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ottocentesco: il commerciante (ovvero, l’imprenditore) come figura particolare di ‘proprietario’

Se a partire dalla seconda metà del Settecento la fisiocrazia francese e l’economia politica inglese individuano – sub specie di leggi naturali – i meccanismi reali dell’imminente sviluppo capitalistico della società, il compiersi nel secolo XIX di questo sviluppo rivela nuovi conflitti sociali che rendono – di fatto – più complessi tali meccanismi.

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Cfr. AULETTA G., L’impresa dal codice di commercio del 1882 al

codice civile del 1942, cit., p. 80; nonché GALGANO F., Lex mercatoria, cit., pp. 166-167; infine, SALINARI C. (a cura di), Vocabolario della lingua

parlata in Italia, voce “imprenditore”, Edizioni del Calendario, Milano,

1967.

Il commerciante, dunque, viene presentato come figura generale, mentre le imprese vengono presentate come tipiche, col conseguente problema se le imprese non espressamente previsti siano – o meno – disciplinate dal diritto commerciale.

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Speculazione riferita, prima, alle materie prime e, poi, al lavoro.

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Così, sebbene consapevoli che la politica della ‘privatizzazione’ delle terre117 genera il lavoro salariato e,

anzi, un mercato del lavoro a basso costo, non si può certo dire – né, tuttavia, si può pretendere – che quelle correnti di pensiero abbiano compreso fino in fondo tutte le implicazioni dello sviluppo, man mano che nell’Ottocento la rivoluzione industriale propaga i suoi effetti in tutto il corpo sociale.

Ciò nondimeno, è un dato inconfutabile che la codificazione del diritto civile anticipa alcune esigenze tipiche del capitalismo industriale col porre i principi giuridici indispensabili per lo sviluppo dei meccanismi di mercato.118 Ovviamente, il capitalismo industriale non si

esaurisce in tali meccanismi: anzi, esso presuppone – per potersi sviluppare – altri congegni complementari ai precedenti che, però, le regole del mercato tendono a celare, presentandosi in questo modo come ‘uniche’ regole che animano tutto il sistema capitalista.

Tuttavia, nella misura in cui tale forma di capitalismo necessita – per funzionare e svilupparsi – dei meccanismi di mercato, gli istituti giuridici delineati nel codice civile si rivelano adeguati allo sviluppo dell’industrializzazione capitalistica.

Stando così le cose, non si può allora considerare la codificazione del diritto civile come la codificazione di una società agraria, volta a tutelare e promuovere interessi che soltanto in tale forma di società possono svilupparsi. Piuttosto, che la proprietà terriera (privata) è, sì, un tema centrale – il perno – del codice civile, ma un tema organicamente inserito in una concezione per la quale solamente una società fondata sul commercio e sull’industria – tenuta insieme, perciò, e ricondotta ad

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Per la quale si vedano, retro, nel cap. I, il § 1 e la nota n. 28.

Qui – in una visione prettamente economica del fenomeno – merita forse sottolineare come essa non sia altro che un portato di quella dottrina del

laissez-faire che, nata come forma di protesta nei confronti della politica di

tassazione e controllo delle attività commerciali, ravvisa negli elementi tipici del capitalismo – il perseguimento del proprio tornaconto, la concorrenza e le preferenze dei consumatori – le forze trainanti dello sviluppo economico e industriale.

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unità dai meccanismi del mercato – può giungere a conformarsi al suo ordine naturale.119

Invero, ponendo alla base del sistema la proprietà privata, l’autonomia contrattuale e l’eguaglianza giuridica (formale), il codice civile disegna i principi fondamentali che permettono l’esistenza di un mercato, nel quale soltanto può essere promosso e svilupparsi il capitalismo industriale. Oltretutto – si osservi attentamente – il codice civile non guarda certo ad un mercato di soli produttori agricoli: infatti, tra le sue strutture giuridiche, figurano esplicitamente anche il prestito di denaro ad interesse120 e

la locazione delle opere.121 Fatti – questi – che possono

essere sottovalutati solo se, da un lato, si dimentica la spinosa disputa che prima della Rivoluzione divide i paladini del tradizionale divieto ecclesiastico del prestito ad interesse dai sostenitori della liceità di tale forma di mutuo (ritenuta un presupposto indispensabile affinchè si crei un libero mercato del denaro e, quindi, un tendenziale abbassamento dei tassi d’interesse che, a sua volta, favorisce lo sviluppo di investimenti nei più disparati rami produttivi);122 dall’altro, solo se non si considera che

l’esistenza di un mercato dei capitali e di un mercato del lavoro – e, dunque, il riconoscimento della liceità del prestito ad interesse e della locazione di opere, cioè del lavoro salariato – rappresentano le condizioni imprescindibili non solo per lo sviluppo del commercio

stricto sensu (e neppure soltanto per lo sviluppo di un capitalismo agrario), ma anche – e soprattutto – per lo sviluppo del capitalismo industriale.123

Se allora asseriamo pacificamente che la proprietà terriera è l’argomento centrale – il motore, si potrebbe dire – del codice civile, dobbiamo anche ammettere, però, che questo – dopotutto – non rispecchia essenzialmente gli

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Ivi., p. 70. 120

Nel codice civile italiano del 1865, l’art. 1831; in quello francese, l’art. 1905.

121

Nel codice italiano, l’art. 1570; nel code civil, l’art. 1780.

122

L’argomento a favore della liceità viene sviluppato soprattutto dal Turgot (sul quale, cfr. REBUFFA G., Origine della ricchezza e diritto di proprietà, cit., p. 129).

