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circolazione della ricchezza

3. Una speciale ‘categoria dello scambio’

Nel primo capitolo abbiamo messo in luce come, con l’introduzione del codice di commercio nel sistema giusprivatistico ottocentesco, emerga un indubbio dualismo tra interessi agrario-fondiari (dominanti nel codice civile) ed interessi commerciali-industriali necessitanti di regole più snelle.

Tale dualismo non va, però, esasperato. L’intera mentalità del periodo, infatti, è intrisa di un’unitaria visione della proprietà come diritto potestativo astratto, come proiezione sulla cosa dell’assoluta libertà di un soggetto indifferente a qualsiasi richiamo alla funzionalità economica e sociale del bene posseduto.181 E’ soprattutto

questo condiviso richiamo all’assolutezza della proprietà ad impedire che si ponga in primo piano, nella ricostruzione giuridica della società, il mondo della produzione e la realtà del lavoro viventi nell’impresa: anche nel ‘dinamico’ diritto commerciale statalizzato, dunque, si ignora la produzione e si parla un linguaggio del commercio caratterizzato da una logica proprietaria astratta.182

E’, per primo, il code de commerce francese del 1807 ad introdurre nel linguaggio giuridico la locuzione impresa,183

180

Ivi, pp. 110-111. 181

V. meglio, ultra, parte I, cap. 4, § 2.

182

Cfr. CAZZETTA G., Scienza giuridica e trasformazioni sociali. Diritto e

lavoro in Italia tra Otto e Novecento, Giuffrè, Milano, 2007, p. 9. 183

Il concetto di impresa è estraneo alla tradizione più antica del diritto commerciale: le fonti intermedie impiegano nozioni come quella di

artificium, mercantia, negotiatio e così via. E tuttavia il concetto giuridico di

impresa è più antico di quanto comunemente si creda: entra nel mondo delle categorie giuridiche al principio dell’Ottocento, con il lemma entreprise (e questo è – e resta – un arricchimento gravido di futuro della legislazione commerciale continentale).

Negli scrittori a ridosso del codice di commercio francese del 1807 è senz’altro matura la consapevolezza che l’entreprise è un’organizzazione intermediaria tra fattori della produzione e beni o servizi prodotti; una modalità del comportamento produttivo che richiama l’applicazione del

attingendone il concetto dal linguaggio comune, dove esso ha già consolidato un proprio specifico significato.184 E,

tuttavia, il testo della legge ‘accenna’ soltanto alle imprese e si concentra sul momento dello scambio e dell’intermediazione, facendo riferimento ad una realtà economica popolata da piccoli produttori e non da grandi industrie.

Mentre l’attività di intermediazione nello scambio è sempre considerata dal codice come atto di commercio, l’attività di produzione di beni e servizi è considerata atto commerciale solo quando assume la veste dell’organizzazione stabile dell’impresa.

Il concetto di impresa – i cui contorni restano indefiniti – emerge quindi in modo complementare rispetto al concetto – centrale – di commercio, e appare caratterizzato sotto un duplice aspetto: come concetto ‘restrittivo’, che non comprende ogni attività economica, ma solo quelle inerenti ai settori dell’industria e dei servizi, con esclusione, perciò, dell’attività (comunemente) commerciale, bancaria, assicurativa e agricola; e come concetto che identifica la species di un ampio genus, che è l’atto di commercio, ed un genere che – si badi - è comprensivo – oltre che delle attività di ‘impresa’ – anche delle attività commerciali, bancarie, assicurative, ma con esclusione dell’attività agricola (espulsa dal novero specifico delle imprese come da quello generale degli atti di commercio).185

Orbene, in questo ‘primitivo’ concetto di impresa, restrittivo e subordinato ad un sovrastante concetto di atto di commercio, si riflette per un verso uno stadio dell’economia in cui è il commercio – appunto – e non

diritto commerciale processuale e sostanziale. E questo è veramente rivoluzionario: quello che si legge nei buoni manuali di diritto commerciale – e cioè che con il code si passa da un sistema ‘soggettivo’ ad un sistema ‘oggettivo’ di diritto commerciale – sta tutto qui.

