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L’evoluzione del cervello

Come testimoniano le specie che, per quattro milioni di anni, camminano sulla gambe posteriori senza per questo sviluppare grossi cervelli, la precoce acquisizione del bipedismo, primo grande evento sulla linea filogenetica umana, non implica necessariamente l’encefalizzazione come suo passo successivo. Questa inizia infatti solo poco più di due milioni di anni fa e si realizza attraverso uno sviluppo progressivo che impegna in pratica tutte le specie del genere Homo (il genere stesso di Homo è definito, in opposizione ad Australopithecus, proprio in base al repentino incremento nella capacità cranica che si verifica fra

Australopithecus africanus e Homo habilis).

L’encefalizzazione è il processo che, facendo crescere il cervello proporzionalmente più di quanto richiesto dall’aumento delle dimensioni fisiche, permette lo sviluppo culturale propro della nostra specie, modificando in profondità non solo i modi di vita, ma anche la stessa biologia. Il volano dello sviluppo culturale, almeno per come lo conosciamo oggi, è poi senz’altro il linguaggio: solo gli esseri umani, fra tutti i viventi, dispongono di linguaggio doppiamente articolato, che permette un approfondimento esponenziale del processo simbolico. Nel “secondo grande passo evolutivo”, quindi, devono essere separate – almeno logicamente – due fasi, in parte sovrapposte ma non coincidenti: quella dell’incremento encefalico che, pur con qualche difficoltà, è ricostruibile coi mezzi della paleoantropologia; e quella

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dell’evoluzione del linguaggio, assai più complessa da indagare poiché richiede il reperimento e l’analisi di un insieme di dati ben più vasto e problematico.

Per capire l’evoluzione biologica dell’insieme degli elementi anatomici che permettono l’evoluzione culturale, occorre innanzi tutto avere presente qual è il punto d’arrivo e dare quindi una rapida occhiata all’encefalo umano odierno e alle funzioni di controllo del linguaggio. Come pietra di paragone useremo l’assetto delle grandi antropomorfe, e in particolare quello dello scimpanzè, sebbene la legittimità dei paragoni fra specie viventi resti sempre un po’ dubbia.

§ 100. Cenni sull’anatomia del cervello umano

L’anatomia del cervello dei vertebrati è complessa da descrivere per via dell’enorme complessità che ne caratterizza le strutture, la sequenza filogenetica, l’architettura cellulare e lo sviluppo ontogenetico. A seguito di ciò, esistono approcci radicalmente diversi nella descrizione dell’encefalo. Qui ripercorreremo in modo parallelo lo sviluppo filo- e ontogenetico.

Tre gruppi di animali dispongono di cervelli complessi: gli artropodi, i cefalopodi e i vertebrati. Mentre il cervello degli artropodi e dei cefalopodi si sviluppa a partire da due corde di nervi che si estendono lungo l’intero corpo degli animali, nei vertebrati esso si sviluppa dalla parte terminale di una singola corda dorsale.

Negli embrioni dei vertebrati il sistema nervoso centrale (SNC, l’insieme composto dal midollo spinale e dall’encefalo) si sviluppa a partire dall’ectoderma, il più esterno dei tre foglietti embrionali, che dà origine anche alle cellule epiteliali. L’ectoderma ispessisce e forma la placca neurale, un piccolo nastro di cellule che, ripiegandosi su se stesso, forma il tubo neurale, ovvero la forma primitiva di sistema nervoso, di forma tubolare e relativamente diritta, che si ritrova anche nei vermi. Nei vertebrati, invece, ogni zona del tubo neurale va incontro durante l’ontogenesi a modificazioni successive, sempre più pronunciate mano a mano che ci si avvicina alla nostra specie.

La parte cefalica del tubo neurale si espande dapprima a formare tre rigonfiamenti, le vescicole primarie: rombencefalo, mesencefalo e prosencefalo. A partire da queste tre strutture si originano le cinque suddivisioni del cervello adulto. Al secondo mese di vita il rombencefalo si differenzia in due vescicole secondarie: il mielencefalo, di cui origina la medulla oblongata, e il metencefalo, da cui originano il ponte di Varolio e il cervelletto. Il mesencefalo, che nei cervelli umani è la parte meno differenziata e la cui architettura è simile a quella dei vertebrati più antichi, dà origine ai peduncoli cerebrali e ai tubercoli. Il prosencefalo, che filogeneticamente origina per il controllo dell’olfatto, si differenzia in due vescicole secondarie: il diencefalo, che comprende tutto ciò che sta immediatamente sotto ai due emisferi cerebrali: talamo, ipotalamo ed epitalamo; e il telencefalo, da cui originano parte del sistema limbico, i gangli della base, il bulbo olfattivo e, soprattutto, la corteccia cerebrale dei due emisferi.

