5.2 Il Nuovo Teatro Guadalupano: nuovi percorsi di analisi
5.2.1 Neo-estetica guadalupana
Il Nuovo Teatro Guadalupano offre nuove prospettive di analisi al dibattito che unisce l’universo simbolico dell’immagine della Madonna di Guadalupe alla formazione dell’identità messicana. Le tre opere che ad oggi costituiscono il corpus di questa nuova forma letteraria si distinguono fortemente dalla tradizione precedente.
In primo luogo le opere di Usigli, Liera e Tenorio propongono un copione non più conformato sul testo di Valeriano ma pensato su registri linguistici ben differenti. Alla mancata emulazione, anche parafrastica, dei versi del Nican mopohua o comunque dell’organizzazione strutturale delle scene, si aggiunge poi l’assenza della tradizionale immagine dell’ayate. L’oggetto iconico è assolutamente centrale nei testi che stiamo prendendo in analisi ma, come vedremo nel dettaglio nelle pagine che seguono, si tratta di icone rielaborate, decostruite e rimodellate, nella forma estetica e nella funzione semantica, in maniera del tutto alternativa rispetto all’immagine tradizionale. Viene dunque abbandonato il testo ecfrastico, fatto di paesaggi narrativi ed evocazioni visuali,
131 in favore di un differente uso dell’elemento iconico. Usigli, Liera e Tenorio, pur mantenendo un’invisibile relazione con il prototipo cinquecentesco – senza il quale non avrebbero potuto sviluppare la loro proposta drammaturgica –, estrapolano l’immagine dalla materia testuale e le consegnano un protagonismo funzionale mai sperimentato prima. L’immagine guadalupana non è più emanazione fantasmatica di un immaginario ma soggetto dinamico in grado di modificarlo. Già da questi primi elementi capiamo l’originalità del Nuovo Teatro Guadalupano, che sottraendosi al prototipo icono-grafico, contravviene – se così si può dire – ai requisiti di base della drammaturgia guadalupana classica. Il tempo e lo spazio del racconto, inoltre, non corrispondono in Liera e Tenorio al tempo e allo spazio delle apparizioni e in Usigli, in cui invece la scena si svolge tra il 1529 e il 1531 prima in Spagna e poi in Messico, vi è comunque una distorsione cronologica e topologica dei fatti. Infine, scopo ultimo di questi testi è proprio la messa in discussione della tradizione in vista di una più critica, articolata e polifonica interpretazione degli eventi guadalupani nella psicologia della struttura sociale messicana.
Prendendo in prestito le parole di Luigi Allegri possiamo dire che il Nuovo Teatro Guadalupano rappresenta “lo spazio ideale per l’affermazione di modelli culturali” e “lo strumento privilegiato di sperimentazioni estetiche” (Allegri, 2014: 33). Nella destrutturazione della dimensione spazio-temporale che viene poi riassemblata secondo tre differenti strategie, le tre opere mirano alla messa a punto di una prospettiva che guardi alla realtà guadalupana, e alla realtà messicana in generale, con occhi nuovi, capaci di tracciare nuove traiettorie e proporre, appunto, “nuovi modelli culturali”. Il nuovo paradigma drammaturgico si manifesta per mezzo di quelle “sperimentazioni estetiche” che proprio attraverso la reinvenzione dell’oggetto iconico permettono di ripensare il ruolo della simbologia guadalupana.
Nel testo di Usigli, infatti, che insiste sull’importanza del culto nella storia culturale messicana, l’occultamento della tilma, volutamente mai mostrata sulla scena, fa leva sul potere dell’immaginario collettivo del pubblico: paradossalmente, infatti, nascondendo l’oggetto da cui ha origine la devozione, Usigli proietta la sua gigantografia negli occhi di quegli spettatori che, condividendo lo stesso orizzonte culturale, sapranno percepirne la presenza simbolica, in quanto parte integrante del loro quotidiano esperienziale. L’immagine occultata e allo stesso tempo esaltata di Corona de luz diviene in Liera
132 un’immagine frantumata e rifiutata. L’autore di Cúcara y Mácara disegna l’immagine di una fede che ha perso il suo slancio verso il trascendente e che non è più un dialogo vivificatore con Dio ma un monologo dell’Uomo con se stesso. La riflessione identitaria tanto cara ad Usigli, che sottolinea la necessità di creare un teatro messicano che parli di tematiche messicane - come appunto la storia guadalupana - e la mercificazione morale della fede che troviamo nel testo di Liera, confluiscono in maniera tangente nell’opera, ad oggi mai analizzata prima, di Miguel Ángel Tenorio. Se da un lato il pantheon azteco e la Madonna messicana si incontrano sullo stesso palcoscenico, raccontando una storia di sincretismi, violenza e meticciato, dall’altro la travesía guadalupana è il riflesso di una fede che ha fatto del soggetto del culto - la Virgen – l’oggetto di una devozione materialistica. Attraverso una fenomenologia dell’immagine visibile e invisibile, che vede l’icona dapprima occultata, poi rinnegata e infine reificata e svuotata dei suoi significati più autentici, il Nuovo Teatro Guadalupano parla al pubblico messicano attraverso quelle categorie culturali che permettono agli spettatori di partecipare allo stesso percorso ideologico degli autori. L’immagine della Virgen, catalizzatore simbolico attorno a cui orbita la neo-estetica guadalupana, riproduce nella sua alterazione formale l’enunciato semantico dell’opera. Essere e forma, eidolon ed eidos, sono visceralmente legati da una reciprocità di significato: nell’invisibilità dell’immagine di Usigli si nasconde il richiamo dell’autore all’immaginario collettivo, con la distruzione dell’immagine di Liera si rompe il legame privato e comunitario con la dimensione trascendentale (nella speranza di un ripristino intimo e sincero del dialogo con la divinità), mentre allo svuotamento della cornice di Tenorio corrisponde la perdita di una spiritualità autentica ormai sostituita da una religione usa-e-getta.
