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2.3 Il potere spirituale dell’icona mariana

2.3.1 La tela guadalupana: simbolo o icona?

Secondo la prospettiva fin qui descritta, riteniamo che l’immagine della Virgen de Guadalupe sia a tutti gli effetti un’icona simbolica. Questa, infatti, si offre allo sguardo dello spettatore cosciente della sua simbolicità nelle sua doppia natura visibile e invisibile, in cui il mezzo iconico diviene mediazione tra il piano formale e quello trascendentale. La tilma guadalupana, non esaurendosi semplicemente nella raffigurazione della Vergine Maria, si presenta come una rappresentazione raddoppiata, carica di un eccedenza di significato che oltrepassa la riproduzione del dato sensibile e che contiene quelle proiezioni verticali in cui lo sguardo scopre la struttura del suo stesso immaginario. La tela, allora, diviene il medium mondano che veicola l’universo spirituale legato all’immagine sacra, il segno tangibile di una realtà sovrasensibile che nasce per mezzo della materia corporea ma che si eleva a un livello di significato più profondo oltre la materia stessa. “Le immagini delle divinità, le rappresentazioni di oggetti ritenuti sacri, non si possono comprendere se non si ripristina l’attitudine specifica della coscienza simbolica, che punta direttamente, per il tramite di una forma visibile, a una sovrarealtà invisibile” (Wunenburger, 1999: 126). Nella metafisica guadalupana, l’immagine è il simbolo dell’epifania divina, il mezzo che non soltanto giustifica l’apparizione del Tepeyac ma che si fa medium evocativo della presentificazione dell’Essere trascendentale nello sguardo del fedele. “L’immaginazione spirituale appare come un potere non empirico dell’anima, mediante il quale essa attualizza e attiva Forme mediatrici ma anche instauratrici del senso nascosto, della rivelazione di un ordine ontologico superiore” (ivi: 129). L’immagine guadalupana, allora, si propone come un continuum sacro tra forma invisibile e forma visibile, come luogo di indagine spirituale che fa da ponte tra la realtà immanente dell’immagine materiale e la realtà ultraterrena del divino. La tela, allora, depositaria di significati che superano la visibilità della forma, è un’immagine simbolica che si distingue per la sua iconicità. Sia essa acheropita o dipinta da mano umana, la tilma

42 di Juan Diego è uno scrigno di tesori spirituali visibili esclusivamente allo sguardo che dimentichi per un istante l’immagine materiale e che vada alla ricerca di quell’immaginario spirituale custodito oltre la tela. Rappresentazione evocativa che trova il suo compimento ermeneutico nella congiunzione tra visibile e invisibile, ovvero tra ciò che è dentro e ciò che è oltre la figura, l’immagine della morenita non rappresenta qualcosa che è altro da sé ma, anzi, si pone come medium attraverso cui elevare l’anima verso la dimensione del divino. Capire l’icona guadalupana, allora, significa indagare l’universo simbolico da cui ha preso forma che, pur non potendo prescindere dal dato visibile, lo trascende e lo supera collocandosi al di sopra di esso. Unione di visibile e invisibile, di immagine e immaginario, l’icona messicana si apre alle possibilità del simbolico per spalancarsi, infine, alla sacralità dell’infinito.

Parlando di icona in relazione alla tilma juandeguiña non vogliamo, come già ribadito, deciderci per il fronte anti-apparizionista ma, fuori da qualunque querelle, vogliamo invece cogliere la nostra immagine in merito alla sua iconicità, ovvero per la sua speciale capacità di farsi luogo materiale di comunicazione con l’immateriale, di sapersi aprire a una dimensione sovrasensibile che collega il mondo del visibile con il mondo dell’Invisibile. “L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile” (Klee, 2004: 13), scrive Paul Klee nell’apertura della sua Confessione creatrice, in cui racchiude l’essenza dell’immagine simbolica e, di conseguenza, dell’icona sacra. Di fatto, simbolica per eccellenza, l’icona rappresenta più di ogni altra immagine una “struttura di rinvio” (Franzini, 2011) verso una realtà sovrasensibile che eccede l’immagine stessa e che ci permette di rintracciare la forma dell’Invisibile proprio nel visibile della forma. “La polisemia del vocabolo «simbolo»”, spiega Marie-José Mondzain nel suo lavoro sulle origini bizantine dell’immaginario contemporaneo, “consente di non confondere il contenente con il contenuto. Quando si considera il simbolo come contenente, il sacro si propaga e coabita con il profano” (Mondzain 2006: 184). In termini laici è quanto aveva già affermato lo stesso Klee quando in Teoria della forma e della figurazione scriveva: “l’oggetto si dilata al di là del proprio fenomeno, dal momento che noi conosciamo il suo interno, e sappiamo che la cosa è più di ciò che la sua apparenza dà a vedere” (Klee, 1970: 66). Immagine basata non più sulla somiglianza, poiché impossibile per l’uomo riprodurre la raffigurazione mimetica della divinità, l’icona allora è un medium che non riproduce ma,

43 diversamente, evoca. Come scrive Egon Sendler nel suo saggio sull’immagine dell’invisibile,

l’icona aggiunge all’immagine un’altra dimensione, quella del trascendente: essa supera le forme del nostro mondo per rendere presente il mondo di Dio. È in questo altro mondo che si unificano gli elementi teologici, estetici e tecnici, per aprirsi alla visione nella fede e nella meditazione (Sendler, 2007: 7).

Simbolo di un universo spirituale che eccede i contorni delle linee, la sacralità dello spazio iconico guadalupano si apre a un sovrappiù di senso che, mediato dall’immagine, si proietta oltre il mondo materiale delle forme. “Per mezzo del sacro, la coscienza religiosa carica così il sensibile di valori sovrasensibili che danno alla rappresentazione intellettuale il volto del soprannaturale e rintracciano, nel mondo, figure sensibili in grado di presentificare la trans-spazio-temporalità del divino” (Wunenburger, 1999: 390). Nell’icona, infatti, la visibilità della forma si apre all’invisibilità dell’Essere, rendendolo percepibile agli occhi del pensiero spirituale di chi, guardando oltre l’immagine, sperimenta un incontro interiore con la persona rappresentata. L’icona della Virgen de Guadalupe, presenza in immagine dell’Essere trascendente, non è soltanto raffigurazione ma veicolo di significati che non si esauriscono nell’immagine in se stessa. Simbolo dell’epifania mariana, la tilma messicana è una porta privilegiata verso una conoscenza che supera i contorni fisici della rappresentazione e che si proietta nell’immaginario spirituale che vive oltre la tela.

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Capitolo terzo

La retorica del visuale: il potere delle immagini nella conquista

dell’immaginario della Nuova Spagna

Le immagini non trasmettono solo un pensiero o un significato: esse colgono la realtà per l’uomo che le guarda. E. Kris, Ricerche psicoanalitiche sull'arte (1967)