Nei vertebrati più primitivi, che non hanno telencefalo, il mesencefalo è la parte più esterna del cervello. Il telencefalo, e il particolare la corteccia, è invece la parte più voluminosa del cervello dei mammiferi ed è anche quella più facilmente visibile, poiché, situato all’esterno, ricopre completamente la gran parte delle strutture “antiche”. L’antecedente evolutivo della corteccia umana è il pallio, diviso in archipallio, paleopallio e neopallio. L’archipallio è la parte maggiore del telencefalo dei pesci (si suppone che nella nostra specie esso dia origine all’ippocampo); negli anfibi si trovano archipallio e paleopallio; nei rettili, infine, si sviluppa per la prima volta un primitivo neopallio. Nei mammiferi, che sono i vertebrati con l’encefalo più sviluppato, queste strutture prendono il nome di archicorteccia, paleocorteccia e neocorteccia (archi- e paleo-corteccia, insieme, sono anche dette allocorteccia).

133 Nello sviluppo dell’embrione umano, l’ontogenesi dell’encefalo ripercorre in larga misura la filogenesi: al venticinquesimo giorno, quando si è sviluppato il tubo neurale, il sistema nervoso è analogo a quello di un verme; fra il quarantesimo e il cinquantesimo giorno, quando è in corso il primo differenziamento, il cervello somiglia a quello di un pesce; attorno al centesimo giorno è riconoscibile come un cervello di mammifero; al quinto mese è riconoscibile come cervello di primate; a partire da quel momento, l’espansione del prosencefalo (e in particolare della corteccia) e del cervelletto sono caratteristiche unicamente umane.

Anche la complessità cellulare della corteccia sembra essere in correlazione con la filogenesi: i vertebrati primitivi dispongono infatti di una allocorteccia con meno di cinque strati cellulari; quelli più complessi, e in particolare i mammiferi, hanno invece una corteccia a sei strati cellulari, oltre ad alcune parti di allocorteccia (negli umani, quest’ultima comprende la corteccia olfattiva e l’ippocampo).

Infine, uno sviluppo analogo a quello degli emisferi è presente anche nel cervelletto, in cui sono presenti strati più antichi (archicerebello e paleocerebello), presenti in molti vertebrati, e un’area evolutivamente più recente (neocerebello), presente solo nei vertebrati superiori.

§ 101. Cenni sulle specializzazioni dell’encefalo umano

In sezione sagittale, l’encefalo è quindi composto da una successione di strati, aventi struttura e funzioni diverse, la cui stratificazione ripercorre in larga misura la filogenesi con gli strati più antichi in posizione profonda e quelli più recenti in posizione superficiale. Lo strato più esterno del cervello è anche quello più importante dal punto di vista cognitivo: la neocorteccia, presente solo nei mammiferi, è composta da sei strati spessi 2-4 millimetri, ed è costituita da un numero enorme di cellule: per quanto riguarda il cervello umano, si stima che esso contenga in media circa 100 miliardi di neuroni, ciascuno connesso con migliaia di altri neuroni. La materia grigia, composta dai corpi cellulari dei neuroni, si trova negli strati più superficiali, la materia bianca, composta degli assoni dei neuroni, negli strati interni.

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Osservato dall’esterno, il cervello dei mammiferi si presenta come una massa soffice, gelatinosa e di color rosso scuro, divisa in due emisferi caratterizzati dalla presenza di scissure (più profonde) e solchi (meno profondi) e percorsi da circonvoluzioni, sempre più fitte e numerose mano a mano che ci si sposta verso i mammiferi superiori e i primati, e massimamente sviluppate nel cervello umano. La presenza di scissure e circonvoluzioni serve ad aumentare la superficie neocorticale senza accrescere il volume dell’encefalo.

