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4.1 Da Tonantzin a Guadalupe: un nuovo immaginario culturale

4.1.2 Maria-Guadalupe: Patrona de México

L’importanza dei quattro vangeli guadalupani non riguarda soltanto la sfera letteraria ma coinvolge l’intera società novoispana. È soprattutto grazie al protonazionalismo di Sánchez, all’indigenismo di Lasso de la Vega, alla tentata scientificità di Becerra y Tanco e al devozionismo di Florencia che l’immagine della Madonna di Guadalupe riesce a penetrare l’immaginario culturale messicano.

94 La Virgen de Guadalupe […] es el punto de encuentro de dos mundos, el centro de la religiosidad mexicana. Su imagen al mismo tiempo que incarna la reconciliación de las dos mitades adversarias, expresa la originalidad de la naciente nacionalidad. México, por obra de la Virgen, se reclama heredero de dos tradiciones. Casi todos lo poetas dedican poemas a su alabanza. Un extraña variedad de barroco – que no será excesivo llamar guadalupano – se convierte en el estilo por excelencia de la Nueva España (Paz, 1984: 16).

In questo “barroco guadalupano”, giustapposizione tra l’antica religione indigena e il cristianesimo, il nahuatl e lo spagnolo, prende forma un nuovo profilo identitario che scopre nella tilma l’incontro di due universi spirituali.

Di, Musa, a la indígena diosa a quien, una vez, la mexica tierra miró, bella, emerger de las patrias

flores y, contra los milagros de Venus,

de purpúrea sangre de rosas decorarse a sí misma

(Villerías y Roelas, 1728, vv. 1-4 in Osorio Romero, 1991: 261)

Come un altare azteco ma su cui si immola l’agnello di Dio, la tela guadalupana raccoglie sotto il miracolo della sua immagine le tre diverse forze sociali della Nuova Spagna, trasfigurandosi nel sincretismo del nuovo simbolo patrio. Divinità lunare, manifestatasi sul monte dell’antica Tonantzin, la Guadalupana viene a consolare il cuore degli indigeni, riconsegnando loro una madre celeste e benevola. Virgen morena, che nel colore della sua pelle porta la promessa di un riscatto sociale, la Guadalupana è la madre del nuovo mestizaje. Regina apocalittica, che in Messico fonda una nuova città santa, la Guadalupana è il volto del cristianesimo criollo.

La fede nella morenita, a cui viene riconosciuta la superiorità spirituale rispetto a tutte le altre devozioni mariane, si estende anche all’ordine sociale e politico, trasformando il guadalupanismo in una vera religione di stato. La consacrazione ufficiale alla madonna nazionale arriva a metà del XVIII secolo quando, in seguito alle epidemie di peste esplose nel 1725 e nel 1736, la capitale sembra non avere altro rimedio che rivolgersi alla Virgen del Tepeyac che, miracolosamente, porta fine alla decimazione della popolazione. Nel 1737 la “divina Protectora Americana” – come l’aveva profeticamente chiamata Sor Juana nel sonetto del 1689 – viene proclamata Patrona di Città del Messico, mentre, nel 1754, per decisione di Papa Benedetto XIV, sarà Patrona della Nuova Spagna.

95 In questo clima di fervente devozione, la letteratura religiosa vive una nuova fioritura: poesie e sermoni popolano la produzione artistica settecentesca fino a trasformare il topos guadalupano in un vero e proprio genere letterario. Vogliamo ricordare i primi versi di Justa gratulatoria al religioso esmero con que la imperial Méjico celebró el segundo siglo de la admirable aparición de María Santísima en su bella imagne de Guadalupe en el templo desu santuario el 12 de diciembre 1731, una lunga composizione scritta da Cayetano de Cabrera y Quintero in occasione del bicentenario dell’apparizione e che ben racconta quanto il culto guadalupano si sia già perfettamente incorporato al culto alla patria:

¡Qué me alegro, amada patria, Que en reconocidos cultos, A gratitudes desmientas Aprehensiones del vulgo! Eso bien: al cumplimiento Del más primo, por segundo Siglo, de aquel de María Hermoso, vivo trasunto; [...]

A favor tal, que aunque el cielo Lo dió a universal recurso, Entre todas las naciones Lo hizo singular por tuyo (in Castañón, 2007: 118-119).