123

Sono, appunto, questi aspetti della disciplina del code civil che risultano indebitamente sottovalutati dal Ripert, Aspects juridiques du capitalisme

interessi di una borghesia fondiaria, distinta e contrapposta ad una borghesia commerciale e ad una (nascente) borghesia industriale.124 Se infatti – come è stato

opportunamente osservato – nel codice di commercio manca una disciplina generale dei contratti e delle obbligazioni commerciali,125 ciò significa solo che le

diverse figure di commercianti ivi individuate attraverso l’elencazione degli atti di commercio126 (e, quindi, tanto in

commercianti in senso stretto, quanto i banchieri, gli industriali-manifatturieri etc.) trovano nel codice civile la disciplina dei diversi strumenti giuridici con i quali operare nel mercato.127

Da queste sommarie osservazioni, sembra dunque potersi evincere che il codice civile rispecchia non già soltanto i bisogni di un settore particolare della nuova classe dirigente, ma le più generali esigenze di una società borghese. Nel delineare i principi-cardine di una società fondata sugli scambi, questo codice configura invero un mercato nel quale possono operare tutte le figure caratteristiche di questa società: dal proprietario- coltivatore al proprietario terriero capitalista, dal lavoratore salariato al banchiere e all’industriale.128

D’altronde, questa tesi non pare possa essere seccamente confutata nemmeno dall’osservazione – peraltro, già messa in rilievo – per la quale il codice civile “ne connait

pas l’entrepreneur; il ne connait que le proprietaire”

(letteralmente, “non conosce l’imprenditore; conosce solo il

proprietario”).129

L’osservazione, infatti, benché fondamentalmente corretta, non tiene conto del fatto che, in base ai presupposti teorici del codice civile, la categoria dei proprietari finisce per ricomprendere implicitamente

124

E’ – questa – la tesi (opinabile ad avviso di certa dottrina) sostenuta da Ettore Gliozzi nel suo contributo più volte citato, alle pp. 71-72.

125

Tanto che – per esempio – per la stessa compravendita non figura, nel codice di commercio, se non la norma che concede ampia facoltà al Tribunale di commercio nell’ammissione dei mezzi di prova.

126

Elencazione contenuta, quanto al codice Mancini del 1882, nell’art. 3; quanto al codice francese del 1807, negli artt. 632 e 633.

127

Ed è infatti il codice civile che, in via di principio, anche i Tribunali di commercio devono applicare nelle controversie di loro competenza.

128

Di qui la superiorità che, nella gerarchia delle fonti, ha il codice civile rispetto al codice di commercio.

129

diverse figure sociali, fra le quali vi è anche quella del ‘commerciante’ pur esplicitamente prevista e definita dal codice di commercio.130 E proprio nella dialettica tra

‘proprietario’ e ‘commerciante’, ossia – beninteso – tra (codice e quindi) diritto civile e (codice e dunque) diritto commerciale, si riflette il processo otto-novecentesco di industrializzazione che, sviluppandosi in opposizione alle strutture proprie di una società – di fatto – agricola, porta ad una progressiva diminuzione del peso relativo di categorie giuridiche tradizionali, concepite principalmente in funzione delle esigenze tipiche di una tale forma di società.

Fra tali diverse figure di proprietari131 (tra cui si

annovera anche l’imprenditore, perché – come abbiamo visto – considerato e trattato giuridicamente, per illazione, alla stregua di un commerciante, che è un proprietario) non si percepisce – se non nel nomen – l’esistenza di contrapposizioni. E ciò – a ben vedere – per una semplice ragione che affonda – e non potrebbe farlo altrove – in quella rivoluzionaria corrente di pensiero della quale entrambi i codici sono figli: il giusnaturalismo sei- settecentesco. Rispetto infatti alle differenze di fondo (sostanziali) tra di loro – comunque – esistenti, viene considerato prevalente il dato che le accomuna (distinguendole dalle figure dei proprietari feudali): esse tutte sono considerate come manifestazioni del diritto naturale di proprietà e, quindi, come realizzazioni storiche

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Con la locuzione – non certo all’altezza di una definizione scientifica (non a caso, infatti, sottoposta a minute e profonde indagini da parte tanto della dottrina quanto della giurisprudenza, che ne completano e delucidano i limiti) – per la quale (art. 8) “Sono commercianti coloro che esercitano atti di

commercio per professione abituale, e le società commerciali”, il codice

Mancini segue, al pari del modello francese – art. 1: “Ils sont commerçant

ceux qui exercent actes de commerce en faisant leur métier habituel” – un

c.d. ‘sistema realistico’, con ciò scartando, quindi, un contrapposto ‘sistema formalistico’ in vigore presso altri Stati (Germania, Svizzera, Spagna, Portogallo, Ungheria, Brasile, Perù, Argentina, Messico), secondo cui è commerciante chi è inscritto in un registro speciale: sistema che presenta il facile inconveniente di dare agio a chi esercita realmente il commercio senza essere opportunamente iscritto, di sfuggire alle relative conseguenze.

131

Corrispondenti, invero, alle forme di proprietà che il codice civile considera lecite.

della legge naturale dell’appropriazione mediante il lavoro.132

132

Anche sotto questo profilo teorico il codice civile assume una maggiore dignità ideologica rispetto al codice di commercio; nel primo, infatti, vengono disegnate le forme di appropriazione in via di principio consentite; mentre nel secondo ci si limita – per così dire – a disciplinare talune modalità pratiche relative all’esercizio di alcune particolari forme di appropriazione (cfr. GLIOZZI E., Dalla proprietà all’impresa, cit., p. 72).