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La logica del compromesso borghese, che – si è detto – informa per intero l’ordine giusprivatistico ottocentesco, disvela un’autentica, inesorabile contraddizione della modernità giuridica.

Se, infatti, la falce della Rivoluzione si abbatte irreversibilmente su una società dal tessuto frammentato in rigide ‘classi’, riducendola ad una struttura rigorosamente compatta e formalmente egualitaria, la duplicazione dei codici di diritto privato comporta (o meglio, riporta) – pur nella costituita unità fondamentale della vita economica – una distinzione tra i soggetti di diritto101 sostanzialmente imperniata sulla posizione

assunta dall’individuo rispetto ai beni della vita stessa o agli strumenti produttivi.

Se, e in quanto, questa nuova summa divisio persona rum trovi un qualche riscontro in una sorta di summa divisio

rerum, è aspetto – di gaiana memoria – di un problema che non possiamo indagare in questa sede. E, pertanto, non spingeremo il pur (a primo aspetto) stimolante parallelo più in là di qualche riferimento o raffronto storico superficiale (o, almeno, non impegnativo).

Ma è certo che, come la distribuzione delle cose nella categoria dei beni di importanza sociale o in quella dei

101

Che, tra le altre possibili, acquista un più netto rilievo ed una più larga importanza.

beni lasciati alla libera estrinsecazione dell’individuo, così la distinzione dei soggetti nell’uno o nell’altro gruppo che andiamo illustrando è – insieme – un portato ed un riflesso della struttura economica della società del tempo, e della valutazione politica (cioè, finalistica) della funzione dei soggetti stessi.

In buona sostanza, il sistema giusprivatistico del diciannovesimo secolo raggruppa, da una parte, i fenomeni di pertinenza, godimento, uso, disposizione, discendenza dei beni; dall’altra, fenomeni di detenzione ed impiego di mezzi o strumenti di produzione o di svolgimento di attività produttiva che non sia di puro lavoro materiale. Da un lato, si ha una posizione soggettiva ‘statica’; dall’altro, una posizione soggettiva ‘dinamica’. Per attribuire un nomen alle categorie contrapposte, da una parte stanno i ‘proprietari’; dall’altra, i ‘commercianti’.102

Proprio quello di ‘commerciante’ è il concetto adottato – traendolo da una tradizione transnazionale – dal codice di commercio come posizione soggettiva dinamica, antitetica a quella statica riflessa nel concetto di ‘proprietario’ del codice civile.103

E se nonostante la terminologia impiegata – ricordo di tempi lontani in cui effettivamente il momento dello scambio dei beni è economicamente e socialmente tanto preminente, se non addirittura esclusivo, da meritare un proprio complesso di regole e persino propri tribunali – la

102

La figura prende poi – è vero – nomi diversi a seconda del ramo del commercio esercitato: così il commerciante può essere merciaio, artigiano, pizzicagnolo, droghiere, banchiere, industriale, impresario, editore, armatore e via dicendo; ma il codice non tiene conto di queste distinzioni, ricomprendendole tutte nell’unico concetto giuridico di ‘commerciante’.

103

Sui requisiti per l’acquisto e la spendita della qualifica di ‘commerciante’, si gli importanti contributi di THOL E., Il commercio e il commerciante, Ricc. Marghieri Editore, Napoli, 1881 (prima versione italiana dell’Avv. Alberto Marghieri), pp. 111 e ss.; GIANNINI T.C., Analisi del concetto di

commerciante secondo il nostro diritto, in Il diritto commerciale, vol. XX,

1902; NAVARRINI U., Trattato elementare di diritto commerciale, vol.

I,introduzione. Gli elementi costitutivi dei rapporti giuridici commerciali, in generale. In particolare: i negozi giuridici e le obbligazioni commerciali,

Utet, Torino, 1932, pp. 91-109; ROCCO A., Principii di diritto

commerciale. Parte generale, Utet, Torino, 1928, pp. 258-267; VIVANTE C., Istituzioni di diritto commerciale, Hoepli, Milano, 1931, pp. 35 e ss.; Id.,