Solo nella prospettiva in cui segno e significato sono profondamente innestati l’uno nell’altro secondo un rapporto di interdipendenza icastica, possiamo comprendere il paradigma della nostra ricerca. Fare teatro con le immagini significa, infatti, costruire la finzione scenica attraverso la visione iconica dell’oggetto e la percezione immaginifica della memoria. Dall’incontro, lo scontro o la sovrapposizione tra immagine materiale e immagine mentale nasce una meta-immagine che, trascendendo il contenuto letterale del dato visibile, si apre allo spazio della variazione ermeneutica che proprio nella moltiplicazione delle visioni costruisce la sua simbologia. Cambiano i nomi, il tempo e lo
133 spazio e la storia si sblocca dal paradigma originale per aprirsi alle variazioni del possibile. Scopo di questa nuova drammaturgia, infatti, non è perpetuare il “mito” ma riflettere sul senso della narrazione nelle sue implicazioni identitarie. In questo senso il teatro che stiamo analizzando è un teatro simbolico, che mira a stimolare un dibattito che, partendo dall’icona del Tepeyac, si estenda poi a tutto l’orizzonte culturologico. Se il simbolo, secondo la definizione di Carlo Sini, “è caratterizzato da una specifica polivalenza” che “supera, oltrepassa la mera traducibilità concettuale” (Sini, 1991: 26-27), l’immagine simbolica del Nuovo Teatro Guadalupano rinvia a una pluralità di dimensioni, di pensieri e di significati che portano il linguaggio a un livello universale in cui ogni soggettività può tracciare il proprio percorso ermeneutico. Dando in prestito un pensiero a un altro pensiero, direbbe Ricoeur, la simbologia della neo-estetica guadalupana “è interminabile, precisamente perché essa può sempre ricominciare” (Ricoeur, 1981: 249). Se dunque il Nican mopohua raccoglie la tradizione nella letterarizzazione del mito, che come un imbuto canalizza lo spettro eterogeneo delle diverse versioni in un’unica formula, al contrario il Nuovo Teatro Guadalupano frantuma la normalizzazione dell’immaginario e offre, proprio nella differenza e nella contraddizione, prospettive molteplici da cui osservare il fenomeno. Riappropriandoci ancora una volta delle parole di Allegri, possiamo affermare che qui
si assume che il senso non stia tutto nel momento iniziale, quello del testo, e si presuppone invece che nuovi significati vengano prodotti a ogni momento del processo, perché a ogni momento c’è una creatività specifica che si attiva e apporta senso all’intera operazione (Allegri, 2014: 43).
Il Nuovo Teatro Guadalupano è perciò un teatro declinato al plurale, chiamato a una perenne metamorfosi. Un teatro di tipo simbolico, che riformula costantemente i propri presupposti affinché attraverso la riscrittura delle premesse e la ricodificazione del linguaggio possa accedere alla ri-creazione dell’immaginario. L’immagine pluristratificata del simbolo, allora, ri-modella le figure dell’immaginario obbligando l’osservatore a un continuo atto di decifrazione.
‘Il simbolo dà a pensare’: […] il simbolo dà; io non pongo il senso, è il simbolo che dà il senso – ma ciò che esso dà è da pensare, è ciò su cui pensare. […] Quel che vorrei
134 sorprendere e comprendere è questa articolazione del pensiero dato a se stesso nel regno dei simboli e del pensiero ponente e pensante (Ricoeur, 2006: 9).
La riflessione di Paul Ricoeur è quanto mai illuminante. Di fatto, se ben interpretiamo le sue parole, è come se nel simbolo si sviluppasse una doppia dinamica riflettente. Non soltanto il soggetto deve pensare per poter effettuare il passaggio dall’immagine visibile della percezione all’immagine invisibile dell’immaginario, ma deve anche pensare su ciò che scopre nell’interspazio che unisce le due dimensioni. Lo spazio simbolico diviene così il luogo del ragionamento, la dimensione in cui il cogito si apre alle possibilità dell’interpretazione, sviluppandosi e autorigenerandosi man mano che l’intelletto si addentra sempre più profondamente all’interno della struttura simbolizzante. Il simbolico, esperito dalla vista e da questa vagliato nelle sue molteplici declinazioni ermeneutiche, si offre all’intelletto quale mezzo prediletto per l’esplorazione del mondo, o per usare ancora le parole di Ricoeur, come “rilevatore della realtà” (ivi: 35).