Nel cervello umano, la loro profondità e il loro andamento delimitano lobi e aree differenti. La suddivisione primaria è quella dei due emisferi, separati dalla fessura longitudinale interemisferica e uniti fra loro dal corpo calloso; segue la suddivisione di ciascun emisfero in quattro lobi (temporale, parietale, frontale e occipitale), separati fra loro dalle scissure più profonde; infine, entro ciascun lobo i solchi delimitano aree funzionalmente distinte. Come quelli umano, anche gli emisferi del cervello degli scimpanzè sono suddivisi in quattro lobi, ma la superficie neocorticale complessiva è minore non solo per sviluppo volumetrico ma, soprattutto, per sviluppo superficiale (la neocorteccia degli scimpanzè è, per così dire, “più liscia”). Per questa ragione, essa presenta anche un numero più basso di aree funzionalmente definite; ciò significa che, anche accrescendo un cervello di Pan fino alle dimensioni di un cervello umano, e cioè all’incirca triplicandone il volume, la neocorteccia umana sarebbe comunque più ampia.

Prima di proseguire descrivendo le specializzazioni delle diverse aree cerebrali occorre fare una premessa importante. Esistono due grandi teorie sul funzionamento del cervello. Secondo la prima, nota come «modello areale», ciascuna parte dell’encefalo è specializzata nella gestione di un’unica funzione, individuabile attraverso lo studio dell’attività cerebrale durante le diverse funzioni vitali e cognitive; in questo modello le funzioni cognitive avanzate emergono come articolazione di funzioni specializzate. Specializzazione delle parti e flessibilità dell’insieme sarebbero la chiave delle funzioni cognitive avanzate: la specializzazione riguarda particolari aree encefaliche, mentre la flessibilità è delle capacità encefaliche in generale. Il processo cognitivo è, in questa prospettiva, l’articolazione complessa e di secondo grado di funzioni basilari specializzate: quanto più queste ultime sono precise e strutturate, tanto più la cognizione sarà potente. Un secondo modello propone invece che il cervello si comporti, per la maggior parte delle funzioni avanzate, come organo unitario. A riprova di questa teoria vi è la notevole plasticità della neocorteccia: se l’area normalmente preposta a una funzione specifica viene lesionata, è possibile che la funzione sia trasferita a un’altra zona cerebrale, e tanto più facilmente quanto è minore l’età del soggetto.

A grandi linee, ci sono nel cervello zone in cui si registra un’attività maggiore in corrispondenza di particolari funzioni cognitive, motorie o sensoriali. La differenziazione più macroscopica è quella relativa agli emisferi, per cui si parla di lateralizzazione delle funzioni

cerebrali. Ciascuno dei due emisferi controlla la parte opposta del corpo: l’emisfero destro gestisce la parte sinistra, e viceversa; l’esempio tipico delle conseguenze della specializzazione emisferica è l’uso preferenziale di un arto anziché dell’altro per certe funzioni. Oltre a questa suddivisione topologica vi è poi anche una specializzazione funzionale delle prestazioni cognitive avanzate: mentre l’emisfero destro controlla maggiormente le ricezioni e le risposte di tipo olistico, spaziale ed emozionale, il sinistro presiede maggiormente alle funzioni analitiche, sequenziali e linguistiche. Individui il cui corpo calloso sia stato resecato presentano due forme diverse di consapevolezza legate alle differenti specializzazioni dei due emisferi. Non si tratta però di un controllo esclusivo: nel caso di lesioni a uno dei due emisferi, infatti, l’emisfero integro può in taluni casi vicariare le funzioni di quello lesionato, sviluppando i circuiti neuronali necessari. Negli umani la produzione del linguaggio dei segni sembra essere controllata dalle stesse aree cerebrali che controllano il linguaggio vocale. Secondo studi recenti, forme di lateralizzazione encefalica sarebbero già presenti negli scimpanzè131. Se questi

dati fossero confermati, si potrebbe supporre che la lateralizzazione delle funzioni cerebrali abbia avuto inizio almeno sei milioni di anni fa.

135 Entro ciascun emisfero, le scissure più profonde distinguono quattro lobi: parietale (controllo dell’integrazione e dell’associazione sensoriale), frontale (controllo del comportamento motorio), temporale (controllo della memoria), occipitale (controllo della visione). Nella linea umana i primi tre lobi si sono sviluppati in modo relativo a scapito del quarto, la cui proporzione è, in altri encefali mammiferi, ben maggiore.

All’interno del lobi si possono identificare diverse aree, separate fra loro da scissure di profondità minore, preposte alla gestione di funzioni specifiche, in particolare sensitive e motorie. Studiando gli schemi di attività cerebrale in relazione a sensazioni e movimenti, è stato possibile definire una sorta di “mappa” corporeo-cerebrale. La parte della corteccia che non fa parte delle aree dedicate alla gestione della percezione e del movimento è convenzionalmente detta corteccia associativa: si ritiene che serva a connettere fra loro le diverse informazioni in arrivo e a coordinare le risposte; essa è quindi la parte dell’encefalo che gestisce in modo precipuo le funzioni cognitive avanzate.