I commercianti, in Trattato di diritto commerciale, vol. 1, Vallardi, Milano,

nozione giuridica di commerciante finisce col ricomprendere in sé anche quella di ‘imprenditore’, costruita per relationem attraverso il combinato disposto degli articoli 3 e 8 del codice Mancini, l’accento tonico del sistema legislativo cade pur sempre sul criterio dello ‘scambio’ e della ‘circolazione’ delle ricchezze piuttosto che su quello della loro ‘produzione’. In altri termini, il legislatore ottocentesco si preoccupa non già di determinare chi sia imprenditore, per trarne conseguenze giuridiche particolari onde assoggettarlo ad una disciplina speciale; piuttosto, di stabilire che l’attività produttiva svolta in forma di impresa104 è da considerare e trattare –

se non ‘per finzione’, quantomeno ‘per presunzione’ – come attività commerciale, e quindi – ‘per illazione’ – che gli imprenditori sono da considerare e trattare giuridicamente alla stregua di commercianti.

Il criterio seguito dal codice del 1882 ha, dalla sua, tutta una tradizione storica e scientifica: non solo – come si è detto – per la preminenza dell’attività diretta allo scambio su quella di produzione dei beni propria del tempo in cui si formano le prime regole commerciali, ma anche per la tendenza – manifestatasi nella secolare letteratura sia giuridica che economica – ad assorbire nel concetto di commerciante o di proprietario (meglio, di capitalista) la figura dell’imprenditore anche prima che a ciò sia indotta da una precisa disposizione di legge e indipendentemente da essa.105

Così, nel suo celebre Trattato, dopo avere definito il

mercator e l’artifex, il giureconsulto anconetano Benvenuto Stracca soggiunge che “hos mercatores censeri puto” i quali

“merces emant easdemque non sua opera, sed aliena elaborandas curent animo forsan quaestus et causa transimittendi ad estranea civitates”;106 seguito, in questa dissoluzione del

104

Nei casi in cui l’art. 3 del codice di commercio parla – appunto – di ‘impresa’.

105

Cfr., in proposito, FRANCESCHELLI R., Imprese e imprenditori, Giuffrè, Milano, 1970, p. 3; nonché Id., Dal vecchio al nuovo diritto

commerciale. Studi, Giuffrè, Milano, 1970, pp. 86-87. 106

Cfr. STRACCA B., Tractatus de mercatura sive de mercatore, Amsterdam, 1553, pars prima, quaest. 23 e 26. La citazione riportata è tratta dal notevole saggio di MONTESSORI R., Il concetto di impresa negli atti di

concetto di imprenditore in quello di commerciante, dal genovese Scaccia107 e – in Francia – dal Savary.108

E, ancora, nei primi economisti inglesi, poiché i produttori usano – nelle loro imprese – capitali propri, il concetto di imprenditore si risolve in quello di capitalista, e il profitto dell’imprenditore viene considerato come un reddito del capitale impiegato nell’impresa e, quindi, come un riflesso del diritto di proprietà.109

D’altra parte, se il fine ultimo dell’anzidetta summa

divisio è quello di costituire, in favore delle persone che esercitano una funzione economica che appare – in un dato tempo e in una data fase dell’evoluzione tecnico- economica – come di importanza socialmente preminente, uno statuto giuridico particolare, assoggettandole a particolari doveri e a particolari responsabilità, il mezzo è proprio quello di elevare ad elemento costitutivo della categoria in parola il dato ‘tecnico’ dello svolgimento di quella tale attività economica che appare di maggiore importanza. E poiché il fenomeno del giuridico procede per categorie formali, il dato tecnico può anche non apparire – in casi particolari – allo stato puro, ma essere commisto con altri elementi o esistere soltanto in virtù – appunto – di una presunzione o finzione normativa.

Checché se ne dica, resta tuttavia innegabile un dato ‘fattuale’.

All’avvento del codice è al crepuscolo – o addirittura è finita – quell’epoca della storia economica che viene denominata ‘capitalismo commerciale’.110 Provenienti

107

SCACCIA S., Tractatus de commerciis et cambio, Venezia, 1669, par. I, quaest. 12 e 13.

108

SAVARY P.L., Dictionnaire universel de commerce, 6° ed., Ginevra, 1750, tomo II, p. 1238.

109

Cfr. CANNAN E., History of Theories of Production and Distribution, 3° ed., Londra, 1917, cap. VI, sez. 2.