Anonima è invece la Deprecación a Santa María de Guadalupe en la presente epidemia, supplica scritta nel 1736 il cui stile, oltre a chiari riferimenti alla tematica patria e al Salve Regina, ricorda al lettore più esperto il linguaggio degli “evangelisti” e insieme i dialoghi del Tepeyac narrati dal Nican mopohua:

Guadalupana María Hermosa y benigna estrella […]

Tú que, por efecto raro De tu natural clemencia, Bajaste desde el empíreo A mostrarte Madre nuestra, Oye las lamentaciones, Oye tristes, tiernas quejas

96 De tus hijos, que aclamamos

En este mar de miserias. [...]

¿ No has prometido, Señora, Patrocinar nuestra tierra Y oír cuantos en tu imagen Te expongan sus indigencias? (in Castañón, 2007: 129-130).

Il patriottismo guadalupano settecentesco probabilmente trova una delle sue massime espressioni devozionali nei sermoni di Bartolomé de Ita y Parra, famoso predicatore che pubblica i suoi scritti tra il 1731 e il 1746. L’entusiasmo esegetico dei suoi sermoni lo porta a ipotizzare una sorta di messianismo al femminile in cui Maria, già Guadalupana al concepimento del Figlio (ovvero già messicana ancor prima di apparire in Messico), si sarebbe incarnata, alla stregua del Cristo che si incarna nel pane, nella tela juandeguiña. Molto simile è il pensiero del sermone pronunciato a San Luis Potosí nel 1749 da Antonio Flores Valdés e intitolato La celestial concepción y nacimiento mexicano de la imagen de Guadalupe. Già dal titolo intuiamo il contenuto revisionista del sermone, che colloca la nascita di Maria spiritualmente nella mente di Dio ma fisicamente in Messico, sua seconda Nazareth. D’accordo con de la Maza, anche noi crediamo, rispetto a questi due predicatori, che “no puede haber mayor audacia ni mayor providencialismo nacionalista” (de la Maza, 1981: 150). Tuttavia Ita y Parra e Flores Valdés non sono i soli ad aver investito la Virgen di attribuiti divini che, almeno da un punto di vista ortodosso, non le appartengono. Si pensi, infatti, al sermone pronunciato nel santuario guadalupano di Valladolid (Michoacán) da un agostiniano nel 1742. Intitolato Eclipse del Sol divino, causado por la interposición de la Inmaculada Luna María Señora Nuestra, venerada en su sagrada imagen de Guadalupe, rappresenta un chiaro sovvertimento della gerarchia cristiana, collocando la Madonna al di sopra della Trinità.

Quattro anni dopo viene pubblicata un’importante opera del già citato Cabrera y Quintero che, su richiesta dell’arcivescovo Vizarrón y Eguiarreta, compone Escudo de armas de México, una “relación histórico-panegírica” (Brading, 2002: 196) in cui narra la liberazione miracolosa di Città del Messico, avvenuta per volere della Guadalupana, dalle inondazioni e dalle epidemie di peste. L’opera, del 1746, risulta particolarmente importante per il suo grande simbolismo politico: per la prima volta, infatti, l’immagine

97 della morenita, presentata “como enseña y bandera, como representación plástica de la Patria” (de la Maza, 1981: 153), viene inserita in un contesto così esplicitamente nazionalista. A distanza di dieci anni, nel 1756, fa la sua comparsa nel panorama scientifico-devozionale guadalupano il famoso trattato di Miguel Cabrera, Maravilla americana y conjunto de varias maravillas observadas con la dirección de las reglas del arte de la pintura en la prodigiosa imagen de Nuestra Señora de Guadalupe de México. Scopo dell’artista, che analizza la tilma da un punto di vista tecnico-pittorico, è dimostrare l’origine acheropita dell’immagine: “estoy persuadido”, scrive alla fine del paragrafo V, “que hasta aora no se ha hecho una, que perfectamente se le parezca; pues la mejor, puesta à el lado de la original, nos haze creer claramente esta verdad” (Cabrera, 1756: 15).

Un evento inaspettato che incide nella storia del guadalupanismo è legato alla cacciata dei gesuiti dalla Nuova Spagna. Se, infatti, come scrive Lafaye, l’identità messicana “tenía por emblema a la Guadalupe, y por cuerpo sacerdotal a los jesuitas” (Lafaye, 2006: 159), la loro espulsione tra il 1767 e il 1770 provoca in molte regioni un grande vuoto spirituale e culturale. Sostegno di molti, la Compagnia, depositaria del culto guadalupano, abbandona le comunità in cui ha rappresentato per ben due secoli il fulcro della vita religiosa. Una poesia del 1780, scritta da Nicolás Zamorátegui per le celebrazioni domenicali, ci sembra poter accogliere nei suoi versi, anche se del tutto fortuitamente, la voce dei gesuiti condannati all’esilio:

Oh divina madre Mira a tus hijuelos Que tiernos te invocan En este destierro [...]