Figura 5 I lobi dell’encefalo umano132.

§ 102. Cervello e linguaggio

Nella competenza linguistica (che non è fatta solo di sintassi e grammatica, ma anche di intonazione, di affettività, di relazione, di espressioni, ecc.) il cervello si comporta come organo unitario, gestendo quindi il compito complessivo della comunicazione con l’interezza delle sue funzioni. Nondimeno, è noto che la parte propriamente ricorsiva del linguaggio – ovvero, sintassi e grammatica – è gestita in via prioritaria da aree specifiche, site normalmente nell’emisfero sinistro e che tuttavia è possibile trovare, in alcuni mancini, anche nell’emisfero destro. Si tratta di un complesso di aree corticali fisicamente vicine e in stretta connessione neurale, che operano in modo coordinato sia fra loro che col resto dell’encefalo. Le due aree principali che presiedono al linguaggio sono quella di Broca e quella di Wernicke, in associazione con altre la cui funzione, tuttavia, sembra essere meno specifica.

In base ai dati sulla mielinazione, si suppone che le aree di Broca e di Wernicke siano strutture evolutivamente recenti del cervello umano; ciò non significa che siano “cresciute” recentemente dentro l’encefalo umano o che in altre specie vi sia al loro posto un vuoto: semplicemente, le due porzioni di cervello che le compongono hanno assunto di recente, e solo negli esseri umani, una precisa specializzazione funzionale, evidenziata anatomicamente dalla

132 L’immagine è stata scaricata da Wikimedia Commons (http://commons.wikimedia.org/); proviene

da una tavola della Anatomy of the Human Body di Henry Gray (20ma ed. U.S.A., 1918), nota anche come Gray’s Anatomy, e integralmente pubblicata on line sul sito http://www.bartleby.com/107/.

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dimensione dei solchi che le delimitano. Esse sono assenti, come aree funzionalmente definite, negli encefali delle grandi antropomorfe.

L’area di Broca si trova nel lobo frontale, nella porzione posteriore della circonvoluzione frontale inferiore, ed è collegata all’area di Wernicke da una sorta di “autostrada neurale”, detta fascicolo arcuato. Presiede alla combinazione dei fonemi in parole e, dal punto di vista del controllo fisico, all’articolazione vocalica dei fonemi e delle parole. Nelle scimmie la porzione di cervello analoga alla nostra area di Broca presiede al controllo dei movimenti della bocca e della faccia.

Figura 6 Localizzazione di alcune aree neocorticali133.

L’area di Wernicke si trova presso il solco laterale, ovvero nella zona in cui s’incontrano il lobo temporale e quello parietale. Presiede all’identificazione e alla selezione dei suoni verbali e, più in generale, ai compiti connessi alla comprensione del linguaggio.

Il giro angolare si trova nel lobo parietale. È probabilmente coinvolto nella comprensione della metafora. Per la sua particolare posizione topologica, il giro angolare è stato proposto come struttura portante nell’evoluzione del linguaggio134.

Il giro sopramarginale si trova nel lobo parietale, sulla parte superiore del solco laterale; è coinvolto nei compiti somatosensoriali e nell’apprendimento tattile.

La corteccia uditiva primaria si trova nella lobo temporale e controlla la percezione cosciente dei suoni; negli umani è coinvolta nei processi legati al linguaggio vocalico e alla musica.

Alle aree appena elencate sono state aggiunte, in base a studi su pazienti colpiti da ictus, anche l’area di Exner per il linguaggio scritto e l’area di Dèjerine per il linguaggio visivo (lettura); ma dal momento che scrittura e lettura sono funzioni non necessarie alla normale competenza linguistica, di queste due aree non ci occuperemo più.

§ 103. Oltre al cervello

Per l’articolazione linguistica non bastano le sole strutture neuronali di controllo: serve anche l’attrezzatura fisica di produzione, ovvero, nel caso del linguaggio vocalico, una struttura

133 L’immagine, scaricata dal sito http://universe-review.ca/, è stata poi modificata. 134 Tattersal 1998.

137 vocale anatomicamente adeguata135. L’effettiva produzione materiale dei suoni è affidata

all’apparato composto dalla laringe, dalla faringe e dalla bocca.