184

Gli artt. 632 e 633 del codice di commercio transalpino del 1807 fanno riferimento alle imprese di manifattura, di commissione, di trasporto, di

fornitura, di agenzia, di costruzione di bastimenti. Analogamente, i nostri

codici di commercio del 1865 (art. 2) e del 1882 (art. 3) fanno riferimento alle imprese di manifattura, di commissioni, di trasporti per terra o per aria,

di somministrazioni, di agenzie, di uffici d’affari e di spettacoli pubblici, di fabbriche e costruzioni, etc.

185

Cfr. GALGANO F., Lex mercatoria, cit., pp. 165-166; nonchè CAZZETTA G., Scienza giuridica e trasformazioni sociali, cit., pp. 9-10.

l’industria, il fattore propulsivo dello sviluppo economico. La manifattura, ossia l’industria, è ‘impresa’ allo stesso titolo per il quale è tale la commissione, il trasporto etc.: l’elemento unificante è nella concezione allora corrente dell’imprenditore – ma ancora oggi presente nel linguaggio ordinario – come colui che si accinge ad un’opera per conto altrui. Una concezione dell’imprenditore, cioè, come ‘appaltatore’. L’idea di fondo è che l’imprenditore – come il commissionario, il vettore etc. – opera su commessa: non lui, bensì il commerciante è il soggetto che anima il sistema produttivo.186

Per altro verso, questo grezzo concetto di impresa riflette una concezione mercantile della stessa attività industriale: l’imprenditore non è solo l’appaltatore o il commissionario del commerciante (o del proprietario fondiario), ma è egli stesso commerciante.187

Il concetto di impresa entra così nel mondo delle categorie giuridiche come una speciale categoria dello

scambio:188 vi entra per designare – secondo una formula

che diventa corrente nella dottrina giuridica del secolo XIX – l’attività di intermediazione o di speculazione sul

lavoro. L’idea di base è che l’imprenditore svolge la sua attività caratteristica interponendosi fra chi, commerciante o proprietario fondiario, commette nel mercato determinati beni o servizi e quanti offrono la propria forza lavoro: egli specula sul lavoro, perché guadagna sulla differenza tra il prezzo che riscuote presso il commerciante e il salario che corrisponde ai lavoratori. Come il commerciante specula interponendosi nella circolazione di beni, così l’imprenditore specula attraverso la sua intermediazione tra lavoro dipendente e prezzo del

186

Il commerciante oppure – ciò che riporta, addirittura, ad uno stadio pre- capitalistico dell’economia – il proprietario fondiario, quale committente di opere sul fondo urbano, di forniture per il fondo rustico e così via.

187

Diverso dal comune commerciante solo per lo specifico oggetto del suo commercio.

188

Si segnalano, in proposito, i limpidi saggi di MONTESSORI R., Il

concetto di impresa negli atti di commercio dell’art. 3 cod. di comm., cit.; e

di VIVANTE C., Un nuovo raggruppamento degli atti obbiettivi di

prodotto.189 In definitiva, allora, è la ‘speculazione di (o

sul) lavoro’ a caratterizzare l’impresa-atto di commercio. Progressivamente, con l’incalzare del processo di industrializzazione, la figura dell’imprenditore- appaltatore tende a divenire marginale. I giuristi registrano una profonda trasformazione sociale che è – in termini propriamente economici – la trasformazione del capitale commerciale in capitale industriale, ossia l’intervento diretto della classe mercantile nella produzione, fino alla direzione del processo produttivo.190

Essi avvertono – così si esprime Cesare Vivante – che “la

funzione dei commercianti va sempre più assottigliandosi (…) nella ricerca del mercato ove colloca i suoi prodotti l’opera dell’industriale (più correttamente, dell’imprenditore) si va

sempre più assomigliando e surrogando a quella dei commercianti all’ingrosso ed al minuto”.191 Resta certamente

la concezione dell’imprenditore come commerciante e, in particolare, come speculatore sul lavoro; ma emerge l’idea che esso produce ‘direttamente per il mercato’: egli “al pari

di ogni altro commerciante, compie una funzione di intermediario, intromettendosi fra la massa dei lavoratori e la massa dei consumatori”.192

Una profonda trasformazione sociale – dicevamo – che lascia pressoché immutato il sistema normativo: essa si attua, invero, nella persistenza di una regolazione giuridica concepita in funzione delle esigenze del vecchio capitalismo commerciale: ecco perché l’imprenditore rimane, giuridicamente, niente più che un commerciante.193

189

Cfr. CAZZETTA G., Scienza giuridica e trasformazioni sociali, cit., p. 10.

