovuto essere edificate delle ville private. Il nuovo piano, redatto da S. Brukalsi, S. Filipowski e J. Graefe venne presentato al ministero dei Lavori pubblici nel 1930, che lo accolse1. In questa maniera, nonostante il lungo protrarsi dei lavori di costruzione che durarono diversi anni, in un continuo susseguirsi di interruzioni e di riprese, venne creato un complesso di dimensioni significative – dei 1674 appartamenti gestiti dalla Wsm nel 1938, 1381 erano a Zoliborz (gli altri a Rakowiec)2 – dotato di coerenza interna rispetto alle finalità sociali dalla cooperativa, che non vennero abbandonate nonostante la ristrettezza dei fondi a disposizione e l’avversità delle