L’originaria funzione fisiologica della laringe è quella di sfintere: serve a bloccare la fuoriuscita dell’aria dai polmoni durante il vomito e a separare il deposito d’aria polmonare dall’ambiente esterno. Quando la laringe non è completamente chiusa, la fuoriuscita dell’aria dai polmoni produce, per un meccanismo di collabimento delle membrane laringee, un suono. Le membrane laringee costituiscono, per l’appunto, le corde vocali: si aprono a seguito dell’aumento di pressione nella colonna d’aria emessa dai polmoni e si richiudono per reazione elastica.

Il tratto sopralaringeo (composto dalla faringe, dalla bocca e dal naso) serve, a fini fonatori, come cassa di risonanza per i suoni emessi dalla laringe e, soprattutto, come meccanismo di articolazione. La faringe era in origine un tratto del canale alimentare; per quanto riguarda le emissioni vocali, essa funge da prima cassa di risonanza e da primo meccanismo articolatorio: nel passaggio attraverso la faringe il suono, proveniente dalla laringe, viene amplificato solo su certe frequenze. La bocca, la cui funzione primaria è quella masticatoria, è un secondo risonatore, distinto e autonomo rispetto alla faringe, e fa sì che l’apparato vocale umano funzioni come un organo a due canne. Il comportamento articolatorio combinato di faringe e bocca controlla l’emissione delle vocali; le consonanti vengono invece prodotte dai movimenti occlusori della lingua e delle labbra.

Nei vertebrati questi meccanismi servono soprattutto come componenti dell’apparato respiratorio e di quello alimentare e vengono poi riutilizzati, in gradi diversi e con possibilità ed esiti diversi, per le emissioni vocali ed è solo in H. sapiens che presentano una piena capacità articolatoria. Fra le grandi antropomorfe gli scimpanzè dispongono dell’apparato vocale più simile al nostro, la cui conformazione anatomica, tuttavia, funzionando come un organo a canna unica, ne limita fortemente la capacità di articolazione (è ad esempio fortemente ridotta la possibilità di articolare il triangolo vocalico fondamentale del linguaggio umano: [a], [i], [u]). Analoghe difficoltà derivano dalla minor mobilità della mandibola e della lingua, che rende impossibile l’articolazione delle consonanti.

Un importante elemento fisiologico correlato al linguaggio è il controllo respiratorio136.

Durante l’eloquio è necessario un controllo preciso della respirazione e in particolare della pressione subglottidale dell’aria, ciò che permette di articolare frasi lunghe entro una sola espirazione e di separare le frasi fra loro con rapide inspirazioni e con interruzioni linguistiche significative. Altri elementi linguistici che vengono modificati attraverso la respirazione sono l’enfasi sonora su determinate unità fonetiche, il controllo dell’altezza del suono e il controllo dell’intonazione. Se normalmente il controllo respiratorio durante la parlata è del tutto inconscio, il suo occasionale inceppamento ne rivela la portata e la funzione. Nel fenomeno del “panico da palcoscenico”, ad esempio, l’ansia spezza il respiro e, con esso, l’andamento prosodico; gli effetti retorici sono disastrosi: la bocca si secca; le frasi vengono emesse in un solo fiato, in modo rapido e con poca intonazione; e sembra di non riuscire a respirare. Ancora sul versante artistico, il canto richiede un controllo ferreo della respirazione: la scuola italiana di canto, ad esempio, si basa soprattutto sull’educazione al controllo del diaframma.

Nei primati non umani la vocalizzazione richiede un controllo respiratorio minore rispetto a quanto accade negli umani; inoltre, essa è più breve e molto meno modulata.

§ 104. L’evoluzione dell’encefalo in valore assoluto

Un cervello umano adulto pesa fra 1 e 1,5 kg, per un volume medio che oscilla fra 1400 e 1600 cm³ (le cifre variano a seconda degli autori e del campione; useremo per i prossimi

135 Liebermann 1984.

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confronti il valore cauto di 1400 cm³). Questo è il dato standard, che serve per il confronto interspecifico e filogenetico. La variabilità, tuttavia, è enorme, sia a livello intraspecifico che a livello intrapopolazionistico: diversi gruppi umani possono presentare medie significativamente differenti e, all’interno dello stesso gruppo, i valori oscillare notevolmente da individuo a individuo. La stima di 1400 cm3 è quindi solo la media presunta sull’intera popolazione umana,

ma le dimensioni encefaliche variano fra meno di 1000 a oltre 2000 cm³ senza essere patologiche e senza che vi siano differenze nelle capacità cognitive.

Per fare solo un paio di esempi, gli uomini hanno, in media, più materia grigia delle donne, mentre i Pigmei ne hanno meno dei Dinka – ma prima di concludere alcunché di razzista o