Adiós madre mía, Adiós mi consuelo, Adiós mi esperanza, Adiós mi recreo. Adiós, nuestra madre, Hasta que en el cielo Gocemos tu vista Por siglos enteros

98 Il destierro dei gesuiti, tuttavia, porta nuova linfa alla diffusione del culto. Come al loro arrivo in Nuova Spagna i conquistatori avevano colonizzato spiritualmente la Colonia con ogni sorta di immagini, allo stesso modo i gesuiti introducono in Europa l’icona messicana. Secondo quella che potremmo definire come una sorta di “Reconquista mariana”, i missionari spagnoli partiti per evangelizzare il Nuovo Mondo sotto l’effigie dell’Immacolata tornano, due secoli dopo, da messicani criollos per evangelizzare il Vecchio Mondo sotto l’effigie della Guadalupana. Ed è proprio dalla penna di un gesuita in esilio, Francisco Javier Clavijero, che nasce a Bologna Historia antigua de México nel 1780 e Breve noticia sobre la prodigiosa y renombrada imagen de Nuestra Señora de Guadalupe nel 1782, entrambe pubblicate anche in italiano. Nel 1790 José Ignacio Bartolache, medico, matematico e astronomo, pubblica Manifiesto satisfactorio. Opúsculo guadalupano con lo scopo di rileggere la storia e gli studi guadalupani alla luce di un più rigido metodo scientifico. Le sue critiche agli autori dei maggiori scritti del XVII e XVIII secolo, per quanto lucide e opportune, lo renderanno tuttavia ostile ai suoi lettori. Patrimonio del XVIII secolo è anche una commedia teatrale conosciuta come El portento mexicano, di cui però non si dispongono informazioni precise sull’identità dell’autore e l’anno di composizione. Scritto in nahuatl e con uno stile piano e diretto, El portento mexicano nasce con lo scopo di affascinare gli indigeni monolingui per “ganar adeptos a la idea de la aparición de la Virgen y a la de edificar un templo dedicado a ella” (Viveros, 2012: 74). Interessante, infine, è notare quanto avviene in Spagna e in Messico in corrispondenza dell’anno 1794. Juan Bautista Muñoz, storico e cosmografo incaricato nel 1779 dalla Real Academia de la Historia di redigere una relazione che facesse chiarezza sugli acontecimientos guadalupanos, presenta finalmente la sua Memoria sobre las apariciones y el culto de Nuestra Señora de Guadalupe de México in cui si oppone al miracolo per la debolezza delle prove. La sua opera viene applaudita dagli intellettuali spagnoli che concordano con lo storico valenziano nel considerarlo un “culto muy razonable y justo, con el qual nada tiene que ver la opinión que quiera abrazarse acerca de las Apariciones” (Muñoz, 1817: 224). Nello stesso anno, fra’ Servando Teresa de Mier, in occasione della festa del 12 dicembre, pronuncia nella Basilica di Guadalupe un sermone che invece lo condannerà all’esilio. In presenza del viceré e dell’arcivescovo, fra’ Servando stravolge la tradizione guadalupana, modificando radicalmente la storia delle apparizioni. La visione del domenicano, spesso

99 mal interpretata o parzialmente compresa, rinnega il pensiero del padre del guadalupanismo, attaccando quella che Sánchez riteneva la necessaria giustificazione della Conquista. Di fatto, Mier crede che il culto guadalupano affondi le proprie radici in un passato più remoto e che la tela, portata nel Nuovo Mondo da San Tommaso apostolo, appartenga quindi a un tempo precortesiano.

Pero para qué hemos de aventurar conjeturas Si en nuestras historias tenemos

Los monumentos más preciosos De los favores de María

(Teresa de Mier in Castañón, 2007: 171).

Collocare la venuta guadalupana prima dell’arrivo degli spagnoli significa dimostrare l’inutilità dell’invasione e la totale indipendenza messicana non più soltanto da un punto di vista spirituale e culturale ma anche, e soprattutto, politico. Mier, dunque, non è, come molti hanno creduto, un anti-apparizionista ma, anzi, eccessivamente guadalupanista. Il suo sermone, che fa appello a un’autonomia di diritto basata su un guadalupanismo indigeno e autoctono, slegato da qualunque contributo spagnolo, è il chiaro segno del cambio dei tempi, sempre più prossimi all’Indipendenza.