190

Cfr. GALGANO F., Lex mercatoria, cit., p. 167.

191

Cfr. VIVANTE C., Trattato di diritto commerciale, I, Vallardi, Milano, 1922, p. 111.

192 Ibidem. 193

Tale è tuttora in Francia, nel persistente vigore del codice di commercio del 1807 (sul dibattito che divide la commercialistica francese se il concetto di impresa debba essere o no accolto nel sistema giuridico, v. DESPAX M.,

L’entreprise et le droit, Paris, 1957, pp. 1 e ss.).

Tale è in Germania, dove il codice di commercio del 1900 non ha, sotto questo aspetto, innovato rispetto alla precedente legge speciale (e sul concetto di impresa nella odierna commercialistica tedesca, v. AFFERNI V.,

Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, II, L’impresa, cit., pp. 134 e ss.).

Il fatto è che i codici commerciali altro non disciplinano se non l’aspetto mercantile dell’attività produttiva; essi prendono in considerazione l’impresa per la sua funzione intermediaria che essa attua nel mercato, come punto di riferimento di una serie – molteplice e varia – di rapporti di scambio.

L’inesistenza di una disciplina del lavoro subordinato e la semplicistica configurazione giuridica dell’impresa come atto di commercio rappresentano, ovviamente, un pessimo presupposto per l’affermazione di un diritto attento al momento produttivo: l’impresa resta una istituzione del diritto commerciale classico e non diventa l’istituto di un nuovo ‘diritto della produzione’.194

Sino all’inizio del XX secolo l’industrializzazione si avvale, pertanto, di un quadro giuridico fortemente frammentato che impedisce – o, se si preferisce, non agevola certo – considerazioni unitarie sui nessi tra lavoro e impresa, sullo sviluppo economico e sulla produzione capitalistica.195

Ebbene, in questo quadro formale, povero di richiami alla realtà economica e fattuale, la linea di tendenza sempre più marcata è quella di una espansione delle regole ‘speciali’ del commercio. L’avanzare incessante della società industriale impone una progressiva estensione degli antichi ‘privilegi’ riservati ai soli commercianti, generalizzando dunque regole inizialmente riferite ai soli negozi commerciali.

A guidare tale processo di espansione ‘normativa’ del commercio – si badi – è la rivendicazione di uno spazio di

libertà svincolato dalle limitazioni del passato. Più precisamente, ciò che di peculiare l’attività economica tout

court presenta196 si svolge al di fuori dell’ordinamento

giuridico, entro – appunto – uno ‘spazio vuoto di diritto’, realizzando – nel modo più compiuto – la concezione

194 Cfr. GALGANO F., Lex mercatoria, cit., p. 168. 195

Cfr. CAZZETTA G., Scienza giuridica e trasformazioni sociali, cit., p. 10.

Va detto subito, però, che anche negli anni in cui l’industrializzazione sarà pienamente realizzata, la cultura giuridica dominante stenterà ad enucleare un concetto unitario di impresa radicato nel mondo dell’economia (v. meglio,

ultra, parte II, cap. 2, in particolare § 2). 196

Ciò che la scienza economica già definisce come ‘combinazione’ dei fattori della produzione per la creazione di nuova ricchezza.

borghese delle libertà come rechtsleerer Raum.197 Lo spazio

vuoto di diritto è, qui, conseguenza naturale del modo di produzione, della separazione del lavoratore dal controllo dei mezzi di produzione e della alienazione della forza lavoro. La combinazione dei fattori della produzione si realizza ‘nella mente dell’imprenditore’: essa non dà luogo a rapporti intersoggettivi, suscettibili di essere giuridicamente valutati. L’attività creativa di nuova ricchezza è attività dell’imprenditore, e solo dell’imprenditore: i beni o i servizi, alla cui produzione l’impresa è preordinata, sono beni o servizi prodotti dall’imprenditore; i rapporti fra imprenditore e manodopera si configurano come rapporti ‘esterni’ all’impresa: sono – non diversamente dai rapporti che contrappongono l’imprenditore ai proprietari del capitale – rapporti ‘di mercato’.198