110

Epoca durante la quale il commerciante rappresenta il centro della vita economica, in quanto costituisce e possiede il mercato, interpretando i bisogni da soddisfare, promuovendo gli investimenti, sostituendo a mercati di approvvigionamento lontani empori più vicini e quindi meno rischiosi, dà e riceve credito, accumula grandi capitali, costituisce un gruppo di pressione capace di influire sull’attività politica.

Le ultime due caratteristiche lo avvicinano al grande agrario: commercianti e grandi agrari costituiscono due gruppi elitari, reciprocamente aperti per più profili, che insieme influenzano la cultura e – per suo mezzo – la società civile e politica.

I commercianti costituiscono un sistema di cui rappresentano il centro, ma in cui coinvolgono anche gli artigiani, che da un canto godono dei privilegi

dalla classe dei commercianti, gli imprenditori li sostituiscono al centro della vita economica, realizzando grandi investimenti, assumendo grandi rischi, conseguendo grandi guadagni;111 proprio perché in

posizione sempre più forte, l’imprenditore tende a coprire l’intero circuito economico – che va dalla produzione al consumo – da un lato attingendo, senza bisogno di intermediari, al credito e comunque non ricevendolo dai commercianti e, dall’altro, arrivando direttamente ai consumatori e quindi conquistando la clientela dei (sottraendola così ai) commercianti stessi.112

Solo che, rispetto a questo profondo cambiamento, il codice del 1882, da un canto, si presenta come pienamente realistico;113 dall’altro, è sicuramente presentato – e forse

addirittura pensato – con ritardo storico, dando (meglio, continuando a dare) al commerciante una posizione di preminenza.

Si può notare, essenzialmente, una preminenza ‘topografica’: i primi tre numeri dell’art. 3 del codice di commercio sono dedicati agli ‘atti dei commercianti’; mentre le imprese produttrici di beni e di servizi compaiono solo nei numeri da 6 a 10; le imprese bancarie – al n. 11 – sono individuate facendo riferimento alle operazioni di banca e – del pari – le assicurazioni figurano in coda ai numeri 19 e 20 senza sottolinearne (diciamo pure sottacendone) come per le banche la loro natura di impresa.

Infine, non è senza fondamento quell’affermazione secondo la quale il codice pensa l’imprenditore come ‘appaltatore’ del commerciante (e del grande agrario) e,

del sistema, ma dall’altro ne rappresentano l’anello più debole, non disponendo del mercato. Sul piano dei costi, i commercianti sono in posizione più forte nel risolvere i conflitti d’interessi con gli artigiani. Sul piano dei ricavi, essi forniscono – di preferenza ai consumatori delle classi più alte – merci di pregio che consentono notevoli guadagni (cfr. AULETTA G., L’impresa dal codice di commercio del 1882 al codice civile del 1942, in

1882-1982. Cento anni dal codice di commercio, Quaderni di giurisprudenza

commerciale, 54, Giuffrè, Milano, 1984, pp. 79-80).

111

Di solito, si trasformano in imprenditori i commercianti più ricchi, più dotati, più aperti al rischio ed alla innovazione.

112

All’avvento del codice del 1882 l’avanzare degli imprenditori e l’arretramento dei commercianti è già una realtà in atto, destinata ad accentuarsi nell’immediato futuro.

113

In quanto, per esempio, riconosce che l’artigiano è fuori dai grandi circuiti economici e, quindi, non interessa più il diritto commerciale.

quindi, realmente privo di contatti con il mondo dei consumatori.114

Più delicato è precisare la posizione dell’interpretazione rispetto al ritardo storico del codice appena evidenziato. Potrebbe certo affermarsi che l’interpretazione segue l’impostazione del codice non solo con una costruzione dell’impresa che mette in ombra le differenze tra commerciante ed imprenditore, ma anche presentando l’impresa come una sottospecie dell’intermediazione e l’imprenditore come speculatore.115 Vero è – ad avviso di

chi scrive – che quello che più conta è che, mediante quella costruzione e giustificazione, l’interpretazione giunge a dare valore esemplificativo all’elencazione delle imprese nominate e, quindi, a costruire l’impresa come figura generale, così completando – sul piano interpretativo, appunto – quella espansione del diritto commerciale che la disciplina dell’atto misto attua sul piano normativo.116

2. L’analisi economica del sistema giusprivatistico

ottocentesco: il commerciante (ovvero, l’imprenditore)