C’è, in sostanza, nei codici di commercio dell’Ottocento, solo un aspetto sotto il quale si può dire che i meccanismi decisionali del processo produttivo sono giuridificati: ed è un aspetto che non concerne il rapporto dell’imprenditore con i lavoratori dipendenti, ma il suo rapporto con i fornitori del capitale; e si manifesta quando l’apporto di quest’ultimo si attua come apporto di capitale di rischio, quando – cioè – fra imprenditore e capitalista (o finanziatore) si instaura – anziché un mero rapporto di scambio – un vero e proprio rapporto di collaborazione, ossia un rapporto di società.199

E’ così che si realizza la conquista della libertà da parte della società anonima.200 Movendo da una forte diffidenza

nei confronti dell’investimento in titoli azionari, il code de

commerce stabilisce che le società anonime possano esistere solo in virtù di una autorizzazione governativa, e prevede un sistema di controlli sulla loro gestione.201 Ma nella

197

Sulla concezione della libertà come ‘spazio vuoto di diritto’, si legga il contributo di VIRGA P., Libertà giuridica e diritti fondamentali, Giuffrè, Milano, 1947, pp. 24 e ss.

198

V. meglio, ultra, parte I, cap. 4, § 2.

199 Cfr. GALGANO F., Lex mercatoria, cit., p. 168. 200

L’espressione, chiara ed efficace, si trova in CAZZETTA G., Scienza

giuridica e trasformazioni sociali, cit., p. 11. 201

La regolazione giuridica della società anonima segue, nel corso dell’Ottocento, uno sviluppo che punta all’espansione della cosiddetta

seconda metà dell’Ottocento, tale autorizzazione – ritenuta sempre più inutile ed offensiva per la libertà del capitale – viene abbandonata per approdare al sistema – appunto – della libera costituzione societaria.202

Nel vasto dibattito sul punto, l’emergere di nuove consapevolezze riguardo alla complessità dei rapporti tra proprietà privata ed impresa203 si disperde nel mare dei

fideistici appelli ad un principio di libertà economica insofferente alle regole: la concezione più diffusa è quella per cui – aboliti i vincoli connessi all’autorizzazione governativa – la sola sfrenata concorrenza in un libero mercato sarebbe capace di contrastare ogni abuso e così garantire il rigoglioso prosperare della nuova realtà dell’impresa. Nell’imperare di politiche liberiste, è ancora il semplicistico richiamo alla assoluta libertà dell’individuo proprietario ad impedire, pur in presenza di una realtà economica complessa come quella che va formandosi con l’emergere dell’impresa, una seria riflessione sui limiti, sui controlli e sulla disciplina della relativa attività.204

Resta comunque evidente – non si può certo negarlo – che l’impresa è già molto per il diritto commerciale ottocentesco: essa è, sicuramente, la pietra fondatrice di un

‘democrazia azionaria’, ossia alla collaborazione nella gestione dell’impresa fra capitale dirigente e capitale monetario.

Si disegna un modello di società per azioni che rende possibile – quantomeno in astratto – il più ampio dibattito fra i soci: ciascun socio, anche di minoranza, è messo in condizione di interloquire sulla gestione sociale e, anzi, su ciascun affare della società. La minoranza può, chiedendo debitamente la convocazione dell’assemblea, provocare un dibattito assembleare su qualsiasi argomento – anche il più dettagliato – attinente all’esercizio dell’impresa sociale; e la maggioranza è, di conseguenza, costretta a rendere conto in assemblea, in contraddittorio con la minoranza, di ciascuna scelta compiuta nella direzione degli affari sociali (cfr. GALGANO F., Lex mercatoria, cit., pp. 168-169).

202

Sul punto, ci siamo già – en passant – soffermati (v., retro, cap. 1, § 4, note nn. 92 e 96 e § 3, nota n. 62). Adesso è opportuno un piccolo approfondimento. In Inghilterra, dal 1862, il modello della corporation prende vita con una semplice registrazione; in Francia, l’autorizzazione governativa viene soppressa nel 1867; negli stessi anni la libertà di costituzione delle società anonime viene fissata anche in Germania (il sistema viene poi generalizzato nel 1870) e in Italia, abolito nel 1869 il controllo governativo sulle società per azioni, il codice Mancini affida l’esame della regolare costituzione al tribunale civile, eliminando ogni intervento discrezionale dell’esecutivo.

203

V. meglio, ultra, parte I, cap. 4.

204

Cfr. CAZZETTA G., Scienza giuridica e trasformazioni sociali, cit., p. 12.

nuovo ordine costituzionale della produzione di beni e di servizi.